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Sempreverde

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

Non immaginavo fosse così facile la fine.

Fasullo com’era la pietra che portava al collo, l’imitazione di
una nobile premessa, una necessità vietatagli dalla nascita.
Almeno ne possedeva una proiezione che si raccontava allo
specchio, o intanto che guidava, coperto dal ronzio della
confusione. Di quello che per lui era irraggiungibile, se non
come farsa, mentre per gli altri era la norma.
L’amore a cui si sentiva costretto non era altro che l’oro, il
metallo prezioso in cui s’incastonava la sua gemma alla
perfezione, e non aveva peso, ma impura allo stesso modo lo
obbligava al terreno, frutto senza prezzo di una mano superiore.
Realtà non è semplicemente il contesto che ci fa stare bene? La
speranza ci vizia e ci trattiene: qui smeraldi grezzi portati al collo.

Salutavo con la mano

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

Sedotto da un caffè bruciato,
mi appello alla sentenza:
sorsi contati a distanza
della tua sfrontata assenza.
Il misero traliccio crede
nelle stelle e spera a fine giornata
lo raggiunga il gemello;
l’unione di luce celata dai cavi,
l’hai già indovinata?
Da L’amore è qualcos’altro, Empirìa, 2013

Madrigale

Giovanna Bemporad

Giovanna Bemporad

 

Padiglione di mandorli nel biondo
colore di febbraio è la campagna;
e al rapido infittirsi dei germogli
che traboccano, o in punto d’incarnarsi,
la voluttà mi afferra senza braccia.
L’immagine di lei si acciglia e ride
sotto un gioco di rondini, al suo collo
mobile di baleni accosto il labbro
e alla sua bocca, foglia di sibilla.
ma insiste per i campi un assiuolo
l’armonia di velluto, e fa un profumo
dal suo bruno languore misurato
la viola; io ripenso le sue dita
rosse all’estremità, petali intinti
di porpora, tracciare sulla sabbia
dei millenni il mio nome all’infinito.

Plinio Perilli
Melodie della terra. Novecento e natura
Crocetti Editore 1997

La sfida della leggerezza

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

«Mai smetterò di volgermi al passato»,
ti provoco eccitato nella doccia,
sussulti – lo spavento – tremi
– penserai a tutte quelle impronte
in me che si sono fatte Forma –
scosti l’orecchio per orgoglio,
e ribatti: «perché ti ostini?»
«Mai cederò la mia storia», la risposta
liberatoria di chi gareggia a trattenere il fiato,
nella fantasia di una vasca, coi sottomarini.
«Non posso fare altrimenti».
Se ogni foto avesse la sua verità nascosta,
passatempi fasulli per bambini,
la barchetta di carta che dondola
sarebbe solo un foglio di cronaca
piegato male.
Da L’amore è qualcos’altro, Empirìa, 2013

Itaca, quella volta

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

Penelope era taciturna – sapete -,
tesseva al telaio e sorrideva dolcemente,
anche prima ch’io andassi in giro
a guerreggiare per il mondo.
Alzava quella volta gli occhi dalla trama
e mi vedeva in viaggio,
perso nei suoi pensieri.
Neanche avessi usato la scusa
delle sigarette:
un pacchetto lungo un’altra vita
incompleta, un ritorno.
Si allontanava con le onde
la notte prima di partire,
un ramo reciso il saluto commosso,
strozzato l’indomani dal contegno;
realizzavo cos’era essere solo.
Non avete idea
di quanto abbia implorato gli dei
dai ponti delle navi assediati dalle stelle,
dalle spiagge coperte e ventose,
persino in mezzo alle armi
sconosciute dei nemici,
che il silenzio caldo di casa
non si estinguesse mai.
Ulisse – mi assillavo -,
ma dove vai?
(con Luigi Malerba)
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Da Un’ombra in due, L’Arca Felice, 2014

Tra il cartello “Ferrara” e il resto

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

Tra il cartello “Ferrara” e il resto
per ultima una chiesa,
a detta loro sconsacrata:
una volta cappella di pellegrini,
allora rivolta alla strada
non ancora annerita.
Basso il campanile,
non aveva più rintocchi,
rimossi, li avevano spostati in paese.
Mi piaceva entrare in quello spazio
intatto nella dimenticanza.
Si manteneva fresco e stavo bene coperto.
Mi sentivo protetto.
Oggi è di proprietà,
e pensavo che c’eri stato
per poi andartene, anche Tu,
o essere cacciato.

Orlando Furioso (XI, 67-68)

Ludovico Ariosto

Ludovico Ariosto

 

Le bellezze d’Olimpia eran di quelle
Che son piú rare: e non la fronte sola,
Gli occhi, e le guancie, e le chiome
avea belle,
La bocca, il naso, gli omeri e la gola;
Ma discendendo giú da le mammelle,
Le parti che solea coprir la stola,
Fur di tanta escellenzia, ch’anteporse
A quante n’avea il mondo potean forse.
Vinceano di candor le nievi intatte,
et eran piú ch’avorio a toccar molli;
Le poppe ritondette parean latte
Che fuor dei giunchi allora allora tolli:
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
Esser veggian fra piccolini colli
L’ombrose valli, in sua stagione amene,
Che ’l verno abbia di nieve allora piene.

Aa.Vv.
Il seno in-cantato
Antologia di poesie sul seno

a cura di Alfonso Maria Pluchinotta
Crocetti Editore 2005

 

 

 

 




L’ empatia che mi spinge

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

L’empatia che mi spinge a Lui, una simpatia vera, traghettata nel corso di certe notti insonni, di carenze e fumenti di filosofia, è il suo essere insostituibile al mio: è diventato, lo è sempre stato, inseparabile da me. Ma solo adesso lo vedo come tale, palesemente: essendo io la preda della mia insofferenza, tossisco un’essenza assopita che non conosco; in questo ordine imposto (pure dal maggiordomo!), in una città , la mia, in cui la nebbia sia in realtà polvere da abbandono, in questa mancanza di fuoco, di sangue nuovo. Mi sento allucinato abbastanza da trasgredirvi,
uno tra i tanti,
Henry Jeckill
Da Fischi di merlo, Edizioni del Leone, 2011

Cercavo una porta d’acqua

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

A Venezia di nessuno,
dove, tra vento e mare,
non rimane tanto spazio
per sperare.
Cercavo una porta d’acqua
tra calli annerite dal sale
e pali di legno marciti.
Città a ritmo di mare.
Gli svassi in fuga in fondo al canale,
davanti alla prua:
disteso in vetta alla barca
per passare sotto i ponti
fumando realizzavo quei secondi.
Divieto di scaricare se stessi.
La Bora mi bruciava gli occhi.
Impassibili i gabbiani
sui pozzi o sospesi
accanto alle navi,
facevano festa:
sopravvivere con poco,
spensierati.
«Vento di tempesta, al largo
o su chissà che altra costa,
portami con te
da quanto tiri forte
nella mia testa».
La schiuma sul limitare dell’onda
non era neve.
Solamente il suo ricordo.
Da Un’ombra in due, L’Arca Felice, 2014