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Una lettura

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Spostatelo al sole –
lo svegliava il suo tocco lieve
a casa, il sussurro della semina da fare,
e l’ha sempre svegliato anche in Francia,
fino a questa mattina e a questa neve.
Se qualcosa al mondo può svegliarlo
è il buon vecchio sole a saperlo.
Pensate a come sveglia i semi –
e in principio la creta di una fredda stella.
E il lento acquisto degli arti, i fianchi
innervati – ancora caldi – non li smuove?
Si è fatta alta per questo, la creta?
Perché si sono affaticati, i raggi fatui
a spezzare il sonno della terra?
Traduzione di Massimiliano Morini

Sera

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Lì se ne va, il raccoglitore di versi, il perdigiorno
dell’universo. Non rivela perché lo guidi
il suo senso intimo per lo sfavillio.
È positivo, assoluto nei riguardi della luna,
questa butterata alleata dell’universo.
Quel che si dice di lei, lo lascia indifferente.
È ritornato, ora scopre sulla terra
i crateri e i deserti. Nel suo eremitaggio tiene
la porta aperta, vive in incognito, rivolto a tutto. Traduzione di Gio Batta Bucciol


Poesia n. 332 Dicembre 2017
Durs Grünbein. Librazioni lunari e liriche
a cura di Gio Batta Bucciol

 

 

 

 




Rondeau

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Cun cheste lenghe nude e in nissun puest
nì mai viodût in lûs di nissun voli
se no dai miei cjalant i tiei celescj
jo mâr o clamarès chel to celest
tiscjel il lum dal to tasê forest
e primevere il solc lunc dal to pet;
cjalanti , inte buere di me ch’e cres
falchet sarès se no tasès cjalanti
in cheste lenghe nude e in nissun puest.
In nissun puest amôr ma nome in chest
l’amôr ti disarès ch’al è taront
l’insom e il sot ladrîs e zime in rime
e intal clarôr sul fîl da la tô schene
crît il clâr de lune clare compagne
bielece son li’ mans strentis in trece
li’ mês li’tôs e intor il braç de gnot
ch’a si davierç in lûs, nulinti, e in blanc
in nissun puest amôr ma nome in chest.
In nissun puest ma achì ti volarès
niçant adôr sul niçul des peraulis
peraulis come fraulis ti darès
che vite ator ator e je tampieste
jo e te mâr fer tal mieç da la tampieste
e messedant i tiei cui miei cjavei
amôr plui tô la muse tô e sarès
e non il to plui non, cun dut il rest forest
in cheste lenghe nude e in nissun puest.
Le poesie sono tratte da Azzurro elementare, Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Ritornare

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

I piedi hanno portato l’allegria delle impronte
i vostri piedini nella neve, bambini
nell’odore degli stivali di gomma
neri rossi celesti dove comincia la salita
dove finisce la discesa delle slitte
piegarsi nel ricordo, mi piego nel ricordo
a piedi uniti saltiamo nella neve
di quando guardare il cielo era una fantasia più grande
vera la verità delle cose toccate
sarà stato a quest’ora, sarò stato tante volte
lontano come a quest’ora, voce nella mia voce
occhio nel mio occhio rinnovato
mano mia nuova nel bianco della mia.
Maggio 2002
Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Restare

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Gli occhi si sono fatti di sale nel voltarmi
i pensieri si sono fermati nei gesti, nel silenzio delle cose fatte;
ho raccolto le briciole del dopopranzo
e le ho scosse nell’aria vitrea del giardino
dove è appena spiovuto e irrompe il sole.
Qui, anche il più lieve soprassalto del merlo oltre la siepe
sta fermo e stanno ferme le mie parole come navi in bottiglia.
La vostra lingua è la mia, ma la mia non è la vostra
mi son sentito pensare mentre in casa lampeggia in penombra
il televisore e una musica epica diffonde l’eleganza di una berlina.
Tengo per me cos’è curare il fuoco
l’odore spesso di legna bagnata, lo stoppino fra le dita
lo stare di tutti i giorni nelle cose da fare, dentro un’altra luce
rotta dalle nuvole, un diverso tramontare allacciato agli alberi alti
pieno negli occhi delle case, sulle bestie dei poveri;
un po’ qua un po’ là
si sta soli così, oggi, un giorno così, un giorno più soli.
Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)

