Archivi tag: Poesia palestinese

Viaggiamo come gli altri

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Viaggiamo come gli altri, ma noi torniamo verso il nulla…
come se il viaggio fosse una strada di nubi.
Sepolti i nostri cari tra rami d’albero, all’ombra delle nuvole.
Alle donne dicemmo: partorite cento anni per completare questo
viaggio di un’ora verso un paese a un metro dall’impossibile.
Partiamo nella cassa del flauto, dormiamo nelle tende dei profeti
emergiamo dalle parole degli zingari,
misuriamo la nostra esistenza con il becco di un’upupa
e cantiamo per dimenticare la distanza,
laviamo la luce della luna.
La tua è una lunga strada,
sogna sette donne per portare in spalla questa lunga strada,
scuoti le palme per sapere i nomi
e da quale madre nascerà il figlio di Ğalāl.
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla, perché io appoggi il cammino su una pietra vera.
Il nostro è un paese di parole.
Parla, parla, per conoscere la fine di questo viaggio.

Verde la terra

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Verde la terra del mio poema, verde e alta…
Mi appare dal fondo del mio abisso…
Sei straniero,nel tuo significato.
Ti basta essere là,solo,per divenire tribù.
Ho cantato per pesare lo spazio sprecato
nel dolore della colomba,
non per spiegare ciò che Dio dice all’uomo,
non sono profeta per attribuirmi la rivelazione
e proclamar che il mio abisso è un’ascensione.

Quando si allontana

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Il nemico che prende il tè nella nostra capanna
ha una giumenta nel fumo e una figlia
con sopracciglia folte, occhi nocciola
e, sulle spalle, una chioma lunga
come una notte di canzoni. La sua immagine
non lo lascia tutte le volte
che viene da noi a chiedere il tè,
ma non ci dice cosa fa lei di sera, né parla
di una giumenta abbandonata
dalle canzoni in cima alla collina…

Per descrivere il fiore di mandorlo

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Per descrivere il fiore del mandorlo non mi giovano né enciclopedie
né vocabolari…
le parole mi trascinano nelle insidie della retorica,
la retorica ferisce il senso e loda la ferita
come il maschile detta al femminile i suoi sentimenti,
in che modo potrà risplendere allora il fiore del mandorlo nella mia lingua
che ne è l’eco?
Il fiore del mandorlo è trasparente come una risata d’acqua
che dalla timidezza della rugiada sboccia sui rami…
leggero come un bianco motivo musicale…
debole come l’apparire di un’idea che
spunta sulle dita
e inutilmente scriviamo…
denso come un verso di poesia che non può essere scritto
con parole.
Per descrivere il fiore del mandorlo devo visitare
l’inconscio, guidato verso i nomi dei sentimenti
appesi agli alberi. Qual è il suo nome?
Qual è il suo nome nella poetica del nulla?
Devo penetrare la gravità e le parole
per sentirne la leggerezza quando diventano
spettro sussurrante, così io divento loro e loro me,
trasparenti e bianche.
Le parole non sono patria e nemmeno esilio,
sono, invece, la passione del bianco nel descrivere il fiore del mandorlo.
Non neve né cotone, che cos’è dunque nella sua superiorità
alle cose e ai nomi?
Se l’autore riuscisse a comporre un brano
che descriva il fiore del mandorlo, svanirebbe la nebbia
sulle colline e un popolo intero direbbe:
eccole,
ecco le parole del nostro inno nazionale!

