I Guardami, signora dei viandanti, dal gradino della nostra notte buia! Ho tanto camminato nella notte di questo tempo, sconosciuto a me stesso portando la mano al petto e genuflesso per consolazione. Le ho fermate tutte le parole il peso che mi stringe le ginocchia gli alberi posati e respirati con l’animo leggero dei bambini. Io ho questo soltanto: questo peso che schiuma nella gola la mano col seme degli alberi i fiumi che si stringono al mio tempo. A moltitudini giungo a te e mostro il fango nelle scarpe piccole rese delle bocche qui, a distanza di anni senza onore e senza timore il fiato genuflesso della piccola preda. Guardaci, guardaci per sempre con lo sguardo buono delle bestie, del bambino nel tuo baratro, tendi le mani risorgi nel gonfalone dell’amore la più alta spina verticale. Veniamo a te nella distanza col tamburo lanciato nel sangue nell’angolo in cui gli occhi si fermano davanti al muro e ricordano, e ritornano al corpo pesato in grammi disperdono, nel grande ventre le prime parole tramandate dimenticano il desiderio l’orto fiorito dei giorni antelucani. Ora del crepuscolo. Fine della luce. (da Compitu re vivi, Il ponte del sale 2013)
Sei ancora quello della pietra e della fionda; uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, -t’ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri, come uccisero gli animali che ti videro per la prima volta. E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: “;Andiamo ai campi!”. E quell’eco fredda, tenace è giunta fino a te, dentro la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.
Un attimo uno solo -assoluto in cima al campanile- luce di sofferenza intelligente che tace nell’occhio del mattino senza scissure fraintendimenti si guarda e non si riconosce, il dio imperfetto, la grande amnesia. da AMNESIA DEL MOVIMENTO DELLE NUVOLE (ed. La VITA FELICE; Milano, 2003)
Un mare di gente a flutti disordinati s’è riversato nelle piazze, nelle strade e nei sobborghi. È tutto un gran vociare che gela il sangue, come uno scricchiolio di ossa rotte. Non si può volere e pensare nel frastuono assordante; nell’odore di calca c’è aria di festa.
Che ne sapeva della figlia monatta del tragitto obbligato montando i pezzi facendo combaciare cuciture -testadura ostinata tutta la vita concentrata a stanare ogni minimo difetto: l’orlo sfasato la spallina che cadeva male- provando e riprovando davanti allo specchio tra un vaevieni di porte aperte di musica di vento; di lana, ben cucito, quel tailleur gliel’ho fatto indossare l’otto marzo del duemilasette: le forbici e il ditale accanto la radiolina per farle compagnia tra detriti e dettagli nel pozzo della sordità . da DI DETTAGLI E DETRITI (Almanacco dello Specchio, Mondadori, 2010) (In memoria di Celeste C.: che è stata ed è.)
Succede. È successo più volte sempre quasi fuori quadro di sbieco tra le tempie e le lenti. Succede che qualcosa si rompe che si sgretola il soffitto sul sofà appena intravisto nell’atto di cedere, di essere cenere bianca: crepa. Avviene un principio un seguito e un esito che mentre succede accade una svista ma già sapevamo sarebbe successo che il bicchiere sull’orlo sarebbe caduto. Succede e anche spesso dell’altro di fianco, un alone di fatti, un lenzuolo disteso che si alza atterra in giardino e ricopre la nostra visione: un ospite atteso e la pioggia di rane. Luciano Mazziotta(Palermo, 1984), daPrevisioni e lapsus (Zona, 2014)
Stormo d’ali contro il sole, capitombolo nel vuoto. Desiderio, erezione, masturbazione, orgasmo. Strade silenziose, volti rassegnati: la notte inghiotte la città.
Ed ecco sul tronco si rompono gemme: un verde più nuovo dell’erba che il cuore riposa: il tronco pareva già morto, piegato sul botro. e tutto mi sa di miracolo; e sono quell’acqua di nube che oggi rispecchia nei fossi più azzurro il suo pezzo di cielo, quel verde che spacca la scorza che pure stanotte non c’era.
Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori… E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo: Buon Natale
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