Si diventa scemi insieme per la vita col tempo ci si assomiglia. Si regola il passo per attraversare la strada, si finisce di mangiare contemporaneamente. Voglio diventare scemo con te guardare i fiori esplosi sul davanzale far crescere la terra con i sogni. Essere insieme lo spettacolo del giorno che comincia. Valerio Grutt (Napoli, 1983), da Dammi tue notizie e un bacio a tutti(Interno Poesia, 2018)
Se tu fossi stata innamorata di me avrei trovato aperto un supermercato deserto in cima alle stelle pieno di cioccolato con gli scaffali lunghi del tempo rimasto sulle autostrade e tu seduta nel carrello con un sorriso d’albero avresti detto: voglio questo e voglio quello! e invece patetico come l’uomo farò la fila con gli altri e triste la cassiera mi darà il resto nel giorno grigio di un K.O. Valerio Grutt (Napoli, 1983), da Una città chiamata le sei di mattina (Edizioni della Meridiana, 2009)
Ci vuole coraggio per essere felici, tempeste, clamori, impeto ha la felicità. Discese violente, sbalzi improvvisi e costante impazzire dei sensi. Bisogna essere eroi per sorridere, accogliere il cielo e la terra nel petto. Valerio Grutt (Napoli, 1983), da Qualcuno dica buonanotte (Alla chiara fonte, 2013)
Ci sono tulipani e begonie a un chilometro da qui un solo chilometro dall’inverno e dalla pioggia ma io rimango a qualche metro di campeggio fuori città, come il buon amico Saba, che aspettava lettere di due anni prima a vuoto. Non mi interessa più fare il campione di galateo plebeo e intelligenza interessata e solo questi fiori posso dare, tulipani e begonie fuori stagione, strappati da un mondo sotto sale di veleno e indifferenza che vi annienterà tutti. Ma è a te che li porto questi fiori come è vero che non c’è altro motivo che farti entrare in questo libro facile e vicino che ti cerca e ti trascina nel tuo mondo non per restarti in cuore, come in fondo vorrebbe, ma per dirti chi eri e cosa hai perso per diventare qualcuno o qualcosa, mentre siamo niente, fratello, siamo niente. (Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)
Si presentano a orari in cui ognuno prende il volo, verso le sette di sera quando ancora c’è il sole, e con i loro gridi prendono forme umane, un gigante, per esempio, o un volto conosciuto, tanto che l’occhio non distingue il perché del movimento e vorrebbe saperne di più, ma questi stormi fanno a gara con corriere e treni di fortuna a sparire per primi, risucchiando il brusio dei pendolari, la stanchezza dei passi, la finzione di tutto. Vanno dove si disperdono altre voci, questa volta scaturite dalle case in lontananza, e c’è chi come noi ricorda vagamente dove abbiamo ascoltato per primi le parole che non hanno ritorno. (Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)
Ho lottato col sonno questa notte. Voleva dirottare i miei pensieri ed impastarli sotto le coperte per farne un film di incubi stranianti. Avrei visto una casa di cemento dove è morta l’infanzia, la natura abbandonare il pianeta, e mia madre, bellissima, perseguitarmi. Ma l’ho fermato in tempo e sono sveglio, pregando ogni momento con tensione, fissando con terrore il lampadario, la finestra, la luna, e infine Dio. (da Formazione del bianco, Manni, Lecce 2007)
Come un mare non ancora potato né descritto strappa via da sé ogni alga e corallo e resta nudo come fosse stato dragato mentre arriva pianissimo alla pagina, ma dopo è difficile parlarne di questa creatura che dorme al sole senza pensare a persone che hanno strappato da sé la propria vita con un ferro rovente o una tenaglia da criminale, senza un vero motivo, solo per farsi più male o perché l’hanno sentita questa voglia di annullarsi per essere obbedienti, pensiamo a negozi con la serranda a mezz’asta, a barche capovolte sotto il pelo dell’acqua, a uomini colpevoli come me, insomma, che ancora di questa colpa cercano ragione. (Da La nudità, peQuod, Ancona 2010)
Fare, della vita, ipotesi accorata del sapere, tutta, fino al discendere del fuoco nelle aperte lanterne, fino alla notte degli incontestabili spazi dell’interna verità, il punto morto, il chiuso magma, dove mai giunga al ribollire dei sensi, sublime ipotesi dell’accadere, lontano piacere a placarsi. (Da Mattinale, Caramanica, Marina di Minturno – Lt – 2006)
Non troviamo scritto che egli abbia mai mormorato contro Dio, ma sopportava la fatica rendendo grazie, per questo Dio lo prese con sé. Detti dei Padri del deserto, Collezione anonima, 376 Delle pigre montagne lanciate a mormorazione delle nubi e dei falchi contro la spettrale solitudine, quelle che vanno da Mercogliano a Fossanova hanno più da dire, più da parlare intorno al mondo che in questa similitudine fabbrica stipiti e porte ingannatrici, grandi messaggi di pietra e di grotte sul dosso dell’aurora: la più grande vittoria è di chi sa stare in piedi restare utile nella grande selva di tutti gli io passati, futuri e venienti, la tavola appena raccolta sotto il delirio floreale della casa al mare, anzi sottomarina, il tutto sparito sotto una coltre di anni abnegati, i vestiti chiari, il roseo passaggio di venti e barche sotto il porto turistico e il molo riservato ai pochi che ancora non sanno cos’è stato l’urto solenne della vita col suo cono d’ombra, la sua scomparsa per le mille feritoie del tempo. (Da Fermata del tempo, Marcos y Marcos, Milano 2015)
Gli anni mi si siedono davanti. Sui sandali, vestiti da padroni. Parlano. Ci hai portato a palazzo, ti abbiamo vaccinato, come un pezzo d’avorio infarinato di segale ferrigna e minestra di dolori, e noi a farti da balia, perché non ti perdessi, mentre tutto era contato, era meno di niente, e tu squadernato di smanie, senza frutto, senza onore, una scopa col manico di sale. Hai vissuto in stratosfera, hai muggito credendo a ogni fuoco castrato in desiderio, e il tuo tempo, smisurato, fu una fede messa al dito per dispetto, l’hai pestato nelle corse di notte, con le donne degli altri, con le droghe e le toghe di cui si veste chi è doloso. Ora vengono i treni pieni d’altri messi male: l’odore di vergogna, il sudore del paesaggio, cemento dentro e fuori, l’inferno incatenato momento per momento. Dappertutto, un diamante sfiorito nel suo osso. Ecco cosa ripetono i miei anni. Non posso rinfacciare. Non ringrazio, non ho vita da opporre alla fatica. Solo che non duri il silenzio di quanto mi ha scaldato. Che il teatro non mi resti sulle spalle senza attori. Che non debba mangiarla fino in fondo l’ortica che ho piantato sui miei passi. E che Dio, in eterno, mi perdoni. (Da Fermata del tempo, Marcos y Marcos, Milano 2015)
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