Passanti tra parole fugaci

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
portate i vostri nomi,
ed andatevene.
Ritirate i vostri istanti dal nostro tempo,
ed andatevene.
Rubate ciò che volete dall’azzurrità del mare
e dalla sabbia della memoria.
Prendete ciò che volete d’immagini,
per capire  che mai saprete
come una pietra dalla nostra terra
erige il soffitto del nostro cielo.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci
da voi  la spada … e da noi il  sangue
da voi l’acciaio, il fuoco … e da noi la  carne
da voi un altro carro armato … e da noi un sasso
da voi una bomba lacrimogena … e da noi la pioggia.
è nostro ciò che avete di cielo ed aria.
Allora, prendete la vostra parte del nostro sangue,
ed andatevene.
Entrate ad una festa di cena e  ballo,
ed andatevene.
Noi dobbiamo custodire i fiori dei martiri.
Noi dobbiamo vivere, come  desideriamo.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Come la polvere amara, marciate dove volete
ma non  fatelo  tra di noi, come insetti volanti.
L’aceto è nella nostra terra finché lavoriamo,
mietiamo il nostro grano, lo annaffiamo
con le rugiade dei nostri corpi.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
un sasso … o una soggezione.
Prendete il passato, se volete, e portatelo
al mercato degli oggetti artistici.
Rinnovate lo scheletro all’ upupa, se volete,
su un vassoio di terracotta.
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta:
abbiamo il futuro….e abbiamo
nella nostra terra, ciò che fare.
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
Ammassate le vostre fantasie in una
fossa abbandonata,  ed andatevene.
E riportate le lancette del tempo
alla legittimità del vitello sacro
o al momento della musica di una pistola !
Abbiamo qui ciò che non vi accontenta
abbiamo ciò che non c’è  in voi:
una patria sanguinante
un popolo sanguinante,  una patria
adatta all’oblio  o alla memoria ….
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci.
È giunto il momento che ve ne andiate
e dimoriate dove volete, ma non tra noi.
È giunto il momento che vi ne andiate
e moriate dove volete, ma non tra noi.
Abbiamo nella nostra terra, ciò che fare
il passato qui è nostro.
È nostra la prima voce della vita,
nostro il presente … il presente e il futuro
nostra, qui, la vita …e nostra l’eternità.
Fuori dalla nostra patria  …
dalla nostra terra … dal nostro mare
dal nostro grano … dal nostro sale
dalla nostra ferita …da ogni cosa.
Uscite dai ricordi della memoria
O voi, viaggiatori tra  parole fugaci !….

La terra è stufa di noi

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Ci respinge la terra
e ci costringe nell’ultimo varco
ci spogliamo dalle membra per poter passare.
Ci spreme la terra.
Magari fossimo il suo grano
per morire e
Rinascere.
Magari fosse madre nostra
Perché abbia pietà di noi.
Magari fossimo dipinti sulle rocce,
che il nostro sogno porterà,
come specchi.
Abbiamo visto i volti
Di chi verrà assassinato
Dall’ultimo di noi,
in difesa dell’anima!
Abbiamo pianto sulle feste
dei loro bambini.
Abbiamo visto i volti
di chi lancerà i nostri bambini
dalle finestre di questo ultimo spazio.
Specchi che la nostra stella appenderà!
Dove andremo dopo le ultime frontiere?
Dove voleranno le rondini dopo l’ultimo cielo?
E dove dormiranno gli alberi dopo l’ultimo
respiro d’aria?
Scriveremo i nostri nomi
Con vapore scarlatto,
interromperemo il canto,
perché lo completi la nostra carne lacerata.
Qui moriremo,
qui nell’ultimo passaggio,
qui o forse qui,
pianterà i suoi olivi il nostro sangue.

Fra Rita e i miei occhi

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Fra Rita e i miei occhi si leva un fucile.
Quelli che conoscono Rita,
s’inchinano e pregano i suoi occhi di miele divino.
Ho baciato Rita bambina,
lei si è stretta a me, lo ricordo…
I suoi capelli mi coprivano il braccio.
Ricordo Rita
come l’uccello ricorda la sua fontana.
Oh, Rita!
Un milione di immagini
un milione di uccelli
un milione di appuntamenti
sono stati assassinati da un fucile.
Il nome di Rita, festa per le mie labbra.
Il corpo di Rita, nozze per il mio sangue.
Per due anni, mi sono perduto in lei.
Per due anni lei si è distesa sul mio braccio,
uniti nel fuoco delle nostre labbra,
siamo resuscitati per due volte.
Oh, Rita!
Chi avrebbe potuto sciogliere i nostri sguardi,
prima che si levasse un fucile?
Oh, notte di silenzio!
C’era una volta…
Una luna è calata all’alba…
Lontano, in occhi di miele
E la città ha cancellato Rita e le canzoni…
Fra Rita e i miei occhi, si leva un fucile.

