Voi… Voi che noi amiamo, voi non ci vedete, non ci sentite, ci credete molto lontani… eppure siamo così vicini. Siamo messaggeri che portano la vicinanza a chi è lontano. Siamo messaggeri che portano la luce a chi è nell’oscurità. Siamo messaggeri che portano la parola a coloro che chiedono. Non siamo luce. Non siamo messaggio. Siamo i messaggeri. Noi non siamo niente. Voi siete il nostro tutto. Lasciateci vivere nei vostri occhi, guardate il vostro mondo attraverso noi, riconquistate insieme a noi lo sguardo pieno d’amore, allora noi saremo vicini a voi.
Quest’estate vedo proprio
la pioggia cadere
dal cielo e diluviare su
alberi, felci muschio sul guscio della
chiocciola fino all’interno della terra.
Botton d’oro, gladioli, calte
si gonfiano sui rivi ramificati
e gli stagni. Ovunque fiumi e
correnti premono contro le rive
e straripano.
Dopo tanti anni i tetti dei sobborghi
si rincorrono nel rosso degli embrici. I
galletti segnavento innestano le ali sì che
le gocce sprizzano come esse sanno sprizzare.
Nessun confronto con i diamanti.
Tutti i prati verdi d’erba. I corvi nero
corvino. Rose rosse. Tutto come si conviene.
Come ogni cosa deve essere. Le rondini
con le loro scorpacciate di zanzare a bassa
quota rischiano di scoppiare di felicità.
Ulla Hahn. La riconquista dell’amore
a cura di Gio Batta bucciol
E con l’amore disse lui è
come con la neve: di quando in
quando cade soffice e su tutti
ma non prende piede.
E lei: l’amore è un fuoco
che scalda sul focolare
ti consuma se ti prende
e lo devi spegnere col piede.
Così parlavano lui l’afferrò
lei non rifiutò
e rimase con lui a giacere.
Lui si sciolse lei si consumò
fino alla fine non vollero credere
a un amore che dura fino alla morte.
Ulla Hahn. La riconquista dell’amore
a cura di Gio Batta bucciol
Ancora solo pochi passi e poi lei sarà di nuovo sua sentirà libererà il suo canto che senza di lei inaridisce. Collo naso orecchie gli occhi i capelli la bocca e così via lui li canterà solo a eterna gloria di lei. Ma una voce si alza. Orfeo ascolta: lei che doveva solo tendere l’orecchio cantando gli piomba sulle spalle. Allora si volta ed ecco dalle turbate mani gli scivola la lira. Che Euridice raccoglie e uscendo percuote piano con tocchi trattenuti. Collo naso orecchie gli occhi i capelli la bocca e così via lei li canterà solo a eterna gloria di lui. Se Orfeo l’abbia poi seguita le fonti lasciano all’oscuro. Traduzione diGio Batta Bucciol
Poesia n. 292 Aprile 2014 Ulla Hahn. La riconquista dell’amore a cura di Gio Batta bucciol
Discorso del filosofo Di notte, quando il mondo ha una chance, mi metto al lavoro. Non vi aspettate che ci sia un sistema. L’ audacia mi è stata sempre estranea, per una scuola ero troppo stanco, l’ignoto mi faceva paura. Un futuro del pensare non so figurarmelo, la distanza fra concetto e concetto aumenta, e sul passato gravano pesanti nubi. Tutto quello che ancora vedo sono delle orme venute da lontano che io traduco con cura prima che si perdano. Del mio libro sull’etica ho scritto solo la parola ››io‹‹, e anche questa con mano insicura. Ogni tanto l’infanzia mi manda Una cartolina: ti ricordi? Ma questo a rigore non è una filosofia. Michael Krueger (1943), qui travestito da filosofo, dà un’ironica smentita d’ogni possibile pensare filosofico: ha scritto, dice, un trattato di etica ma costituito paradossalmente da un’unica parola, “io”, e anche di questo io è malcerto. L’io è un minimo segno, fra le pesanti nubi del passato, un futuro inimmaginabile e il proliferare di concetti sempre più distanti fra loro – allusione ai mille saperi odierni che non dominiamo più. Cara gli è soltanto l’infanzia che però gli manda un messaggio elementare, una banale cartolina. Il filosofo è di fatto un uomo senza qualità, caotico, pauroso e subito stanco. Eppure in questa totale professione di sfiducia non v’è cinismo né disperazione: i toni sono cordiali, fraterni, e rivelano la sostanza dialogica della poesia di Krueger, aperta al mondo e mai oscura. In “Lettera a casa” (nel “Coro del mondo”, p.67) si dice che non è nemmeno vero che la storia sia finita, come anni fa ha annunciato il presuntuoso giapponese Fukujama. Anna Maria Carpi
Ho percorso l’Italia
da sud a nord
come voleva la strada.
Non ho fatto esperienze.
A Napoli un cane come
non ne vidi mai stava
a guardia del sole nascente;
dietro Ravenna tesi l’orecchio
al sommesso oracolo della pioggia;
in Maremma vidi mosche
negli occhi dei bovini, e me stesso.
Quasi troppo per una vita.
Col tempo appresi
a condurmi fra le vie traverse
che non portano a nord.
A Roma, ne devo far menzione,
osservai formiche rosse
che volevano trascinar via il Pantheon.
Per il resto, camminando lessi
le brevi poesie di Ungaretti
fino a che non si furono dissolte
nella mia radiosa felicità.
Una lumaca striscia per la terrazza,
un viscidume che va sul ventre, felicemente
sfuggita all’agitazione del giardino. Tenera,
duttile, cornea, aspira il suolo, diretta da un magnete
sotto i marmetti. A testa alta
questo sacro animale con dignità offensiva
taglia la strada alle formiche ove fervono i traffici
e si scambiano carichi da confonder
la vista. Sorella di Sisifo,
lei lavora in pianura, naturale nemica
della ripetizione.
Il centro è raggiunto, in gran silenzio quasi
non si dovesse dar scosse alla casa del mondo
che è piena di crepe invisibili.
Ora penso al tempo, non alla felicità,
perché soltanto come infelici siamo immortali.
Ma lo capiamo che l’ordine funziona
solo con questa lumaca che ora ha fatto il giro
del quadrante bianco del suo orologio?
A che pro saremmo nati, dice Leopardi,
se non per riconoscere come saremmo felici
a non esser nati?
Chiaro che
il creatore dell’universo
si può vederlo come un giocoliere.
Tutto un maledetto gioco,
espressione d’incipiente stanchezza.
Ma talvolta, se a sera,
secondo un’abitudine,
ci raduniamo sul prato
a salutare in silenzio la notte,
per lo stupore restiamo senza parola:
lui per fregarci ci dà prove
del suo grande talento.
Discorso di Pascal Gli animali non conoscono ammirazione. La lepre più veloce non ottiene più cibo di quella più lenta, il cavallo vincente sta nella stalla accanto al perdente che condivide la sua lingua. Stupidità o virtù? Virtù.
Concepito e allevato Da una donna, oh portento, Egli giunge, ode e vede, E dell’inganno non s’avvede; Nutre desideri e brame, Con qualche lacrima geme; Disprezza ed onora, Periglio e gioia assapora; Crede, dubita, delira, istruisce etc. Tutto e nulla vero definisce; Edifica e annienta; E sempre si tormenta; Dorme, veglia, cresce, deperisce: La sua chioma scura incanutisce. E tutto questo, se va bene, dura, Soltanto per ottanta primavere Poi a fianco dei suoi avi si distende E mai più di ritornar gli si consente.
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