Si sgrana il cielo a piccole preghiere per tutte queste basse bocche aperte. Come si conta il tempo? Dall’istante del nulla a grandi passi, rivolgendo il capo a un dietro che si fa d’inezia, o nel galoppo di luce che c’infrange? Parlano i volti in squarci senza spazio poi l’ora implode e ci serra la gola. Come quando eravamo l’universo. Stefano Leoni (Forlì, 1961), da Frane e frammenti (Lietocolle, 2008)
Ho spesso guardato i piccioni sui cornicioni posarsi dal volo, il loro muoversi a scatti, il ritmo dei colli, e i colori delle piume farsi nel gesto mille sfumature. Il ticchiettio insistente sulle tegole piccoli passi brevi, goffi e il loro guardare di lato piegando il capo, gli occhi fissi. A un ordine muto, o a un soffio di vento che porta un odore, a un suono, a un timore, si lanciano a gruppi nel vuoto e sembrano quasi cadere. Poi li vedi cabrare, segnare nell’aria una strada precisa, sicura. Anch’io cammino sui tetti, a piccoli passi. Le mie scarpe erano sporche di cemento quando ho tracciato il mio volo, ho chiesto perdono, di non avere le ossa cave degli uccelli, di non sapere allargare le braccia e seguire i colombi in questo cielo che si è fatto nero. Stefano Leoni (Roma, 1960), da Basse verticali (Kolibris, 2010)
Lo spelling della parola bacio è un bacio sulla bocca. Di giovinezza, lo spazio di manovra delle unghie. Di gelosia, un cane da slitta in gabbia. Lo spelling di mezzogiorno ha a che fare con l’ora di punta e con l’ombra delle statue greche. Lo spelling di cinciallegra è un ciclamino. Il modo più gustoso di venire a sapere le cose è col cucchiaio. Il modo più veloce per venirne a capo, scavare tutt’intorno. I Tropici sono in perenne disputa tra grandi piogge e solleone, scrittori come Marquez sanno mediare. Lo spelling della parola fiaba sono le illustrazioni. I corpi, turismo di fianchi per mani e monti. Il reggimento delle ossa conosce la disfatta dell’artrite. Quella voce, arrembaggio celeste, spicchio di crostata a colazione. Di fiore in fiore la felicità rientrò nell’arnia di un verso sciolto. Svita la parola casa dal rimario, lutto di grammatiche migrare. Non c’è tassa o ghetto che cancelli l’indebitamento della storia con i deboli. Lo spelling di menzogna, ennesima bugia. Lo spelling di bugia, un millepiedi. Lo spelling di erotismo, cercarsi sulle punte. Eternità, sambodromo di Dio. da Poesie con qualcuno dentro (Aragno 2012)
Certi versi sono bambine indiane, spose in attesa di crescere. Altri nascono dalla coscia di Giove, straordinariamente assortiti. Ma i poeti preferiscono i propri. Certi versi sono esche vive per la pesca d’altura, schiavi messi ai remi tra un mondo e l’altro, schiavi rimessi al mondo. Quando non uniscono gli antipodi, inciampano dappertutto si danno al brigantaggio, all’accattonaggio levano i sentimenti in un apostolato di falsi indizi. Come fulmini incendiano i boschi, fanno da filtro ai filtri d’amore. Altri ancora, inodori, insapori, hanno troppi pensieri. Affondano sotto il peso dei debiti. A volte non sono versi, ma un poema di leve e tiranti, un giardino all’inglese frequentato da baby-sitter. Le motociclette del muro della morte, nell’altra vita, erano versi a testa in giù, tenuti in sella da un’idea fissa: una canzone o l’amore per sempre e chi s’è visto s’è visto. Ma un pescatore di spugne analfabeta un tenore senza nome in cartellone un gaucho ubriaco sbalzato da cavallo, se trattengono il fiato, ne hanno pronti di nuovi. da Poesie con qualcuno dentro (Aragno 2012) qui modificata e ampliata
C’è molta estate nelle foglie morte. Nebbia e muschio nei tiepidi germogli. Il mallo delle noci sugli spalti assiste alla corrida dei papaveri. Sulla tenacia del rosso scommette il rosso di sera. Le alabarde dei canneti e il freddo addestratore si inchinano al passaggio del dio fiume. Vapori della valle, fiato di selvaggina: è il ritorno dei reduci o un raduno di reclute? La Natura non fa salti, si racconta ai quattro venti. Non c’è tarlo che la tarli non c’è canto che la incanti. Dentro il guscio, vivi e assenti. da La più bella poesia de libro (Aragno 2015)
Un pittore itinerante e il suo gemello ozioso misero a bollire foglie e fango, ne uscirono i colori dell’autunno. Immersero del rame nell’aceto e il verde rinverdì. Per la felicità del rosso, scorza di faggio e sali, ma più ancora le guance odorose della contadina abbracciata a tutti e due. da Poesie con qualcuno dentro (Aragno 2012)
La poesia segue tutte le regole e non ne rispetta nessuna, non mangia carne al venerdì indossa il burqa, ma al venerdì si incarna in una guapperia di ranocchi nell’atrio rumoroso di una dalia, dentro il burqa si spoglia per amore come nel salone delle feste di un castello assediato. La poesia ha gambe leste, il ghepardo mangia la sua polvere, è l’unica gualdrappa che l’indomabile unicorno sa sentirsi addosso. La Biancaneve dei poeti bacia un Cucciolo sfrontato e la lanterna scende a valle per un remoto turno di doppiaggio. da L’imperfetto del lutto (Aragno 2008)
L’intrico, impulso e logica, produce liane e nodi magistrali. La vite si avvitacchia ai suoi versanti, il forasacchi forza i contenuti, la lappa sdoppia maglie e spire, il simbolo dell’edera e altre frenesie intrecciano con dita da cestaio la cornucopia delle incongruenze. Spine strappi ricami, la forza maniacale della leva. Scale corde fazioni, linfa rampicante, modalità guerriera. Là dentro, nel castello invaso, vegetano la Bella Addormentata ragni mai tolti dal buco bolle di luce untuosa. Per la metodica abbondanza di cicuta, la più socratica indifferenza. da La più bella poesia del libro (Aragno 2015)
Ogni parola è una carezza al buio, un aliscafo su un mare di righe scosse. Un capretto legato al nocciolo. Un maccherone al dente e la sua trafila di bronzo. Ogni parola è una poltrona a teatro, la tentazione del commediante. Il rito zingaro della capanna una pelle conciata l’arsura di una bottiglia. Dritta come i pali della luce verde come l’onda dei semafori secchio nel pozzo, spilla da balia, ogni parola risponde a un’altra parola. Sguscia fagioli e motti, fa strage di orchi, di abbagli. Alza la voce in quartieri e quaderni, patto segreto per non passare alle mani. da Libro di sillabe (Donzelli 2007) poi in Libro grosso (Aragno 2009)
Il ponte crollato a mezzanotte tornò al suo posto all’alba. Spazzato via di nuovo dalla piena dei nebbioni, riapparve e fu ribattezzato Ponte del diavolo. Fatture come questa tolsero il latte alle madri e alle olive ogni succo. Al frantoio, lo sgocciolio dei miracolati. Nelle case, un andirivieni di balie. da La più bella poesia del libro (Aragno 2015)
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