Eternità del fico d’India

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Dove mi porti padre?
Verso il vento, figliolo.
Via dal pianoro dove i soldati di
Bonaparte elevarono terrapieni
per spiare le ombre sui bastioni
vecchi di San Giovanni d’Acri.
Un padre disse al figlio: non avere
paura del fischio delle pallottole!
Aggrappati alla terra e sarai salvo.
Noi sopravviveremo,
saliremo
sui monti a settentrione, ritorneremo
quando i soldati vanno a casa,
lontano.
– Dopo di noi chi abiterà la nostra casa,
padre?
– Rimarrà, figliolo, tale e quale noi l’abbiamo lasciata.
Tastò le chiavi come fosse il suo corpo
e si sentì sicuro.
Passando una barriera di rovi, disse:
ricorda, figliolo, qui gli Inglesi
in croce, sulle spine di un fico d’India,
per due notti intere
misero tuo padre.
Ma non parlò. Tu crescerai
e agli eredi dei fucili
racconterai di quel sangue versato sul ferro.
– Perché hai lasciato il cavallo
alla sua solitudine, padre?
– Perché dia vita alla casa, figliolo.
Le case muoiono se parte chi le abita.
L’eternità apre le porte
da lontano ai viandanti della notte.
Ululano i lupi delle terre desolate
a una luna spaurita.
E un padre dice al figlio:
sii forte come tuo nonno,
sali con me l’ultimo poggio
delle querce, figliolo.
Ricordati: qui il giannizzero è caduto
giù dalla mula da guerra,
tieni duro con me
e ritorneremo
– Ma quando, padre?
– Fra un giorno, figlio, forse tra due.
Un distratto domani dietro a loro
masticava un lungo, notturno vento invernale.
I soldati di Giosuè
con le pietre della loro casa
edificavano una cittadella.
Erano ansanti sulla via di Cana.
Qui passò un giorno nostro Signore,
qui cambiò l’acqua in vino e a lungo parlò
dell’amore, ricordalo domani.
Ricorda i castelli dei crociati
annientati dall’erba d’aprile
alla partenza dei soldati.

Al figlio del nomade

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

Calza i tuoi sandali
e cammina sulla sabbia
che nessuno schiavo ha mai calpestato.
Sveglia la tua anima
e bevi alle sorgenti
che nessuna farfalla ha mai sfiorato.
Dispiega i tuoi pensieri
verso le vie lattee
che nessun folle ha osato sognare.
Respira il profumo dei fiori
che nessuna ape ha mai corteggiato.
Allontanati dalle scuole e dai dogmi:
i misteri del silenzio
che il vento rileva alle tue orecchie
ti bastano.
Allontanati dai mercati e dalla gente
ed immagina la fiera delle stelle
dove Orione allunga la sua spada,
dove sorridono le Pleiadi
intorno alla fiamme della Luna,
dove neppure un fenicio ha lasciato le sue tracce.
Pianta la tua tenda negli orizzonti
dove nessuno struzzo ha pensato di celare le sue uova.
Se tu vuoi risvegliarti libero
come un falco che plana nei cieli,
l’esistenza ed il nulla sospesi
alle sue ali,
la vita, la morte.

A Damasco

Mahmoud Darwish

Mahmoud Darwish

 

A Damasco, so chi sono io in mezzo al traffico
una luna splendente in una mano di donna mi conduce… a me.
Mi conduce una pietra puruficata nelle lacrime del gelsomino
poi dorme. Mi conduce la Barada povera nube
spezzata. La poesia cavalleresca conduce a me:
lì alla fine del lungo tunnel uno come me assediato
dalla sua ferita accenderà un cero, così lo vedrai
scrollare le tenebre dal suo mantello. Mi conduce il mirto
che ha sciolto le trecce sui morti e scaldato il marmo.
“Qui la morte è amore addormentato” conducono a me
i poeti, udriti o libertini,
sufi o blasfemi: se sei
diverso conoscerai te stesso, allora sii diverso, troverai
parole trasparenti sui fiori del mandorlo, e il celeste
ti farà recitare la pace. Io sono io a Damasco,
non un mio simile, non il mio fantasma. Io e il mio domani
mano nella mano, volteggiamo in ali d’uccello.
A Damasco cammino nel sonno, dormo camminando
abbracciato a una gazzella. Non vi è differenza
tra il suo giorno e la sua notte
se non per le colombe. Li c’è la terra
del sogno, alta, ma il cielo cammina nudo
e abita tra la gente di Damasco…