Spostatelo al sole – lo svegliava il suo tocco lieve a casa, il sussurro della semina da fare, e l’ha sempre svegliato anche in Francia, fino a questa mattina e a questa neve. Se qualcosa al mondo può svegliarlo è il buon vecchio sole a saperlo. Pensate a come sveglia i semi – e in principio la creta di una fredda stella. E il lento acquisto degli arti, i fianchi innervati – ancora caldi – non li smuove? Si è fatta alta per questo, la creta? Perché si sono affaticati, i raggi fatui a spezzare il sonno della terra? Traduzione di Massimiliano Morini
Lì se ne va, il raccoglitore di versi, il perdigiorno dell’universo. Non rivela perché lo guidi il suo senso intimo per lo sfavillio. È positivo, assoluto nei riguardi della luna, questa butterata alleata dell’universo. Quel che si dice di lei, lo lascia indifferente. È ritornato, ora scopre sulla terra i crateri e i deserti. Nel suo eremitaggio tiene la porta aperta, vive in incognito, rivolto a tutto. Traduzione di Gio Batta Bucciol
Poesia n. 332 Dicembre 2017 Durs Grünbein. Librazioni lunari e liriche a cura di Gio Batta Bucciol
Cun cheste lenghe nude e in nissun puest nì mai viodût in lûs di nissun voli se no dai miei cjalant i tiei celescj jo mâr o clamarès chel to celest tiscjel il lum dal to tasê forest e primevere il solc lunc dal to pet; cjalanti , inte buere di me ch’e cres falchet sarès se no tasès cjalanti in cheste lenghe nude e in nissun puest. In nissun puest amôr ma nome in chest l’amôr ti disarès ch’al è taront l’insom e il sot ladrîs e zime in rime e intal clarôr sul fîl da la tô schene crît il clâr de lune clare compagne bielece son li’ mans strentis in trece li’ mês li’tôs e intor il braç de gnot ch’a si davierç in lûs, nulinti, e in blanc in nissun puest amôr ma nome in chest. In nissun puest ma achì ti volarès niçant adôr sul niçul des peraulis peraulis come fraulis ti darès che vite ator ator e je tampieste jo e te mâr fer tal mieç da la tampieste e messedant i tiei cui miei cjavei amôr plui tô la muse tô e sarès e non il to plui non, cun dut il rest forest in cheste lenghe nude e in nissun puest. Le poesie sono tratte da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
I piedi hanno portato l’allegria delle impronte i vostri piedini nella neve, bambini nell’odore degli stivali di gomma neri rossi celesti dove comincia la salita dove finisce la discesa delle slitte piegarsi nel ricordo, mi piego nel ricordo a piedi uniti saltiamo nella neve di quando guardare il cielo era una fantasia più grande vera la verità delle cose toccate sarà stato a quest’ora, sarò stato tante volte lontano come a quest’ora, voce nella mia voce occhio nel mio occhio rinnovato mano mia nuova nel bianco della mia. Maggio 2002 Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Gli occhi si sono fatti di sale nel voltarmi i pensieri si sono fermati nei gesti, nel silenzio delle cose fatte; ho raccolto le briciole del dopopranzo e le ho scosse nell’aria vitrea del giardino dove è appena spiovuto e irrompe il sole. Qui, anche il più lieve soprassalto del merlo oltre la siepe sta fermo e stanno ferme le mie parole come navi in bottiglia. La vostra lingua è la mia, ma la mia non è la vostra mi son sentito pensare mentre in casa lampeggia in penombra il televisore e una musica epica diffonde l’eleganza di una berlina. Tengo per me cos’è curare il fuoco l’odore spesso di legna bagnata, lo stoppino fra le dita lo stare di tutti i giorni nelle cose da fare, dentro un’altra luce rotta dalle nuvole, un diverso tramontare allacciato agli alberi alti pieno negli occhi delle case, sulle bestie dei poveri; un po’ qua un po’ là si sta soli così, oggi, un giorno così, un giorno più soli. Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
Qualche volta, piano piano, quando la notte si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio, e non c’è più posto per le parole, e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno come una perla intorno al singolo grano di sabbia, una lettera alla volta pronunciamo un nome amato per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato. Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
Sono devoto all’anima di grafite della matita: un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce, sentieri imboccati con leggerezza si riconducono alla docilità della via maestra i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle, l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato. L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni: nel suo stesso procedere in avanti ci chiama alla possibilità del ritorno, nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco e Angelina torna a sorridere tenendo per mano un bambino abbagliato dal sole. Tricesimo, 5 gennaio 2010 Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
