Tanto lo so tra breve creperò se davvero tu esisti o dio o mio dio se fossi tu a tessere il tappeto stellato se questo tormento ogni giorno moltiplicato è per me un tuo esperimento indossa la toga curiale. La mia visita attendi sarò puntuale non tarderò ventiquattr’ore. Ascoltami altissimo inquisitore!
Gettami in viso la parola terribile. Perché non vuoi udire? Non senti che ogni tuo nervo contorto urla come una tromba di vetro l’amore è morto… l’amore è morto… ascolta rispondimi senza mentire… come due fosse in viso ti si scavano gli occhi… lo so che già consumato è l’amore. Ormai a più d’un segno vi riconosco la noia
Spostato su col gomito un lievito di nebbia, Colava biacca da una fiasca nera E a briglia sciolta nel cielo Canuto e greve caracollava fra le nuvole. Nel fuso rame di case stagnate A stento si contengono i trèmiti delle vie, Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria, I fumi diramavano le corna dentro il cielo. Cosce-vulcani sotto il ghiaccio delle vesti, Messi di seni mature già per il raccolto. Dai marciapiedi con ammicchi malandrini Frecce spuntate insorsero gelose. Stormo che a un colpo di tacco Si levi a volo nel cielo Preghiere di altezze presero al laccio Iddio: Con sorrisi da topi lo spennarono E beffarde lo trassero per la fessura d’una soglia. L’Oriente in un vicolo le scorse, Più in alto risospinse la smorfia del cielo E il sole dalla nera borsa strappato fuori Pestò con cattiveria le costole del tetto.
Com’è instabile il letto, in queste notti
di alberi che gesticolano
mentre ticchetta rapida la pioggia,
giocattolo di stagno, con i lesti
zoccoli al trotto su un tetto infinito,
verso il passato.
Su antiche strade i destrieri della pioggia
sdrucciolano rallentano ripartono,
per un groviglio d’anni stretti insieme;
ma non raggiungeranno mai le estreme
bassure, nel profondo del passato,
perché là splende il sole.
Leggete libri di ferro! Sotto il flauto d’una lettera indorata si arrampicheranno marene affumicate e navoni dai riccioli d’oro. E se con allegra cagnara turbineranno le stelle “Maggi”, anche l’ufficio di pompe funebri moverà i propri sarcofaghi. Quando poi, tetra e lamentevole, spegnerà i segnali dei lampioni, innamoratevi sotto il cielo delle bettole dei papaveri sui bricchi di maiolica.
Da est, da sud gente preme e persevera dolente. Tendono i biondi figli e grigi e neri dalle coste del mare, li spingono oltre l’asta doganale bianca e rossa di zucchero candito, li espongono alle porte della divina Europa. Europa, opulenta e stordita da sembrare un capriccio di Rubens, Europa che ascolta e non comprende, scorge e non vede la valanga palpitante dei poveri. Basterebbe tornare alla storia secondo il verso di recenti corsi per capire che in questo continente a un grappolo di popoli satolli accade quel che accadde alle caste nelle regioni di Francia e Russia con la fine del grande privilegio: intrise di commerci, di congettura, di blanda coscienza, ricche, nel corpo esangui, esangui dentro il talamo, troppo prossime ai mali e a pene d’altri per restare impunite da tanta voce e così urgenti bocche
Sono un albero cresciuto sul tetto, più gracile, più contorto, più basso di quelli normali, autentici, sicuri che io sia più superbo e più alto di loro.
Cказал, что к страху и болезни Сводилась жизнь, что длинной казнью Был каждый день, а ночь боязнью Гостей непрощеных. Сказал что этот мир не дом – вокзал Зал выживания, где все чего-то ждут Sergej Georgievic Stratanovskij (Leningrado, 1944), da Buio Diurno (Einaudi, 2009) Disse che a paura e malattia Si è ridotta la vita, che ogni giorno Era una lunga esecuzione, e la notte – timore Di ospiti inattesi. Disse Che questo mondo non è casa ma stazione, Sala di sopravvivenza, dove tutti attendono qualcosa
Бог в повседневности: в овощебазах, на фабриках В хаосе матчей футбольных, в кружке ларечного пива В скуке, в слезах безысходности, в письмах обиды любовной В недрах библейских дубов, в дрожи плоти от страха бескровной Cмотрит колхозник смиренный на Его тонкотканный шатер Kраски Его растер в мастерской остроглазый xудожник Кто он? Отец многоликий в многоочитых соборах Или младенец, играющий с утренней новой звездой? Sergej Georgievic Stratanovskij (Leningrado, 1944), da Buio Diurno (Einaudi, 2009) Dio è nelle cose di ogni giorno: nei magazzini d’ortofrutta, nelle fabbriche Nel caos degli incontri calcistici nel boccale di birra di un chiosco Nella noia, nelle lacrime scorate nelle lettere di un’offesa amorosa Nei recessi delle querce bibliche nel tremito della carne esangue di paura L’umile colcosiano osserva la Sua tenda di tessuto fine Nello studio ha impastato i Suoi colori un pittore dalla vista acuta Chi è Costui? Un Padre dai tanti volti dentro occhiute cattedrali O un bambino che gioca con una nuova stella del mattino?
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