Archivi tag: Poesia svedese

Sento i tuoi passi nella sala

Karin Boye

Karin Boye

 

Sento i tuoi passi nella sala,
sento in ogni nervo i tuoi rapidi passi
che nessuno nota altrimenti.
Intorno a me soffia un vento di fuoco.
Sento i tuoi passi, i tuoi amati passi,
e l’anima fa male.
Cammini lontano nella sala,
ma l’aria ondeggia dei tuoi passi
e canta come canta il mare.
Ascolto, prigioniera dell’oppressione che consuma.
Nel ritmo del tuo ritmo, nel tempo del tuo tempo
batte il mio polso nella fame.

Ricordo

Karin Boye

Karin Boye

 

Quieta voglio ringraziare il mio destino:
mai ti perdo del tutto
Come una perla cresce nella conchiglia,
così dentro di me
germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada.
Se infine un giorno ti dimenticassi –
allora sarai tu sangue del mio sangue
allora sarai tu una cosa sola con me –
lo vogliano gli dei

Reperto archeologico

Lars Gustafsson

Lars Gustafsson

 

Nella penombra del museo notai all’improvviso
un vaso etrusco, di certo un vaso per il miele,
largo, con fianchi muliebri
e orecchi buffamente all’insù
come per ascoltare alla perfezione,
e c’era un volto evidente
che sempre sorrideva provocante,
come se volesse offrire
chissà quali segreti!
Questo mi fece tacere ostinato
per tutta la durata della visita.
I piccoli vasi hanno anche orecchi.

Mistero per la strada / la poesia alle elementari

Tomas Tranströmer

Tomas Tranströmer

 

Si posò la luce del giorno sul viso di un uomo addormentato.
Gli giunse un sogno più vivido
Ma non si svegliò.
Si posò l’oscurità sul viso di un uomo in cammino
Tra la gente nei raggi di sole
Forti e impazienti.
D’un tratto si fece buio come per il temporale.
Io ero in una stanza che conteneva tutti gli istanti –
Un museo di farfalle.
Tuttavia il sole era forte come prima.
I suoi pennelli impazienti dipingevano il mondo.
Tomas Tranströmer (Stoccolma, 1931), traduzione di Franco Buffoni, in F. Buffoni, Songs of Spring. Quaderno di traduzioni (Marcos y Marcos, 1999)

La cima

Tomas Tranströmer

Tomas Tranströmer

 

Come un sospiro gli ascensori iniziano a salire
in alti edifici fragili come porcellana.
Fuori su l’asfalto si fa caldo il giorno.
I segnali hanno le palpebre abbassate.
La terra una salita verso il cielo.
Cima dopo cima, nessuna vera ombra.
Voliamo avanti a caccia di Te
per l’estate in cinemascope.
E di sera sono un vascello
a luci spente, a giusta distanza
dalla realtà, mentre a terra
nei parchi fluisce l’equipaggio.

Io non ti perderò mai

Karin Boye

Karin Boye

 

Nessun cielo di una notte d’estate senza respiro
giunge così profondo nell’eternità,
nessun lago, quando le nebbie si diradano,
riflette una calma simile
come l’attimo –
quando i confini della solitudine si cancellano
e gli occhi diventano trasparenti
e le voci diventano semplici come venti
e niente c’è più da nascondere.
Come posso ora aver paura?
Io non ti perderò mai.

Il meglio

Karin Boye

Karin Boye

 

Il meglio che possediamo
non lo si può dare,
non lo si può dire
e neanche scrivere.
Il meglio del tuo animo
niente lo può lordare.
Risplende profondo laggiù
per te e per Dio solamente.
È il colmo della nostra ricchezza
che nessun altro possa raggiungerlo.
È il tormento della nostra miseria
che nessun altro possa averlo.

Come posso dire

Karin Boye

Karin Boye

 

Come posso dire se la tua voce è bella.
So soltanto che mi penetra
e che mi fa tremare come foglia
e mi lacera e mi dirompe.
Cosa so della tua pelle e delle tue membra.
Mi scuote soltanto che sono tue,
così che per me non c’è sonno nè riposo,
finché non saranno mie.

Certo che fa male

Karin Boye

Karin Boye

 

Certo che fa male, quando i boccioli si rompono.
Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera?
Perché tutta la nostra bruciante nostalgia
dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro?
Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno.
Cosa di nuovo ora consuma e spinge?
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono,
male a ciò che cresce
male a ciò che racchiude.
Certo che è difficile quando le gocce cadono.
Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese
si aggrappano al piccolo ramo, si gonfiano, scivolano
il peso le trascina e provano ad aggrapparsi.
Difficile essere incerti, timorosi e divisi,
difficile sentire il profondo che trae, che chiama
e lì restare ancora e tremare soltanto
difficile voler stare
e volere cadere.
Allora, quando più niente aiuta
si rompono esultando i boccioli dell’albero,
allora, quando il timore non più trattiene,
cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo,
dimenticano la vecchia paura del nuovo
dimenticano l’apprensione del viaggio –
conoscono in un attimo la più grande serenità
riposano in quella fiducia
che crea il mondo.

Appello

Harry Martinson

Harry Martinson

 

La luna piena risplende sul mare
e tu nel mio cuore.
La riva attende e invecchia. Tu non vieni mai.
Fugace il sentiero lunare sul mare che inghiottì
il veliero col quale a lungo avremmo vagato
condotti dal desiderio, suonando il flauto e la cetra
unendo canto e carne nell’argenteo vento.

Traduzione di Giacomo Oreglia