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Si diventa scemi insieme

Valerio Grutt

Valerio Grutt

Si diventa scemi insieme
per la vita
col tempo ci si assomiglia.
Si regola il passo per attraversare
la strada, si finisce di mangiare
contemporaneamente.
Voglio diventare scemo con te
guardare i fiori esplosi sul davanzale
far crescere la terra con i sogni.
Essere insieme lo spettacolo
del giorno che comincia.
Valerio Grutt (Napoli, 1983), da Dammi tue notizie e un bacio a tutti(Interno Poesia, 2018)

Se tu fossi stata innamorata di me

Valerio Grutt

Valerio Grutt

Se tu fossi stata innamorata di me
avrei trovato aperto un supermercato deserto
in cima alle stelle pieno di cioccolato
con gli scaffali lunghi del tempo rimasto sulle autostrade
e tu seduta nel carrello con un sorriso d’albero
avresti detto: voglio questo e voglio quello!
e invece patetico come l’uomo farò la fila con gli altri
e triste la cassiera mi darà il resto nel giorno grigio di un K.O.
Valerio Grutt (Napoli, 1983), da Una città chiamata le sei di mattina (Edizioni della Meridiana, 2009)

Ai poeti del secolo 21

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Ci sono tulipani e begonie a un chilometro da qui
un solo chilometro dall’inverno e dalla pioggia
ma io rimango a qualche metro di campeggio
fuori città, come il buon amico Saba,
che aspettava lettere di due anni prima a vuoto.
Non mi interessa più fare il campione
di galateo plebeo e intelligenza interessata
e solo questi fiori posso dare, tulipani e begonie
fuori stagione, strappati da un mondo sotto sale
di veleno e indifferenza che vi annienterà tutti.
Ma è a te che li porto questi fiori
come è vero che non c’è altro motivo
che farti entrare in questo libro facile e vicino
che ti cerca e ti trascina nel tuo mondo
non per restarti in cuore, come in fondo vorrebbe,
ma per dirti chi eri e cosa hai perso
per diventare qualcuno o qualcosa,
mentre siamo niente, fratello, siamo niente.
(Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)

Fine settembre

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Si presentano a orari in cui ognuno prende il volo,
verso le sette di sera quando ancora c’è il sole,
e con i loro gridi prendono forme umane,
un gigante, per esempio, o un volto conosciuto,
tanto che l’occhio non distingue il perché del movimento
e vorrebbe saperne di più, ma questi stormi
fanno a gara con corriere e treni di fortuna
a sparire per primi, risucchiando
il brusio dei pendolari, la stanchezza dei passi,
la finzione di tutto.
Vanno dove si disperdono altre voci,
questa volta scaturite dalle case in lontananza,
e c’è chi come noi ricorda vagamente
dove abbiamo ascoltato per primi
le parole che non hanno ritorno.
(Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)

Insonnia

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Ho lottato col sonno questa notte.
Voleva dirottare i miei pensieri
ed impastarli sotto le coperte
per farne un film di incubi stranianti.
Avrei visto una casa di cemento
dove è morta l’infanzia, la natura
abbandonare il pianeta, e mia madre,
bellissima, perseguitarmi.
Ma l’ho fermato in tempo e sono sveglio,
pregando ogni momento con tensione,
fissando con terrore il lampadario,
la finestra, la luna, e infine Dio.
(da Formazione del bianco, Manni, Lecce 2007)

Moderato con violenza

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Come un mare non ancora potato né descritto
strappa via da sé ogni alga e corallo
e resta nudo come fosse stato dragato
mentre arriva pianissimo alla pagina,
ma dopo è difficile parlarne
di questa creatura che dorme al sole
senza pensare a persone
che hanno strappato da sé la propria vita
con un ferro rovente o una tenaglia
da criminale, senza un vero motivo,
solo per farsi più male o perché l’hanno sentita
questa voglia di annullarsi per essere obbedienti,
pensiamo a negozi con la serranda a mezz’asta,
a barche capovolte sotto il pelo dell’acqua,
a uomini colpevoli come me, insomma,
che ancora di questa colpa cercano ragione.
(Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)

Incerto sapere

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Fare, della vita, ipotesi
accorata del sapere, tutta,
fino al discendere del fuoco
nelle aperte lanterne, fino
alla notte degli incontestabili
spazi dell’interna verità,
il punto morto, il chiuso
magma, dove mai giunga
al ribollire dei sensi,
sublime ipotesi dell’accadere,
lontano piacere a placarsi.
(Da Mattinale, Caramanica, Marina di Minturno – Lt – 2006)

Il premio del deserto

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Non troviamo scritto che egli abbia mai
mormorato contro Dio, ma sopportava la fatica
rendendo grazie, per questo Dio lo prese con sé.
Detti dei Padri del deserto, Collezione anonima, 376
Delle pigre montagne lanciate a mormorazione
delle nubi e dei falchi contro la spettrale solitudine,
quelle che vanno da Mercogliano a Fossanova
hanno più da dire, più da parlare intorno al mondo
che in questa similitudine fabbrica stipiti e porte ingannatrici,
grandi messaggi di pietra e di grotte sul dosso dell’aurora:
la più grande vittoria è di chi sa stare in piedi
restare utile nella grande selva di tutti gli io
passati, futuri e venienti,
la tavola appena raccolta sotto il delirio
floreale della casa al mare, anzi sottomarina,
il tutto sparito sotto una coltre di anni abnegati,
i vestiti chiari, il roseo passaggio di venti e barche
sotto il porto turistico e il molo riservato
ai pochi che ancora non sanno cos’è stato
l’urto solenne della vita col suo cono d’ombra,
la sua scomparsa per le mille feritoie del tempo.
(Da Fermata del tempo, Marcos y Marcos, Milano 2015)

Contabilità infinita Annum per annum

Stelvio Di Spigno

Stelvio Di Spigno

Gli anni mi si siedono davanti.
Sui sandali, vestiti da padroni.
Parlano.

Ci hai portato a palazzo, ti abbiamo vaccinato,
come un pezzo d’avorio infarinato
di segale ferrigna e minestra di dolori,
e noi a farti da balia, perché non ti perdessi,
mentre tutto era contato, era meno di niente, e tu
squadernato di smanie, senza frutto, senza onore,
una scopa col manico di sale.
Hai vissuto in stratosfera, hai muggito
credendo a ogni fuoco castrato in desiderio,
e il tuo tempo, smisurato, fu una fede
messa al dito per dispetto, l’hai pestato
nelle corse di notte, con le donne degli altri,
con le droghe e le toghe di cui si veste chi è doloso.
Ora vengono i treni pieni d’altri messi male:
l’odore di vergogna, il sudore del paesaggio,
cemento dentro e fuori, l’inferno incatenato
momento per momento. Dappertutto,
un diamante sfiorito nel suo osso.

Ecco cosa ripetono i miei anni.
Non posso rinfacciare. Non ringrazio, non ho vita
da opporre alla fatica. Solo che non duri
il silenzio di quanto mi ha scaldato. Che il teatro
non mi resti sulle spalle senza attori.
Che non debba mangiarla fino in fondo
l’ortica che ho piantato sui miei passi.
E che Dio, in eterno, mi perdoni.
(Da Fermata del tempo, Marcos y Marcos, Milano 2015)