Sono devoto all’anima di grafite della matita: un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce, sentieri imboccati con leggerezza si riconducono alla docilità della via maestra i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle, l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato. L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni: nel suo stesso procedere in avanti ci chiama alla possibilità del ritorno, nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco e Angelina torna a sorridere tenendo per mano un bambino abbagliato dal sole. Tricesimo, 5 gennaio 2010 Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo l’altro mette il portafoglio nero nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro. Una sarchia la terra magra di un orto in salita la vestaglia a fiori tenui la sottoveste che si vede quando si piega. Uno impugna la motosega e sa di segatura e stelle. Uno rompe l’aria con il suo grido perché un tronco gli ha schiacciato il braccio ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato e io c’ero, ero piccolino. Uno cade dalla bicicletta legata e quando si alza ha la manica della giacca strappata e prova a rincorrerci. Uno manda via i bambini e le cornacchie con il fucile caricato a sale. Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera Isolina portami un caffé, dice. Uno bussa la mattina di Natale con una scatola di scarpe sottobraccio aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando. Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo mentre con l’occhio scoperto piange. Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti. Una scrive su un involto da salumiere sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là. Uno prepara un cartello da mettere sulla sua catasta nel bosco non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa. Uno prepara una saponetta al tritolo da mettere sotto la catasta e il cartello di prima ma io non l’ho visto. Una dà un calcio a un gatto e perde la pantofola nel farlo. Una perde la testa quando viene la sera dopo una bottiglia di Vov. Una ha la gobba grande e trova sempre le monete per strada. Uno è stato trovato una notte freddissima d’inverno le scarpe nella neve i disegni della neve sul suo petto. Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso ma d’inverno è bello quando si confondono l’alto con il basso, il bianco con il blu. Uno con parole proprie mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta voi dicete sempre di livorare ma non dicete mai di venir a tirar paga ingegnere, ha detto. Ed è già il ricordo di un ricordare. Uno legge Topolino gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio e si è fatto in casa una canoa troppo grande che non passa per la porta. Uno l’ho ricordato adesso adesso in questo fioco di luce premuta dal buio ma non ricordo che faccia abbia. Uno mi dice a questo punto bisogna mettere la parola amen perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu. E io dico che mi piace la parola amen perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra e di pietà dentro il silenzio ma io non la metterei la parola amen perché non ho nessuna pietà di voi perché ho soltanto i miei occhi nei vostri e l’allegria dei vinti e una tristezza grande. Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Sono nato al di qua di questi fogli lungo un fiume, porto nelle narici il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio di quando nevica, la memoria lunga di chi ha poco da raccontare. Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno l’ombra delle nuvole sul fondo della valle sono i miei punti cardinali; non conosco la prospettiva senza dimensione del mare e non era l’Italia del settanta Chiusaforte ma una bolla, minuti raddensati in secoli nei gesti di uno stare fermi nel mondo cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo; come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera ho sognato di raggiungere i miei morti dove sono le cose che non vedo quando si vedono Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne scampati al tiro della storia quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri oltre gli sguardi delle guardie confinarie un odore di cipolle e di industria pesante premeva, la parte di un’Europa tenuta insieme da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi. Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto da una mano anonima, geniale su di un muro graffito alla periferia di Udine, il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io. E qui, mentre intere città si muovono sulle piste ramate degli hardware e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato, mio padre torna per sempre nella sua cerata verde bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere come fosse eternamente schiuso. Se siamo ancora cosa siamo stati, io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia, che portava in casa un odore di traversine e ghisa e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano a misura del passo del tramonto, bianco; e anche se le voci del mondo si appuntiscono e qualcosa divide l’ombra dall’ombra meno solo mi pare di andare, premendo un piede dopo l’altro, secondo la formula del luogo, dal basso all’alto, seguendo una salita. Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
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