Archivi tag: Poesia americana

Preghiera del giorno del ringraziamento

William Burroughs

William Burroughs

Grazie per il tacchino selvatico e
i piccioni viaggiatori, destinati
a essere cacati attraverso le sane
budella americane.

Grazie per un Continente da saccheggiare
e avvelenare.

Grazie per gli Indiani che ci procurano
quel tanto di sfide e di pericoli.

Grazie per le immense mandrie di bisonti
da uccidere e scuoiare, lasciando le
carcasse a marcire.

Grazie per le laute ricompense sui lupi
e i coyotes.

Grazie per il Sogno Americano
da involgarire e falsificare fin quando
le nude menzogne non vi risplendano attraverso.

Grazie per il KKK

Per gli uomini di legge che incidono
una tacca per ogni negro ucciso
Per le rispettabili signore casa-e-chiesa
con le loro facce meschine, smunte,
sgradevoli, perverse.

Grazie per gli adesivi
«Ammazza un frocio in nome di Cristo».

Grazie per l’AIDS di laboratorio.

Grazie per il Proibizionismo e la
Lotta contro la Droga.

Grazie per un paese dove
a nessuno è dato di badare
ai fatti propri.

Grazie per una nazione di spie.

Sì, grazie per tutti i
ricordi… va bene, facci vedere
le tue braccia…

Sei sempre stato un problema
e ci hai proprio rotto i coglioni.

Grazie per l’ultimo e più grande
tradimento dell’ultimo e più grande
dei sogni umani.

(Traduzione: Raffaella Marzano)

A John Dillinger

Thanksgiving Day, 28 Novembre 1986

Note per una finzione suprema

Wallace Stevens

Wallace Stevens

E per cosa, se non per te, provo amore?
Tengo il libro più estremo dell’uomo più saggio
stretto, in me nascosto, giorno e notte?
Nella luce incerta della verità singola, certa,
eguale nella vitale mutevolezza alla luce
in cui ti incontro, in cui sediamo quieti,
per un momento nel centro del nostro essere,
la trasparenza vivida che tu porti è pace.
(…)

Ohimè! O vita!

Walt Whitman

Walt Whitman

Ohimè! O vita! Per queste domande sempre ricorrenti,
per la folla infinita di infedeli, per le città  piene di sciocchi,
per il mio continuo rimproverarmi (poiché che è più sciocco di me
e più infedele?),
per gli occhi invano assetati di luce, per gli oggetti perfidi,
per la lotta sempre rinnovata,
per gli scarsi risultati di tutti, per le sordide folle che vedo
attorno a me avanzare con fatica,
per gli anni inutili e vuoti  di coloro che rimangono,
con il resto di me avvinghiato,
la domanda, Ohimè! Così triste, così ricorrente – cosa c’è
di buono in tutto questo? Ohimè! O vita!

O capitano! Mio capitano!

Walt Whitman

Walt Whitman

Oh! Capitano, mio Capitano, il tremendo viaggio è compiuto,
La nostra nave ha rotto tutte le tempeste: abbiamo conseguito il premio desiderato.
Il porto è prossimo; odo le campane, il popolo tutto esulta.
Mentre gli occhi seguono la salda carena,
La nave severa ed ardita.
Ma o cuore, cuore, cuore,
O stillanti gocce rosse
Dove sul ponte giace il mio Capitano.
Caduto freddo e morto.
O Capitano, mio Capitano, levati e ascolta le campane.
Levati, per te la bandiera sventola, squilla per te la tromba;
Per te mazzi e corone e nastri; per te le sponde si affollano;
Te acclamano le folle ondeggianti, volgendo i cupidi volti.
Qui Capitano, caro padre,
Questo mio braccio sotto la tua testa;
È un sogno che qui sopra il ponte
Tu giaccia freddo e morto.
Il mio Capitano tace: le sue labbra sono pallide e serrate;
Il mio padre non sente il mio braccio,
Non ha polso, nè volontà;
La nave è ancorata sicura e ferma ed il ciclo del viaggio è compiuto.
Dal tremendo viaggio la nave vincitrice arriva col compito esaurito,
Esultino le sponde e suonino le campane!
Ma io con passo dolorante
Passeggio sul ponte, ove giace il mio Capitano caduto freddo e morto.

La voce della pioggia

Walt Whitman

Walt Whitman

E tu chi sei? chiesi alla pioggia che scendeva dolce,
e che, strano a dirsi, mi rispose, come traduco di seguito:
sono il Poema della Terra, disse la voce della pioggia,
eterna mi sollevo impalpabile su dalla terraferma e dal mare insondabile,
su verso il cielo, da dove, in forma labile,
totalmente cambiata, eppure la stessa,
discendo a bagnare i terreni aridi, scheletrici,
le distese di polvere del mondo,
e ciò che in essi senza di me sarebbe solo seme, latente, non nato;
e sempre, di giorno e di notte, restituisco vita alla mia stessa origine,
la faccio pura, la abbellisco;
(perché il canto, emerso dal suo luogo natale,
dopo il compimento, l’errare,
sia che di esso importi o no,
debitamente ritorna con amore.)

Ahimè! Ah vita!

Walt Whitman

Walt Whitman

Ahimè! Ah vita! Di queste domande che ricorrono,
degli infiniti cortei senza fede, di città piene di sciocchi,
di me stesso che sempre mi rimprovero (perché chi più sciocco
di me, e chi più senza fede?)
di occhi che invano bramano la luce, di meschini scopi,
della battaglia sempre rinnovata,
dei poveri risultati di tutto, della folla che vedo sordida
camminare a fatica attorno a me,
dei vuoti ed inutili anni degli altri, io con gli altri legato in tanti nodi,
a domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre: che cosa
c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita?
Risposta:
che tu sei qui, che esiste la vita e l’individuo,
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso..

Siedono insieme sulla veranda

Wendell Berry

Wendell Berry

Siedono insieme sulla veranda, il buio
quasi sceso, la casa dietro di loro, buia.
La cena finita, hanno lavato e asciugato
i piatti – solo due adesso e due bicchieri,
due coltelli, due forchette, due cucchiai – poco
da fare per due.
Lei siede con le mani ripiegate sul grembo,
si riposa. Lui fuma la pipa. Non parlano,
e quando alla fine parlano è per dire
ciò che l’uno sa che sa anche l’altra. Ora hanno
una mente in due che infine,
per quante ne sappia, non saprà esattamente
chi prenderà per primo la porta buia, dando
la buonanotte e chi rimarrà a seder da solo
ancora un po’.