E io che guardo e chiedo se potrà mai finire. Ancora un’ora triste e non ho nulla più da offrire. Però c’è stato un tempo, sì, c’è stato ma scrivere oggi non mi salva le parole cui contavo di affidare tutto il male del mondo. Suona un disco fatto di vinile l’onda celeste e meccanica sale dentro il cielo di polvere tu credimi, che a volte vorrei il coraggio di non sapere. Siamo sempre più felici se crediamo di non essere in pericolo. Nicola Bultrini (Civitanova Marche, 1965), da La specie dominante (Nino Aragno Editore, 2014)
E’ un attimo di perdizione nel gesto dell’amore, smarriti i corpi in un pensare profondissimo. Così fu, credo, la creazione fatta per guardare il mondo e dire, come voce nel torace. Suona la sveglia all’alba, la casa negli odori che riposa. Anche noi obbediamo a una luce nella foschia che forza l’inverno e si procede per tentativi, strappi di motore per imparare a vivere un’ampia prospettiva poi capita talvolta che ceda la ragione ci abbandoniamo alla vertigine la vita nell’abisso, assolutamente. da LA SPECIE DOMINANTE (Aragno, 2014)
Esattamente così, nel sottile lasso di tempo tra il desiderio e la passione, noi eravamo. Dopo l’ultimo sospiro, lo sguardo un poco indietro trova nella stanza un cono d’ombra. Gli elementi hanno un loro equilibrio su cui poggiano le nostre vite. La pioggia fuori il tratto incerto, il vizio della forma che rende il sistema incompiuto ma sublime nella contemplazione. Ama per me questa certezza dei sentimenti. Poi se chiudo gli occhi e mi nascondo al tuo dolore abbi la forza di amare il mio silenzio. Nicola Bultrini (Civitanova Marche, 1965), daLa specie dominante(Nino Aragno Editore, 2014)
I pastori venivano dalla campagna romana all’inizio dell’estate di notte, lungo la via Valeria. In capo i muli, le greggi e quindi ragazzi silenziosi con i lumi a petrolio. A quel tempo l’altopiano era coltivato a grano, si doveva salire i monti per i pascoli aperti e non si scendeva mai, fino a settembre. Allora si dormiva tra le greggi portando in spalla una capanna di rami teneri di nocciolo. Intrecciati come un cesto facevano riparo solo per un corpo che di notte si sdraiava. Un occhio tra le stelle, l’orecchio attento perché a quel tempo la montagna era regno di lupi e di misteri. da LA SPECIE DOMINANTE (Aragno, 2014)
Il vento ha portato nuvole più grigie la finestra aperta sulla darsena. E dove sembra una precoce primavera il mondo è un corpo duro la ruggine unico punto di colore. L’ostinazione di voler capire le stagioni logora. Ma non è il nome dato alle cose che le identifica. Vedi le montagne hanno sempre un profilo femminile. Una donna che riposa piegata sul fianco le gambe raccolte. da LA SPECIE DOMINANTE (Aragno, 2014)
La mattina all’alba il prato è argento l’aria cristallo bagnata della notte. Poi tutto s’asciuga sotto al monte ombra dai boschi, manto dei muschi. Un silenzio ventoso fa il cielo lieve e mi distraggo vivendo il prato il tronco morso dal fulmine. Sopra me la roccia possente e muta un tuono sommesso di questo tempo mio, tradito ancora e incerto. Sono i sintomi di una bellezza incomprensibile, l’angoscia nei polmoni per non saperti dire, figlio, quanta ricchezza. I temporali estivi sono cosa prodigiosa. da LA SPECIE DOMINANTE (Aragno, 2014)
L’aroma fortissimo della pineta, l’umidità dell’aria sulle spalle, la corsa nelle braccia, il vento sulla fronte. Lo sciabordìo dell’onda sulla rena, mentre comincia a finir l’estate. La gente guarda, osserva e riconosce. Così il matto del paese, gesticola strillando al lungomare. Vuoi che non sapesse di me, di te, di questi drappi bianchi al sole. Credo nulla governi il caso. Guarda i bambini sulla spiaggia, come somigliano alle nuvole da qui. da LA CODA DELL’OCCHIO (Marietti, 2011)
Ma io non sapevo, non potevo sapere, che il tempo avrebbe, come ha fatto, la differenza. Quando mio padre s’affannava al superotto, io non capivo e a volte distratto non credevo, che il tempo avrebbe slavato i colori, i rumori. Guarda, guarda bene, c’erano tutti o quasi. Il cielo d’alluminio e un suono dal mare, come d’azzurro. Queste ed altre cose io non vedevo, andando via di schiena, o forse immaginavo, con la coda dell’occhio. da LA CODA DELL’OCCHIO (Marietti, 2011)
Noi giganti siamo rimasti in pochi circondati da uomini piccoli senza ombra. Alcuni ci graffiano rabbiosi le caviglie altri ci ignorano fingendo di dormire. Ma a noi giganti non va di partire. La terra che abbiamo è una misericordia colma di frutti e soli del mattino. Abbiamo figli e una ricchezza di doveri che è tutta la nostra libertà. Non abbiamo paura del dolore dello spettro luminoso del silenzio e se la notte si muovono i fantasmi ci chiamiamo per nome, uno per uno e ci abbracciamo come capita nel buio. Mentre agli uomini tremano le vene ai polsi, noi giganti continuiamo a camminare nel gelo luminoso di gennaio saldi nelle gambe, controvento. da LA SPECIE DOMINANTE (Aragno, 2014)
Non è che non mi piaccia l’avventura, va bene anche sposarsi, avere cura. La corsa contromano degli eventi, gridare, nervi tesi, fino al pianto. Va bene il salto a vuoto, il calcolo del rischio. Ma è quel passo incerto del pensiero, lo scricchiolìo del mondo, talvolta, che mi fa un po’ paura. da LA CODA DELL’OCCHIO (Marietti, 2011)
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