Sono devoto all’anima di grafite della matita: un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce, sentieri imboccati con leggerezza si riconducono alla docilità della via maestra i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle, l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato. L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni: nel suo stesso procedere in avanti ci chiama alla possibilità del ritorno, nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco e Angelina torna a sorridere tenendo per mano un bambino abbagliato dal sole. Tricesimo, 5 gennaio 2010 Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Spostatelo al sole – lo svegliava il suo tocco lieve a casa, il sussurro della semina da fare, e l’ha sempre svegliato anche in Francia, fino a questa mattina e a questa neve. Se qualcosa al mondo può svegliarlo è il buon vecchio sole a saperlo. Pensate a come sveglia i semi – e in principio la creta di una fredda stella. E il lento acquisto degli arti, i fianchi innervati – ancora caldi – non li smuove? Si è fatta alta per questo, la creta? Perché si sono affaticati, i raggi fatui a spezzare il sonno della terra? Traduzione di Massimiliano Morini
Lì se ne va, il raccoglitore di versi, il perdigiorno dell’universo. Non rivela perché lo guidi il suo senso intimo per lo sfavillio. È positivo, assoluto nei riguardi della luna, questa butterata alleata dell’universo. Quel che si dice di lei, lo lascia indifferente. È ritornato, ora scopre sulla terra i crateri e i deserti. Nel suo eremitaggio tiene la porta aperta, vive in incognito, rivolto a tutto. Traduzione di Gio Batta Bucciol
Poesia n. 332 Dicembre 2017 Durs Grünbein. Librazioni lunari e liriche a cura di Gio Batta Bucciol
Cun cheste lenghe nude e in nissun puest nì mai viodût in lûs di nissun voli se no dai miei cjalant i tiei celescj jo mâr o clamarès chel to celest tiscjel il lum dal to tasê forest e primevere il solc lunc dal to pet; cjalanti , inte buere di me ch’e cres falchet sarès se no tasès cjalanti in cheste lenghe nude e in nissun puest. In nissun puest amôr ma nome in chest l’amôr ti disarès ch’al è taront l’insom e il sot ladrîs e zime in rime e intal clarôr sul fîl da la tô schene crît il clâr de lune clare compagne bielece son li’ mans strentis in trece li’ mês li’tôs e intor il braç de gnot ch’a si davierç in lûs, nulinti, e in blanc in nissun puest amôr ma nome in chest. In nissun puest ma achì ti volarès niçant adôr sul niçul des peraulis peraulis come fraulis ti darès che vite ator ator e je tampieste jo e te mâr fer tal mieç da la tampieste e messedant i tiei cui miei cjavei amôr plui tô la muse tô e sarès e non il to plui non, cun dut il rest forest in cheste lenghe nude e in nissun puest. Le poesie sono tratte da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
I piedi hanno portato l’allegria delle impronte i vostri piedini nella neve, bambini nell’odore degli stivali di gomma neri rossi celesti dove comincia la salita dove finisce la discesa delle slitte piegarsi nel ricordo, mi piego nel ricordo a piedi uniti saltiamo nella neve di quando guardare il cielo era una fantasia più grande vera la verità delle cose toccate sarà stato a quest’ora, sarò stato tante volte lontano come a quest’ora, voce nella mia voce occhio nel mio occhio rinnovato mano mia nuova nel bianco della mia. Maggio 2002 Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Gli occhi si sono fatti di sale nel voltarmi i pensieri si sono fermati nei gesti, nel silenzio delle cose fatte; ho raccolto le briciole del dopopranzo e le ho scosse nell’aria vitrea del giardino dove è appena spiovuto e irrompe il sole. Qui, anche il più lieve soprassalto del merlo oltre la siepe sta fermo e stanno ferme le mie parole come navi in bottiglia. La vostra lingua è la mia, ma la mia non è la vostra mi son sentito pensare mentre in casa lampeggia in penombra il televisore e una musica epica diffonde l’eleganza di una berlina. Tengo per me cos’è curare il fuoco l’odore spesso di legna bagnata, lo stoppino fra le dita lo stare di tutti i giorni nelle cose da fare, dentro un’altra luce rotta dalle nuvole, un diverso tramontare allacciato agli alberi alti pieno negli occhi delle case, sulle bestie dei poveri; un po’ qua un po’ là si sta soli così, oggi, un giorno così, un giorno più soli. Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
Qualche volta, piano piano, quando la notte si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio, e non c’è più posto per le parole, e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno come una perla intorno al singolo grano di sabbia, una lettera alla volta pronunciamo un nome amato per comporre la sua figura; allora la notte diventa cielo nella nostra bocca, e il nome amato un pane caldo, spezzato. Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
