Che dire di questi istanti rimasti Qualcuno, dopo frutta e caffè s’appresta ancora dal balcone a combattere, con i mortaretti, l’elmetto dello champagne e i cuscini come sacchi di sabbia Ma senza trincee si scava solo l’anima dentro, nel profondo dove permane lo stato di guerra Come nubi stiamo andando, traversando crune di questi cieli imperfetti Ciò che rimane da fare: stendersi a letto come se più sangue in testa potesse diluire i pensieri Spegnere la luce del soffitto E accendere il buio Nino Iacovella (Guardiagrele, 1968), da Latitudini delle braccia(deComporre Edizioni, 2013)
La situazione di bordo è rischiosa. La bussola segnala tutti i punti,nessuno. Oggi approdo. Il mio occhio ha la suggestione dei mari. Si meravigliano che mi dico principe sedendo in una poltrona non mia. E’ il prezzo che valuto la terra. Trovo scritto nel mio libro maestro: “ho pronta una sputata per tutti. Ognuno mi saluta sorridendo” Sono un ragazzo e diecimila folletti. Mi si rimprovera la pazienza del vetraio. Mi escono bottiglie quando voglio damigiane. Al timone ho messo un pagliaccio di fiori. Il mare, il mare sotto, galoppa. Per me la vita è una scorpacciata di pesche. Per i più la vita è coltivazione.
Notte abbracciami tagliami la testa. Ci ho un putrido elefante un carro di burattini che sbandierano l’annuncio “parlare al vento è da stupidi” Avvolgimi serena nel tuo lenzuolo. Benchè sappia il sistema come è fatta la struttura ti prego di bluffarmi. Voglio sbattere la faccia nell’acqua dei pantani, avvoltolarmi per terra come un asino aggredito dalle vespe, e ridere. Questa cretina di luna si fa bella nei miei occhi; non si vergogna di esistere perchè è senza cervello.
Poesia, ti ho in mano come una mela marcia ma se ti lancio, brilli come una cometa. Averti addosso è come una lunga puzza ma se ti dico “Su, entriamo anche tu ti fai una grande signora ed io un cavallo odoroso. Suggestione del presentatore! Noi in una sala pulita non abbiamo niente da fare.
Sole, palla di zucchero no si muove una foglia. Cantano due tre cicale e le api, indugiano a staccarsi baciucchiano e ribaciucchiano i fiori. Sono felice anche i miei calzoni imbrattati di verde. Io dormo e mi chiamo Nessuno.
Sul tuo grugno, mio porco s’infrange la lontananza delle stelle l’infinità della linea retta. Seduto nella mangiatoia soffice d’erba medica ti metto i piedi dondolanti sul dorso godendomi la canzone che tu soffi nel truogolo. Succhia e canta! Io intanto allungo il braccio rubo le mele dalla tazza dei conigli me le mangio e ti butto i torsi. Caro, è una felicità essere animali così senza il chiodo dei colori nella testa senza la porta della tour Eiffel che sprofonda davanti un vuoto di notte e di astri. E ho ricominciato questo discorso da ergastolani. Porco, tu mangi, io mangio e parlo. Non sono genuino come te mi fece una pasta gommosa avida di attacchi e qui c’è poco da attaccare se non i venti le cattedrali rosso-oro delle nuvole. Insomma un decifit di malformazione una bolla di sapone scordata nella carne caro mio maiale, ci separa.
Ti dico viviamo. Non abbiamo nulla da perdere tutto è perduto in partenza I manichini di gesso hanno di cuori scala reale: ci restano quattro mani di glicini da consumare sul tavolo bianco.
Venga avanti chi si dice poeta. Qui lo voglio vedere sui colli o sull’asfalto nella sua maniera di fare e di dire. Inganna la qualità della carta e della china, l’impostazione tipografica. Mi sarei impiccato da un pezzo se la parola non mi scoppiasse quando sto camminando, nella gola
Come un cane che vale al guinzaglio di un padrone idiota sono la vittima di un governo fantoccio. Nessun ha speso un bicchiere d’acqua una lira per la mia causa; con le vincite a STOP mi comprai un dizionario di nascosto.
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