le notizie sono di un’eclisse del settanta per cento al peggio delle aspettative & probabilmente uno dei Suoi verdetti più misurati le notizie sono di tre pulcini morti per un improvviso inverno lampo i loro cadaveri in airtex ritrovati sul prato le notizie sono di un surriscaldamento terrestre per noi uva & olive & per loro deserto il nostro giardino è morto nell’estate dei ‘06 & Dublino è rimasta senz’acqua & faceva troppo caldo per tenere le finestre chiuse sulla strada verso ovest anche se all’ombra dell’antico viadotto dove tanto tempo fa prima del riscaldamento globale un giovane si è impiccato per la disperazione di ciò che restava della strada ferrata
Che ne sarà dei nostri figli i cui insegnante non leggono più che per giocare usano la punta delle dita quando ogni bussata alla porta è un colpo & le leggi dell’ospitalità sono state sospese a tempo indefinito quando le notizie sono più eccitanti dei cartoni quando le cose sono o nostre o cattive & la reality TV è la TV realtà & tutti i tipi di intelligenza sono inaffidabili eccetto la contro-intelligenza & il sogno di chiunque è possibile & non esiste nulla di impossibile eccetto lo spazio qualcosa che i loro nonni avevano un sogno impossibile anche per gli astronauti ora (Traduzione di Adele D’Arcangelo)
Ho udito i vecchi, i vecchissimi, dire: « Tutto muta, E a uno a uno noi scompariamo », Avevano mani simili ad artigli, e le ginocchia Contorte come i pruni antichi Presso le acque. Ho udito i vecchi, i vecchissimi, dire: « Tutto ciò che è bello trascorre via Come le acque ».
Ti porto con mani religiose i libri dei miei sogni innumerevoli, o bianca donna che la passione ha consumato come la spiaggia bigia consuma la marea, e con cuore più vecchio del corno colmato dal pallido fuoco del tempo: o bianca donna dei sogni innumerevoli, ti porto le mie rime di passione.
Quando sarai vecchia e grigia e di sonno onusta, e sonnecchierai vicino al fuoco, prendi questo libro e lenta leggi, e sogna il dolce sguardo che avevano un tempo i tuoi occhi, e la loro ombra profonda. In molti amarono i tuoi attimi di felice grazia e amarono la tua bellezza con amore falso o vero, ma un uomo solo amò la tua anima pellegrina, e amo le pene del viso tuo che incessante mutava. Piegati ora accanto all’ardente griglia del camino e sussurra, con qualche tristezza, come l’amore scomparve, e vagò alto sopra le montagne, e nascose il suo viso in uno sciame di stelle.
Gli alberi sono nella loro bellezza autunnale, i sentieri del bosco sono asciutti, nel crepuscolo di ottobre l’acqua riflette un cielo immobile; sull’acqua fra le pietre ci sono cinquantanove cigni. È questo il diciannovesimo autunno da quando la prima volta li contai; li vidi, prima che finissi il conto, tutti all’improvviso alzarsi e disperdersi volteggiando in grandi cerchi spezzati sulle ali rumorose. Ammirai quelle splendenti creature e ora il mio cuore è triste. Tutto è cambiato da quando io, ascoltando al crepuscolo la prima volta, su questa riva, lo scampagnio delle loro ali sopra il mio capo, camminavo con passo più leggero. Instancabili, amata e amante, remano nelle fredde correnti amiche o scalano l’aria; i loro cuori non sono invecchiati; passione o conquista ancora li accompagna nel loro errante vagare. Ma ora si lasciano andare sull’acqua immobile, misteriosi, stupendi. Fra quali giunchi costruiranno il nido, su quale sponda di lago o stagno incanteranno occhi umani quando al risveglio un giorno scoprirò che son volati via?
L’uccello sospira per desiderio d’aria, Il pensiero per non so qual luogo, Per il grembo il seme sospira. Ora scende un medesimo riposo Sulla mente, sul nido, Sulle cosce sforzate.
Tra il mio pollice e l’indice sta la comoda penna, salda come una rivoltella. Sotto la finestra, un suono chiaro e graffiante all’affondare della vanga nel terreno ghiaioso: è mio padre che scava. Guardo dabbasso finché la sua schiena piegata tra le aiuole non si china e si rialza come vent’anni fa ritmicamente tra i solchi di patate dove andava scavando. Con lo stivale tozzo accoccolato sulla staffa, il manico contro l’interno del ginocchio sollevato con fermezza, sradicava alte cime e affondava la lama splendente per dissotterrare le patate novelle che noi raccoglievamo amandone tra le mani la fresca durezza. Il mio vecchio potrebbe impugnare una vanga presso Dio, proprio come il suo vecchio. Mio nonno estraeva più torba in un giorno di qualsiasi altro uomo su, alla palude Toner. Una volta gli portai del latte in una bottiglia turata alla meglio con un pezzo di carta. Si raddrizzò e lo bevve, poi subito riprese a lavorare intaccando e dividendo, mentre con piote sulle spalle andava sempre più a fondo in cerca di buona torba. Scavando. L’odore freddo dei solchi di patate, il tonfo e lo schiaffo dell’umida torba, i tagli netti di una lama tra le radici vive si destano nella mia memoria. Ma non ho una vanga per succedere a uomini come loro. Tra il mio pollice e l’indice sta comoda la penna. Scaverò con quella.
Sento la tensione del capestro alla sua nuca, il vento contro il petto nudo. Rende i suoi capezzoli perle d’ambra, scuote la fragile struttura delle sue costole. Vedo il suo corpo annegato nella palude, la pesante pietra, i rametti e i fuscelli galleggianti, sotto cui dapprima era un arboscello scortecciato estratto dalla melma – ossa di quercia, cervello a barilotto, la testa rasata simile a stoppia di granturco, gli occhi bendati da un lino lercio, il cappio un anello per cingere le memorie dell’amore. Piccola adultera, prima che ti punissero avevi capelli biondi come l’oro, eri denutrita e la tua faccia imbrattata di pece era bellissima. Mia povera vittima, quasi ti amo, ma avrei scagliato, lo so, la pietra del silenzio. Io sono l’abile voyeur delle onde scurite ed esposte del tuo cervello, del tessuto ritorto dei tuoi muscoli e di tutte le tue ossa numerate, io che ristetti ammutolito quando le tue sorelle traditrici imbrattate di pece piansero presso il cancello, io che sarei stato complice dell’oltraggio civilizzato, capisco tuttavia l’esatta, tribale ed intima vendetta.
E qualche volta trovate il tempo di andare in auto
ad ovest
in County Clare, lungo la Flaggy Shore,
a settembre o ottobre, quando il vento
e la luce si azzuffano così che da una parte
l’oceano è pazzo di schiuma
e bagliori, e all’interno fra le pietre
la superficie di un lago color ardesia è illuminata
dal lampo terrestre di uno stormo di cigni,
le piume scompigliate e soffiate, bianco su bianco,
le teste adulte dall’aria ostinata
sommerse o affioranti o indaffarate sottacqua.
Inutile pensare di posteggiare e cogliere la scena
più completamente. Non sei né qua né là,
una fretta per cui passano cose note e ignote
mentre forti morbide folate prendono l’auto di sbieco
e sorprendono il cuore sovrappensiero e lo aprono
d’un soffio.
Traduzione di Massimo Bacigalupo
I settant’anni di Seamus Heaney a cura di Massimo Bacigalupo
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