Sento i tuoi passi nella sala, sento in ogni nervo i tuoi rapidi passi che nessuno nota altrimenti. Intorno a me soffia un vento di fuoco. Sento i tuoi passi, i tuoi amati passi, e l’anima fa male. Cammini lontano nella sala, ma l’aria ondeggia dei tuoi passi e canta come canta il mare. Ascolto, prigioniera dell’oppressione che consuma. Nel ritmo del tuo ritmo, nel tempo del tuo tempo batte il mio polso nella fame.
Quieta voglio ringraziare il mio destino: mai ti perdo del tutto Come una perla cresce nella conchiglia, così dentro di me germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada. Se infine un giorno ti dimenticassi – allora sarai tu sangue del mio sangue allora sarai tu una cosa sola con me – lo vogliano gli dei
Nella penombra del museo notai all’improvviso un vaso etrusco, di certo un vaso per il miele, largo, con fianchi muliebri e orecchi buffamente all’insù come per ascoltare alla perfezione, e c’era un volto evidente che sempre sorrideva provocante, come se volesse offrire chissà quali segreti! Questo mi fece tacere ostinato per tutta la durata della visita. I piccoli vasi hanno anche orecchi.
Si posò la luce del giorno sul viso di un uomo addormentato. Gli giunse un sogno più vivido Ma non si svegliò. Si posò l’oscurità sul viso di un uomo in cammino Tra la gente nei raggi di sole Forti e impazienti. D’un tratto si fece buio come per il temporale. Io ero in una stanza che conteneva tutti gli istanti – Un museo di farfalle. Tuttavia il sole era forte come prima. I suoi pennelli impazienti dipingevano il mondo. Tomas Tranströmer (Stoccolma, 1931), traduzione di Franco Buffoni, in F. Buffoni, Songs of Spring. Quaderno di traduzioni (Marcos y Marcos, 1999)
Come un sospiro gli ascensori iniziano a salire in alti edifici fragili come porcellana. Fuori su l’asfalto si fa caldo il giorno. I segnali hanno le palpebre abbassate. La terra una salita verso il cielo. Cima dopo cima, nessuna vera ombra. Voliamo avanti a caccia di Te per l’estate in cinemascope. E di sera sono un vascello a luci spente, a giusta distanza dalla realtà, mentre a terra nei parchi fluisce l’equipaggio.
Nessun cielo di una notte d’estate senza respiro giunge così profondo nell’eternità, nessun lago, quando le nebbie si diradano, riflette una calma simile come l’attimo – quando i confini della solitudine si cancellano e gli occhi diventano trasparenti e le voci diventano semplici come venti e niente c’è più da nascondere. Come posso ora aver paura? Io non ti perderò mai.
Il meglio che possediamo non lo si può dare, non lo si può dire e neanche scrivere. Il meglio del tuo animo niente lo può lordare. Risplende profondo laggiù per te e per Dio solamente. È il colmo della nostra ricchezza che nessun altro possa raggiungerlo. È il tormento della nostra miseria che nessun altro possa averlo.
Come posso dire se la tua voce è bella. So soltanto che mi penetra e che mi fa tremare come foglia e mi lacera e mi dirompe. Cosa so della tua pelle e delle tue membra. Mi scuote soltanto che sono tue, così che per me non c’è sonno nè riposo, finché non saranno mie.
Certo che fa male, quando i boccioli si rompono. Perché dovrebbe altrimenti esitare la primavera? Perché tutta la nostra bruciante nostalgia dovrebbe rimanere avvinta nel gelido pallore amaro? Involucro fu il bocciolo, tutto l’inverno. Cosa di nuovo ora consuma e spinge? Certo che fa male, quando i boccioli si rompono, male a ciò che cresce male a ciò che racchiude. Certo che è difficile quando le gocce cadono. Tremano d’inquietudine pesanti, stanno sospese si aggrappano al piccolo ramo, si gonfiano, scivolano il peso le trascina e provano ad aggrapparsi. Difficile essere incerti, timorosi e divisi, difficile sentire il profondo che trae, che chiama e lì restare ancora e tremare soltanto difficile voler stare e volere cadere. Allora, quando più niente aiuta si rompono esultando i boccioli dell’albero, allora, quando il timore non più trattiene, cadono scintillando le gocce dal piccolo ramo, dimenticano la vecchia paura del nuovo dimenticano l’apprensione del viaggio – conoscono in un attimo la più grande serenità riposano in quella fiducia che crea il mondo.
La luna piena risplende sul mare e tu nel mio cuore. La riva attende e invecchia. Tu non vieni mai. Fugace il sentiero lunare sul mare che inghiottì il veliero col quale a lungo avremmo vagato condotti dal desiderio, suonando il flauto e la cetra unendo canto e carne nell’argenteo vento.
Traduzione di Giacomo Oreglia
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