Rocco Scotellaro
Carte abbaglianti e pozzanghere nere…
hanno pittato la luna
sui muri scalcinati!
I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno si era tutti fratelli,
come nelle feste dei santi
Carte abbaglianti e pozzanghere nere…
hanno pittato la luna
sui muri scalcinati!
I padroni hanno dato da mangiare
quel giorno si era tutti fratelli,
come nelle feste dei santi
Questa terra grigia lisciata dal vento nei suoi dossi
nella sua galoppata verso il mare,
nella sua ressa d’armento sotto i gioghi
e i contrafforti dell’interno, vista
nel capogiro dagli spalti, fila
luce, fila anni luce misteriosi,
fila un solo destino in molte guise,
dice: “guardami, sono la tua stella”
e in quell’attimo punge più profonda
il cuore la spina della vita.
Questa terra toscana brulla e tersa
dove corre il pensiero di chi resta
o cresciuto da lei se ne allontana.
Tutti i miei più che quarant’anni sciamano
fuori del loro nido d’ape. Cercano
qui più che altrove il loro cibo, chiedono
di noi, di voi murati nella crosta
di questo corpo luminoso. E seguita,
seguita a pullulare morte e vita
tenera e ostile, chiara e inconoscibile.
Tanto afferra l’occhio da questa torre di vedetta.
in principio ho camminato
la bora non ha smesso di frustarmi le dita
non potevo restare
non più solo
non più domani
nessuno sarebbe partito
per nessuno motivo
dalle strette agli strappi
dalle mani giunte sarebbe sfuggito
assolo di tutti coloro che andranno
pietre spaccate nel corpo del suono
mani dissolte nel grasso dell’ombra
non possedevo estremità di parola
incomparabile forse è chi ama
nel congedo dilaniato
del profondo
da incerti umani
Mi ’ggià skattà ’a cape
’mbacce a nu mure
ppi nu pinziere
avere ièsse
vere
i’èsse tagghiènte
culle ca non pote cchiù nniente.
da Cani e porci
Nella grotta la lingua oscilla
appesa ai pensieri
ed è la voce
la fune che strozza
quando tradisco per nome le cose
da L’ossario del sole
Nessuno mi contiene
che sembro tanto quel fiume
dei tredici anni
che s’inghiottiva pietre
ginestre e rami spezzati
e chissà dove andava a morire
Sempre a questo ho pensato.
da Cani e porci
Non oso pensare
alla foglia che stride nelle ossa
dove sei
ancora una volta sei
il reggimento della mia impazienza
il fuoco della lingua
che veglia sul nostro accordo
Tutto può essere
Noi siamo la nostra mancanza
da L’ossario del sole
quante parole mute
a lungo nello scafo del cuore
talvolta pesanti
innumeri parole irrimediabilmente assolte
in quella combustione fin d’allora avvenuta
quante a lungo termine nell’imprecisato luogo
chi non vi pronuncia?
chi getta sabbia sull’aurora?
il vento fa fischiare i muri
i visi prematuri
non resta che il cammino
che marcia senza l’uomo
da incerti umani
Tutte le volte che ci sono passato
per le vie e la folla
Io ero solo
più solo
di una croce in mezzo al camposanto.
da Cani e porci
vanno verso qualche cosa di ghiaccio
i fiumi che
pronunciamo
tra le sponde dei labbri
verso un non scorrere
mai divenuti mare
un restare
alle prese della cute
(eterno ghiacciare)
uno di noi se mai fosse stato
uno di noi qui raggelato
quanto manca per dire che siano ossa
le lame che frangono la terra?
aliti vi siete fatti
cristalli in mezzo alla scia
bruciando
da incerti umani