Qualche volta, piano piano, quando la notte / la poesia alle elementari

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Qualche volta, piano piano, quando la notte
si raccoglie sulle nostre fronti e si riempie di silenzio,
e non c’è più posto per le parole,
e a poco a poco si raddensa una dolcezza intorno
come una perla intorno al singolo grano di sabbia,
una lettera alla volta pronunciamo
un nome amato
per comporre la sua figura;
allora la notte diventa cielo
nella nostra bocca, e il nome amato
un pane caldo, spezzato.
Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)

Poesia scritta con la matita

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.
L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole.
Tricesimo, 5 gennaio 2010
Pierluigi Cappello (Gemona del Friuli, 1967), da Mandate a dire all’imperatore (Crocetti, 2010)

Poesia scritta con la matita

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.
L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole.
Tricesimo, 5 gennaio 2010
Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Parole povere

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Uno, in piedi, conta gli spiccioli sul palmo
l’altro mette il portafoglio nero
nella tasca di dietro dei pantaloni da lavoro.
Una sarchia la terra magra di un orto in salita
la vestaglia a fiori tenui
la sottoveste che si vede quando si piega.
Uno impugna la motosega
e sa di segatura e stelle.
Uno rompe l’aria con il suo grido
perché un tronco gli ha schiacciato il braccio
ha fatto crack come un grosso ramo quando si è spezzato
e io c’ero, ero piccolino.
Uno cade dalla bicicletta legata
e quando si alza ha la manica della giacca strappata
e prova a rincorrerci.
Uno manda via i bambini e le cornacchie
con il fucile caricato a sale.
Uno pieno di muscoli e macchie sulla canottiera
Isolina portami un caffé, dice.
Uno bussa la mattina di Natale
con una scatola di scarpe sottobraccio
aprite, aprite. È arrivato lo zio, è arrivato
zitto zitto dalla Francia, dice, schiamazzando.
Una esce di casa coprendosi un occhio con il palmo
mentre con l’occhio scoperto piange.
Una ride e ha una grande finestra sui denti davanti
anche l’altra ride, ma non ha né finestre né denti davanti.
Una scrive su un involto da salumiere
sono stufa di stare nel mondo di qua, vado in quello di là.
Uno prepara un cartello
da mettere sulla sua catasta nel bosco
non toccarli fatica a farli, c’è scritto in vernice rossa.
Uno prepara una saponetta al tritolo
da mettere sotto la catasta e il cartello di prima
ma io non l’ho visto.
Una dà un calcio a un gatto
e perde la pantofola nel farlo.
Una perde la testa quando viene la sera
dopo una bottiglia di Vov.
Una ha la gobba grande
e trova sempre le monete per strada.
Uno è stato trovato
una notte freddissima d’inverno
le scarpe nella neve
i disegni della neve sul suo petto.
Uno dice qui la notte viene con le montagne all’improvviso
ma d’inverno è bello quando si confondono
l’alto con il basso, il bianco con il blu.
Uno con parole proprie
mette su lì per lì uno sciopero destinato alla disfatta
voi dicete sempre di livorare
ma non dicete mai di venir a tirar paga
ingegnere, ha detto. Ed è già
il ricordo di un ricordare.
Uno legge Topolino
gli piacciono i film di Tarzan e Stanlio e Ollio
e si è fatto in casa una canoa troppo grande
che non passa per la porta.
Uno l’ho ricordato adesso adesso
in questo fioco di luce premuta dal buio
ma non ricordo che faccia abbia.
Uno mi dice a questo punto bisogna mettere
la parola amen
perché questa sarebbe una preghiera, come l’hai fatta tu.
E io dico che mi piace la parola amen
perché sa di preghiera e di pioggia dentro la terra
e di pietà dentro il silenzio
ma io non la metterei la parola amen
perché non ho nessuna pietà di voi
perché ho soltanto i miei occhi nei vostri
e l’allegria dei vinti e una tristezza grande.
Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013

Ombre

Pierluigi Cappello

Pierluigi Cappello

 

Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno
l’ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l’Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un’Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l’ombra dall’ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l’altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all’alto, seguendo una salita.
Le poesie sono tratte daAzzurro elementare,Poesie 1992-2010, Bur Rizzoli, 2013