Fra l’alba incerta e la nebbia leggera contro una siepe fuma il suo zampillo. Già fuma il caminetto sulla casa e l’aspetta. S’attarda nell’attesa egli della padrona. Al vano incontro il cuore brilla (e incerto lo zampillo fra la nebbia leggera ad un lontano timido sole). Ferma la casa aspetta.
Il sole di settembre indora i canti degli operai. E’ già lontano il tempo quando vinti al gran sole i nudi corpi turbavano il mio cuore. Adesso brilla deserto il fiume. Ritornato è l’uomo in piedi. Io rido a più sereno amore.
Dal portiere non c’era nessuno. C’era la luce sui poveri letti disfatti. E sopra un tavolaccio dormiva un ragazzaccio bellissimo. Uscì dalle sue braccia annuvolate, esitando, un gattino.
Come è forte il rumore dell’alba! Fatto di cose più che di persone. Lo precede talvolta un fischio breve, una voce che lieta sfida il giorno. Ma poi nella città tutto è sommerso. E la mia stella è quella stella scialba mia lenta morte senza disperazione.
Forse la giovinezza è solo questo perenne amare i sensi e non pentirsi Forse l’ispirazione è solo un urlo confuso. Ma entro le colonne della legge, ridendo si masturba ogni fanciullo. Appoggio la mia fronte alla ringhiera gelida del cancello. La mia notte ascolta dileguare ogni fanciullo. Arso completamente dalla vita io vivo in essa felice e dissolto. La mia pena d’amore non ascolto più di quanto non curi la ferita. Forse è meglio soffrire che godere. O forse tutto è uguale. Anche la neve è più bella del sole. Ma l’amore…
Era l’alba sui colli, e gli animali ridavano alla terra i calmi occhi. Io tornavo alla casa di mia madre. Il treno dondolava i miei sbadigli acerbi. E il primo vento era sull’erbe. Altissimo e confuso, il paradiso della mia vita non aveva ancora volto. Ma l’ospite alla terra, nuovo, già chiedeva l’amore, inginocchiato. Cadeva la preghiera nella chiusa casa entro odore di libri di scuola. Navigavano al vespero felici gridi di uccelli nel mio cielo d’ansia.