Fammi essere forte,
forte di sonno e di intelligenza
e forte di ossa e fibra;
fammi imparare,
attraverso questa disperazione,
a distribuirmi:
a sapere dove e a chi dare
a riempire i brevi momenti
e le chiacchiere casuali
di quell’infuso speciale
di devozione e amore
che sono le nostre epifanie.
A non essere amara.
Risparmiamelo il finale,
quel finale acido citrico aspro
che scorre nelle vene
delle donne in gamba
e sole.
A voi, ragazze isolate del secolo condottiere silenziose, sconosciute alla gente voi, sulle cui labbra è morto il sorriso, voi che siete senza voce in un angolo sperduto, piegate in due, cariche dei ricordi, nascosti nel mucchio dei rimpianti se tra i ricordi vedete il sorriso ditelo: Non avete più voglia di aprire le labbra, ma magari tra le nostre lacrime e urla ogni tanto facevate apparire la parola meno limpida.
Per tutte le violenze consumate su di lei per tutte le umiliazioni che ha subito per il suo corpo che avete sfruttato per la sua intelligenza che avete calpestato per l’ignoranza in cui l’avete lasciata per la libertà che le avete negato per la bocca che le avete tappato per le ali che le avete tagliato per tutto questo in piedi, Signori, davanti ad una Donna. E non bastasse questo inchinatevi ogni volta che vi guarda l’anima perché Lei la sa vedere perché Lei sa farla cantare. In piedi, Signori, ogni volta che vi accarezza una mano ogni volta che vi asciuga le lacrime come foste i suoi figli e quando vi aspetta anche se Lei vorrebbe correre. In piedi, sempre in piedi, miei Signori quando entra nella stanza e suona l’amore e quando vi nasconde i dolore e la solitudine e il bisogno terribile di essere amata. Non provate ad allungare la vostra mano per aiutarla quando Lei crolla sotto il peso del mondo. Non ha bisogno della vostra compassione. Ha bisogno che voi vi sediate in terra vicino a Lei e che aspettiate che il cuore calmi il battito che la paura scompaia che tutto il mondo riprenda a girare tranquillo e sarà sempre Lei ad alzarsi per prima e a darvi la mano per tirarvi su in modo da avvicinarvi al cielo in quel cielo alto dove la sua anima vive e da dove, Signori, non la strapperete mai.
Aveva combattutoper la libertà,disse accendendo il fornello del gas. Sulle montagne abbiamo combattuto… giorni gloriosi… testarda nelle parole affaticata nella cucina trascurata con il frigorifero ingiallito e la fotografia sbiadita del marito scomparso. La casa piena di cupe stanze soffocate di tappeti.
uscimmo nella bassa veranda le calze pesante nero pece il vestito a trama grezza il blu indaco di qualche fiore selvagio i vicini che ancora dormivano la domenica. Ritorna,disse guardando la strada ventosa e il Municipio acquattato sulle sue gambe d’elefante, torna ancora.
Certe donne sposano case. È un altro tipo di pelle; ha un cuore, una bocca, un fegato e movimenti intestinali. Le pareti sono stabili e rosa. Guarda come sta in ginocchio tutto il giorno, a lavarsi fedelmente. Gli uomini entrano con la forza, risucchiati come Giona nelle loro madri carnose. La donna è madre di se stessa. È questo che conta.
Mille porte fa quando ero una ragazzina solitaria in un’enorme casa con quattro garage e se ben ricordo era estate, di notte mi sdraiavo in giardino, il trifoglio raggrinzito sotto di me, le sagge stelle distese sopra di me, la finestra di mia madre un imbuto da cui usciva un calore giallo, la finestra di mio padre, socchiusa, un occhio dove passa chi dorme, e le assi della casa erano lisce e bianche come cera e probabilmente milioni di foglie navigavano come vele sui loro strani gambi mentre i grilli ticchettavano all’unisono e io, nel mio corpo nuovo di zecca, non ancora di donna, facevo domande alle stelle e credevo che Dio potesse veramente vedere il calore e la luce colorata, i gomiti, le ginocchia, i sogni, la buonanotte.
Settembre arioso come in Vivaldi un fascio di mandolini. Bambini scrollano con i bastoni frutti dall’albero. Le stanze sono tappezzate d’argento. Canzone vento. Non c’è nulla da compiangere. Dalle botole lasciate aperte sale la prima nebbia. Traduzione di Gio Batta Bucciol
Poesia n. 299 Dicembre 2014 Karl Krolow. Ermetismo e geometria a cura di Gio Batta Bucciol
La bocca fiorisce come un taglio. Sono stata maltrattata tutto l’anno, notti noiose, con nient’altro che ruvidi gomiti e delicate scatole di Kleenex che dicono piagnona piagnona, stupida! Fino a oggi il mio corpo era inutile. Ora si strappa da ogni parte. Strappa via gli indumenti della vecchia Mary, nodo dopo nodo ecco: ora è colpito in pieno da questi fulmini elettrici. Zac! Una resurrezione! Un tempo c’era una barca, tutta legnosa e disoccupata, senza il mare sotto di lei e bisognosa di una verniciatura. Non era altro che un mucchio di assi. Ma tu l’hai issata, l’hai armata. È stata prescelta. I miei nervi si sono accesi. Li sento come strumenti musicali. Dove c’era silenzio tamburi e archi suonano irrimediabilmente Sei stato tu a farlo. Puro genio all’opera. Tesoro, il compositore è entrato nel fuoco.
State attenti alle parole, anche a quelle miracolose. Per le miracolose diamo il meglio, brulicano alle volte come insetti lasciando non un pizzico ma un bacio. Possono essere buone come le dita. Possono essere affidabili come le rocce su cui mettiamo il sedere. Ma possono essere sia margherite che ferite. Eppure io le amo. Sono colombe cadute dal soffitto. Sono sei arance sacre appoggiate in grembo. Sono gli alberi, le gambe dell’estate, e il sole, con il suo volto appassionato. Eppure spesso mi deludono. Ho così tanto da dire, così tante storie, immagini, proverbi, ecc. Ma le parole non ce la fanno, mi baciano quelle sbagliate. A volte volo come un’aquila ma con le ali dello scricciolo. Provo comunque a prendermene cura e ad essere gentile. Uova e parole vanno maneggiate con cura. Una volta rotte non si possono riparare.
Quando l’uomo entra nella donna, come un’onda che addenta la spiaggia, ancora e ancora, e la donna spalanca la bocca di piacere e le brillano i denti come un alfabeto, il Verbo appare mentre munge una stella, e l’uomo dentro la donna stringe un nodo così da non essere mai più separati e la donna sale su un fiore ne ingoia lo stelo e il Verbo appare a liberare i loro fiumi. Quest’uomo, questa donna nella loro duplice fame, cercano di spingersi oltre la cortina di Dio e per un attimo ci riescono, ma Dio nella Sua perversità scioglie il nodo.
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