Il tuo sguardo rimpianto il tuo sorriso perduto i tuoi occhi azzurri nella profonda oscura irrimediabile assenza che mi lascia senza te quando non riesco a respirare l’aria non tua né a contemplare la terra che t’ignora né posso di nuovo amare la vita non vita dei miei giorni senza te il tuo sguardo nei miei occhi il tuo sorriso nella mia anima la tua vita andata nella speranza cieca di un percorso che compio giorno dopo giorno senza te avvolta nel calore sicuro della tua ombra ugualmente senza te ugualmente per sempre con te nel sogno senza sogno del tuo amore per me Martha Canfield (Montevideo, Uruguay, 1949), da Luna di giorno (LietoColle – Pordenonelegge, 2017)
Bonjour buon giorno guten Morgen su svegliati amore e prendi nota solo nel terzo mondo muoiono quarantamila bambini ogni giorno nel pacifico cielo senza nuvole planano i bombardieri e gli avvoltoi quattro milioni hanno contratto l’AIDS l’avidità depreda l’Amazzonia
Vedere nuda la vita mentre si parla una lingua per dire qualcosa. Uscire di sera rende la vita più bella ma è il poco sole obliquo la sera senza parole. Vedere nuda la vita quando c’eri con le tue cose. Adesso le cose sono sole, non c’è la promessa del tuo svegliarti e continuare con le ciabatte, le tazze, i cucchiai. Non è valsa la pena affaccendarsi. Il gioco dei giorni è la promessa che non sapevi aperdere sempre da prima. Mario Benedetti (Udine, 1955), da Tersa morte (Mondadori, 2013)
Il cielo sta su nel pensiero di piangere. Sulla strada gli uomini sono andati metà muro, metà fiume. Sto qui molto lontano dai templi, dalle processioni tra i lumini, molto lontano dai romanzi dove c’era la luce dei visi. Sto con gli ultimi anni di un uomo a cui voglio bene, vorrei perdonargli di morire, cosa fare. A sapere bene forse potrei dire: anche per noi una visione intera con uno specchio sopra, con un cielo. Mi tengo al suo sguardo perduto così particolare, così solo, senza romanzi, con il campo che non è un mondo. Non so andare avanti. Ogni tanto i contadini di Anna Karenina falciano Masckin Verch. Ogni tanto sogno bambini bellissimi nell’acqua effervescente di una strada. E io li vedo di schiena, qualcuno ci vede, io sono di schiena nei colori.
Non è possibile. Questa città è un inganno. Non è possibile che le palme si pieghino a accarezzare il crine dei cavalli e gli occhi delle puttane siano teneri come in una Venere di Luca Cranach non può essere che il vento sollevi le gonne e tutte le gambe siano belle e che i consiglieri vadano in bicicletta dall’autunno all’estate e viceversa.
Ritornare nei giorni, mandarli avanti. Anni fa, adesso, domani. Era così per te, è così per tutti? Stare nelle ore per altre ore, nei giorni che ci saranno. E dire dei morti come se fossero ancora dei vivi, come è necessario sorridere quando si è in compagnia. Mario Benedetti (Udine, 1955), da Tersa morte (Mondadori, 2013)
Girano nell’estuario davanti a Recouvrance i battelli, e lo popolano di vele, e ancora lungo la banchina è porto dove adesso è porto militare, e strade riservate con la guardia… Con gli occhi aperti delle donne ferme che ho visto e la giacca per il vento, quasi lussuosa e unica la tua giacca, a cosa ti posso assomigliare, quasi una stampa nella via… Mangio qualcosa, sono qui i giornali, i cibi, mi piace stare seduto a guardare alla finestra le nuvole, dormo, tornano delle mani nelle tue, allegre, attimi, ecco, sono questo, prendimi mio Signore, stare così raccolto. Come si fa sempre a vivere. Avere nelle mani il freddo, il vento… sentire solo perché un altro ti veda così e ti porti per sempre via.