Gorgoglio rosso di vino caldo di morte su questo tavolo di legno da mille lacrime ricordato. A sera il cancello di ferro battuto manderà faville di pianto e il giorno sarà finito senza angeli di madreperla. Tu che sei di questa montagna come il sasso che sta al quarantacinquesimo chilometro di salita puoi dirmi di sere più belle senza pali piantati nel tormento del mio cuore che non sogna altro che uccelli bianchi che hanno venduto il becco per poche lire. Neanche più i canti bucheranno le stelle quando di sera ritorna la mia anima scarabocchiata.
Mi sono fermato a un semaforo la pioggia gelida tagliava l’aria un povero aveva freddo e accendeva fiammiferi per scaldarsi. La gente passava, ma non aveva sguardi per lui andavano tutti alla festa mascherata. Si affacciavano pierrot dal viso bianchissimo belle ragazze con le ali di carta la musica a tutto volume e l’indifferenza totale per il mondo. Il povero continuava ad accendere i fiammiferi loro non se n’erano accorti. Quando l’hanno visto hanno riso.
Un uomo dai capelli a spazzola sta sotto il cielo e canta. Il fico sta sotto il cielo il cane sta sotto il cielo il tavolo gli zoccoli consumati la bicicletta un fiore la calzine della bambina il camino l’ombrello della mammina il ciottolato dalle scarpe nuove il sale smarrito dal contadino la legna di pino il canarino e l’uomo che canta laggiù nella strada dove finiscono i sogni degli impiegati statali.
Ho camminato a lungo per ritrovare i giorni perduti per ritrovare gli attimi che avevo dimenticato. Credevo di riprovare le stesse emozioni, ma tutto è apparso ai miei occhi diverso. Le grandi aie dei contadini che mi sembravano così grandi erano piccole le lunghe strade di campagna bianche erano brevi e anche le montagne che mi sembravano giganti addormentati erano solo montagne da scalare e il lago incantato paradiso dei nostri giorni senza confini sembrava un piccolo stagno di pochi metri. Tutto quello che cercavo di ritrovare mi sembrava piccolo, infinitamente piccolo. Ho camminato tanto ma di quei giorni lontani di ragazzo non ho trovato più niente.
Il din e il don e il dan delle campane. La Madonna ride. Una camicia bianca una camicia rossa una verde. Preghiere di vento preghiere di passi. Santa Maria ora pro nobis. Oh! Come sono infelice! Sono malato! Pietà. Stella del cielo Regina del cielo. Spingete la carrozzella, il rosario le scarpette gli zoccolini la sciarpa. La Madonna passa non ride non piange è la Madonna. Santa Maria e il vento Ave Maria e una vecchia. Finestre rotonde. La chiesa il timo una candela venti candele una donna vestita di nero una vestita di bianco una bicicletta un tiro a segno la noia l’ultimo sforzo dei portatori e basta.
Povere parole che si sono perse nel vento prima di arrivare a destinazione al mercato dei fiori della piazza antica. Chiedevano due rose rosse da depositare nel giardino dove dormono i gatti sotto il canneto di bambù. Se ne sono andati dalla nostra vita con gli occhi sereni come tutte le creature buone di questo mondo. Quando si alza il vento le canne si muovono e i gatti ci salutano in quello stormire lieve perché anche loro non ci hanno dimenticato e continuano a salutarci di lontano quando si alza il vento della sera.
Cancello di vento di tristezza e di foglie ombrelli sotto la pioggia e cieli dell’altro ieri è carnevale d’asfalto e di polvere dai melograni sugli occhi. Giornata di campane sorde e di te che mi fai impazzire se rimani immobile a guardare il fiume pieno di pioggia.
La strada è come chitarra il tuo nome sordo pieno di eterni peccati è il vento. È giallo questo giorno che ha il sapore dell’asfalto. Vieni, vieni a sederti dove il fieno non ha parole per nessuno. Conservo nelle gambe la giovinezza dalle linee corte che corre con rimbalzi sull’ombra della montagna. Il tutto passato lo conservo in questo minuscolo scrigno legato giorno e notte a quella vecchia povera che sta sull’uscio ad aspettare nessuno. Vieni vieni e dimmi dimmi chi passa prima per la tua mente quando rimani inginocchiata sotto la tua capanna dal tetto di rami di menta. Vieni ho una parola da regalarti! il giorno che compirai vent’anni: Vieni vieni vieni.
Era un uomo dal viso secco come un sasso che non versava lacrime neanche quando soffriva. La gente diceva che era un duro qualcuno lo chiamava “pietra”. Era un uomo che diceva poche parole e non aveva amici neanche nei giorni di festa. Era un uomo con la pelle scura e gli occhi come l’acqua di mare. Nessuno lo vide piangere neanche quando partì. Ma ora che non c’è più dicono che era un uomo che piangeva a rovescio e mandava le lacrime giù per la gola. Dicono che un giorno le lacrime lo annegarono e morì con la faccia secca come un sasso.
Croce la mia croce sei tu. Croce di canne? No, di giorni. Croce di strade? No, di anime! Croce di silenzio? No, di chiasso! Ti ricordi? Il cielo di paglia il cielo spento i lunedì nei fossi della campagna i lumi di pianto le madri crocifisse le invocazioni di tarantole crocifisse dai ragazzi di pelo rosso. Ricordi? Tutte croci aveva la campagna la mia campagna di olio e di pane. Ricordi? E il canneto mandava i suoi aquiloni nella costellazione di Giorgio. Ricordi? No che non ricordi sì che ricordi! Ricordi? Il vento era di faggio di pioppo di cipresso di case vecchie di carta di venti passi per andare e due per ritornare, di cento madri alla partenza di una sola al ritorno. Ricordi? Non ricordi?
La piu grande biblioteca online di poesie in italiano