Perché all’inizio della vita tende ogni buona cosa, il fugato dubbio o il decente perdono che l’ottusa insistenza attanaglia, la madre verde di rugiada estenuata e fresca di nubi e di recenti piogge che il suo nuziale attende perigliosa ancora incerta tra l’amore e l’odio; è il millesimato astro che non può esistere nemmeno un’ora staccato dal suo eccesso, affinché ogni stilla viva per sempre attratta da due roghi e della luce l’esatto alternarsi, perché sia possibile invece amarsi e più non sapere se qui comincia davvero un nuovomondo o se ciechi viviamo la fine del tempo. Tomaso Pieragnolo (Padova, 1965), da nuovomondo (Passigli, 2010)
Io canto nel tuo nome perché tu da un luogo lontano tu mi senta richiamare – evoca lui nell’occaso ammarato – perché giunga alla tua bocca questa goccia e una sete pendente ci racconti il vecchio mondo, la terra già perduta nell’essenza ma sempre solvente inalterata perfezione. Come i versi necessari degli uccelli, degli alberi mistici imbevuti di foschie, con un atto della mano sulla fronte magari potrà provocando un sorriso con lusinghe agghindarla, quando è tempo di partire con parole abbracciarla, ricordando coniugato sul suo viso come sarà sotto i suoi piedi un cammino, le sue mani che maneggiano fiorami e sopra le vette una parvenza di silenzio; oh ragazza che un enigma vai tessendo con nembi d’inchiostro sotto il dono di stagioni, che non sai mai terminare né iniziare, né forse sommare al tuo precipuo cambiamento, confida nella vita in ciò che sogni e certo un mattino così vicino, tratteggiando il tuo profilo mentre dormi, lei ti ammalierà per una volta ed una ancora, e tu dal passato saprai sorriderle. Tomaso Pieragnolo (Padova, 1965), daViaggio incolume (Passigli, 2017)
Ho posato una ciotola di sassi tra me e voi, sul pavimento. L’ho fatto perché vorrei parlarne ma non mi fido delle mie parole. Mi piacerebbe che riuscissimo a parlare esattamente della stessa cosa senza che nessuno debba far finta di aver capito e senza che nessuno si senta incompreso: io, nella fattispecie. Vorrei parlare di questi sassi, ma non della loro forma o del loro colore, e nemmeno della loro sostanza o del loro peso. Vorrei parlare di questi sassi, ma prima vorrei essere sicuro di non essere frainteso. Per esempio, nemmeno del mio gesto mi posso fidare: forse è sembrato un gesto teatrale, magari fatto male, senza stile, ma pur sempre con dentro qualcosa di simbolico. Invece io non voglio questo. Io vorrei che tutta l’attenzione si concentrasse proprio sui sassi che stanno lì e al tempo stesso che questa fosse più simile a una poesia che a un monologo. E un’altra cosa non vorrei: che questa dei sassi fosse considerata una ‘trovata’; perché sarebbe vero solo in parte: io sono veramente preoccupato che noi veramente non parliamo la stessa lingua, ed è così che ho scritto una poesia dimostrativa. Ma io sono preoccupato soprattutto in questo momento, ed è un momento, un attimo, in cui non voglio dimostrare niente, voglio solo andarmene contento, nella sicurezza di aver parlato con qualcuno, e che qualcosa sia successo. Non mi interessa se ciò che sto facendo sia vecchio o nuovo, bello o brutto, ma mi dispiacerebbe se fosse inteso come falso, e sto rischiando. Di solito scrivo delle cose che mi sono abituato a chiamare poesie, ma se questa cosa di questo momento non dovesse funzionare, non dovesse essere compresa, tutto ciò che ho scritto e che scriverò non avrebbe scopo. Allora, vorrei che ci si concentrasse su quei sassi. Non perché siano importanti di per sé, e non perché siano un simbolo di qualcosa, ma proprio perché sono una cosa come un’altra: sassi. Hanno però delle qualità: sono visibili e toccabili, sono tanti e sono separati. Noi dobbiamo stare con i sassi. Sono una cosa del mondo. E dobbiamo cercare di capirli. È per questo che ho scritto una poesia che ha bisogno di un gesto e di un pensiero. Adesso io starei qualche secondo in silenzio, pensando ai sassi. Stefano Dal Bianco (Padova, 1961), daRitorno a Planaval (Mondadori, 2001)
Vi sono giorni di debolezza estrema poiché – dice qualcuno – la pressione atmosferica di fuori, che ha potere sui corpi, essendo bassa, si consustanzia a noi fin dentro il sanguecon la sua tenera virtù di morte. Ma altri vi potranno assicurare (e oggi io sono tra quelli) che tutto questo spossamento, in questi giorni, non procede dall’aria né dal corpo ma è soltanto dolore di anime costrette, solitudine di molti, vuoto vissuto male, mancanza o assenza di uno scopo. Stefano dal Bianco (Padova, 1961), da Prove di libertà (Mondadori 2012)
Davanti ai palazzoni orrendi, quelli bianchi, con piscina, fronte mare,
forse ora si convertono le dune, forse ancora
si avvicinano incerte, in sé, senza sapere
quanto bagni la pioggia la sabbia,
o ancora quanto si sollevi su se stessa la corrente
di un mare che sottrae quanto deposita.
(Padova, 1961), da Ritorno a Planaval
(Mondadori, 2001)
Sto scrivendo da un tempo diverso, dove tutte queste cose non sono piú importanti. Ho sempre ferma in testa un’immagine di me da bambino, e i suoi occhi sono buoni. Vorrei che fosse l’unica immagine del libro, ma è soltanto una mia proiezione, qualcosa che si è perso. Scriverlo non significa salvarlo ma tornare ad avere i suoi occhi per un attimo; ripercorrere i movimenti della sua natura, starlo a sentire, perdonare il suo futuro. Simone Burratti (Narni, 1990), da Progetto per S. (Nuova Editrice Magenta, 2017)
L’intreccio si sfa, nell’angolo che accenna fermo nell’ombra delle cose sincere. Quelle che non lasciano passare l’ora e non tradiscono mai l’inizio del mattino. Sembrano solo passi, ma le mani sanno dove tendere, fra gli incavi addormentati della città. da CANZONI NEL MEZZO DELL’AMORE – SONGS IN THE MIDDLE OF LOVE
Noi e l’albero viaggiamo con la stessa linfa, in corridoi stretti da limiti con le mani che nascondono il volto per non vedere. Quel che varia è il movimento, così lento e dolce, dei rami e delle foglie, e così disarmonioso quello del nostro incedere piegati al giogo che la vita pone. Solo è dato al sogno di stupire, col miraggio d’essere fuori dal giro del dolore. E porsi così corpo d’albero, tronco maestro di una nave diretta verso l’azzurro puro dell’isola.
O voi che traghettate i giorni e mai stanghi di fare e disfare i nodi attraccate al molo delle vite: dateci un segno che il nostro viaggio abbia la serenità del poi così senza aspettare andremo oltre e nessun rimorso resterà nel cuore nel mattino che sarà un volo.
Ora il viaggio sarà una luce
un cammino sopra l’acqua
del mattino, con un vento d’argento
e sabbie d’oro ad accoglierci
negli occhi. E sul mezzo,
un’ aereo sentire
di quali meraviglie il cuore sia capace.