Sono devoto all’anima di grafite della matita: un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce, sentieri imboccati con leggerezza si riconducono alla docilità della via maestra i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle, l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato. L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni: nel suo stesso procedere in avanti ci chiama alla possibilità del ritorno, nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco e Angelina torna a sorridere tenendo per mano un bambino abbagliato dal sole. Tricesimo, 5 gennaio 2010 Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)
E’ stato appena detto guarda, una lepre da dov’era al più fitto del bosco è rimasta l’idea di un tema interrotto, la felicità di quando non la si contiene e scoppia via, lontana da noi. Da queste parti c’è chi ha visto la lince, è capitato anche a me anni fa, nel cuore della notte, vicino a un deposito di munizioni. Cercavo Sirio per avvicinarmi al cielo e ho trovato la lince, alle mie spalle, con gli occhi di madre arrabbiata. E’stato come se il nulla avesse lasciato un varco e fosse sbucata l’illustrazione di un libro di scuola la bestia era lì, a due passi da me e ho dimenticato lo splendore delle stelle fisse. Non rimarremo qui senza uno scopo, qualcuno dà per certa la presenza dell’orso viene da est,e, come gli abeti, pare si avvicini sempre di più a queste poche case. Invece non c’è chi non veda come l’autostrada ha tagliato la pancia alla valle e la gola di chi è rimasto; mentre nevica no, il taglio si fa meno inciso tutto si allontana, magari si diventa molli come erbe nell’acqua e lo sguardo rinasce nello sguardo di come le cose erano vere per la prima volta, nell’innocenza e il ceruleo di un giorno di settembre precipita in gola, il pallone sembrava tornato dalle nuvole tanto in alto era stato lanciato dal padre e c’era l’odore del fieno radunato prima della pioggia e sempre queste poche case e tutto non è stato toccato ancora non è stato toccato ma si ferma in gola, al di qua del dire. Il dolore tuo proprio, quello e non altro la tua forma di guardare più in là dei miei capelli quando mi racconti, un ragazzino leggeva Camus seduto su di un albero di more, stava sulla forcella fra il tronco e il ramo più grosso mentre noi si forava la montagna il fiume veniva violato e una polvere sottile si posava sui tetti del paese, sui berretti delle sentinelle nella caserma Zucchi, sul cartello”limite invalicabile” si segnava una fine. Ci guardammo dopo quando tutto era stato raccolto e a noi stessi i nostri volti parvero lontani adesso si sta quasi sereni, quasi leggeri i bambini attraversano l’acqua nel tempo in cui dimagra un saltello da un sasso all’altro; non si rimane qui senza uno scopo se la montagna frana, la mia faccia frana un poco al giorno se il fiume si dissecca , il mio cuore è pronto a disseccare se l’autostrada mette ombra all’ombra della valle ne trovi il taglio qui, poco sotto l’ombelico com’è vero che il cerchio si aggiunge al cerchio nel mutarsi del tronco. Domani anche qui saremo in mezzo alle foglioline si può dire la marea si può fermare ma nessuno è capace di arrestarla e noi si vive dentro questi metri crudi e il vivere è portarne la scomparsa, un giorno alla volta comporne il nome. Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
Ieri sono stato a trovarti, papà, la luce in questi giorni non è tagliata dall’ombra negli alberi senza vento c’è l’odore secco dell’aria per come posso, ti ho portato il racconto dei temporali, l’odore di inverno sulle tempie a Chiusaforte è nevicato, nevica sempre e le fontane sono ghiacciate penso, per qualche momento, che tu sia ancora lassù ad accatastare legna con cura e non in luoghi come questi la casa di riposo con la pista per le bocce dove state raccolti come le foglie nel parco uniti nell’attesa, lontani dalle città assediate. Dicevate domani, dicevate questo è il figlio e con il silenzio del fischio nella bufera i vostri nomi sono andati via voi che siete stati popolo e ombra remissione e forza il tuo nome, papà, e quello di Bruno, che non era un’antilope e tirava sassate al pettirosso sul ramo più alto o quello di Giordano, o quello di Cesare, o quello di Alfredo, l’artigliere o quello di quelli che, come te, sono stati bambini che hanno detto domani. E adesso non è troppo dire quanto poche sono le foglie cadute sui giorni di novembre per dire cos’è l’inverno negli occhi mentre viene tutto il poco possibile è qui, nei vostri corpi piegati come l’ulivo sulle vostre facce di monete graffiate in questo spazio, in questo tempo confusi come il cielo e la terra quando nevica, e se c’è un’uscita, papà, anche se non posso dire domani, la sua luce sulla soglia è questo stare dei tuoi occhi dentro i miei questo pensarvi vivi, liberi e scalzi le tasche piene di sassi, la memoria di voi che trema in noi come una stella incoronata di buio. Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013
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