Stranamente il vino blu si è fatto notte nella pozione della civetta. Notte della sapienza isoscele, cielo dell’intendere dalla rotondità di pesca. Splendidi sono cresciuti nello sguardo della civetta i favi levigati della caraffa squillante, i favi delle formule ebbre, le celle dei sentimenti dalle ali svolazzanti. Nottetempo la sobrietà si è fatta ebbra.
Squillanti i baci sono diventati civette nel vino blu. Strani i tuoi seni guardano con pupille d’ambra dalla caraffa levigata. Fidente ora mi fa cenno la simmetria delle pesche, lungo è il fruscio nella selva di croci alle finestre, calda bevo la sabbia stellare dalle piume azzurre dei tuoi capelli. Traduzione diGio Batta Bucciol
Poesia n. 293 Maggio 2014 Oskar Pastior. Dalle parole chiare al gioco di parole a cura di Gio Batta Bucciol
Tutto in te era estraneo, carne cresciuta in case sconosciute, imbevuta d’ore d’altra gente, dei profumi di lontane contemporaneità e di pensieri che mi si presentavano come scrittura a specchio. Addirittura portavi ali mai viste prima: venate di cifre e fumo come il corno e scure nella richiesta seria. Sale c’era sulle tue labbra, quando il tuo sguardo lanciò la stella nera. Questa io porto sul mio cuscino ed è onorificenza al mio sogno autunnale. Traduzione diGio Batta Bucciol
Poesia n. 293 Maggio 2014 Oskar Pastior. Dalle parole chiare al gioco di parole a cura di Gio Batta Bucciol
Quando sei via, pendono macine di pietra dal mio albero. Quando apri la porta del cortile, spuntano tante orecchie rosa dal fogliame. Ma con la pioggia, quando dormi, tutte le civettine spalancano gli occhi tra le fronde. Traduzione diGio Batta Bucciol
Poesia n. 293 Maggio 2014 Oskar Pastior. Dalle parole chiare al gioco di parole a cura di Gio Batta Bucciol
Poeti i misteriosi, gli schietti, una scatola cranica per elmo, per scudo un velo di cellofan, poeti, queste specie, queste seppie che si difendono schizzando inchiostro.
Ars poetica – una polemica Io sono io. Sono personale, soggettiva, intima, singolare, confessionale. Tutto quel che mi accade e si ripete accade a me. Il paesaggio che descrivo sono io stessa. Se vi interessano gli uccelli, gli alberi, i fiumi, consultate i libri degli esperti. Io non sono un dato uccello, un dato albero, un dato fiume. Io sono registrata solo come un Sé, Io, ovvero Io.
Cosa cerchi tu qui in vesti diafane mentre accosti una coppa di parole alle labbra indifferenti del tempo? chi ti ha fatto credere che gli stagni anelano alla luna e che un uccello danza al centro della terra? Perché non accetti il rifiuto, perché non leghi le gambe strette strette? Quel che accade intorno a te non è più affar tuo
Per via dell’autunno, preghiamo e piangiamo. Il tempo sbadiglia di freddo, voragine profonda. Non ci portano al cielo, atroce e lontano, né occhio né passo né fionda. Assumiamo volti pallidi, da setta. Maniche lunghe su braccia fanatizzate. Nascosta nelle maniche è una preda sospetta. Nessuno ci interroga, nessuno ci dissuade. Racconteremo domani che gli angeli ci volevano rubare – gesto molto grave – nel bosco, nel nostro vagare, Gesù, grondante sangue, la coscia nascosta nel lenzuolo. Traduzione diAnita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica
Poesia n. 288 Dicembre 2013 Nina Cassian. C’è modo e modo di sparire a cura di Ottavio Fatica
Testi tratti da: Nina Cassian C’è modo e modo di sparire a cura di Ottavio Fatica traduzione di Anita Natascia Bernacchia e Ottavio Fatica Adelphi Edizioni 2013
Nel mezzo dell’estate le foglie riarse impongono la loro grinzosa durata. Graffiano la tovaglia, si rimpiattano a volte dietro le nuove generazioni e poi, d’un tratto, scoprono i loro volti di megera, dal ghigno giallognolo-caffè. Nell’avvizzire sono assai costanti, assai coerenti nell’aggressività. Dirò questo soltanto: le foglie tenaci hanno becchi e artigli. Come quasi tutti noi invecchiano male. Come alcuni di noi sono immortali.
Per quanto avessi a soffrire Nel lungo straniare, Nel sogno ti ho sempre vista, Con luna, sull’onde del mare. Sul cupo mare ti ho cercato, Dalle lontane sponde, E solo tu ti sei mostrata Sul mare, con luna, dall’onde. Senpre il tuo dolce volto E blando per me spunta, La tua cera biondeggiante, Dall’onde del mare, con luna.
Le tende ormai calate, Siedo al tavolo d’ abete, Nel camin crepita il fuoco, Mentre vo sopprapensiero. Nella mente vanno a stuoli Dolci inganni. E ricordi Stridon lievi, come grilli Tra annosi neri muri. Oppur piovono nell’ alma E si frangon grevi e tristi Come gocciola la cera Ai piedi di Gesù Cristo. Nella stanza ai cantoni Pendono le ragnatele, E tra i libri a cataste Frusciano furtivi i topi. E in questa dolce quiete Alzo gli occhi al plafone E li ascolto rosicchiare Dure copertine e fogli. Quante volte ebbi in mente D’ appender la lira al chiodo, Metter fine alla poesia, Metter fine al deserto; Ma allora grilli, topi, Con il loro picciol passo, Mi riportan la tristezza Che sempre in verso muta. Qualche volta. . . Raramente. . . Che pel lume stesso è tardi, Sento il cuor rabbrividire Se il saliscendi stride. . . Ecco Lei. Per quanto vuota La casa se ne riempie, Nel telaio di sventura, Qual icona, ecco, splende. E m’ indispettisce il tempo Che non ferma il suo correr, Quando insieme sussurriamo, Le mani le labbra giunte.