Sohrāb Sepehri
Costruirò una barca, in acqua la getterò.
Mi allontanerò da questa terra straniera
dove non c’è nessuno che nel boschetto d’amore svegli gli eroi.
La barca è vuota della rete
e il cuore del desiderio della perla, continuerò a navigare.
Non alle azzurrità legherò il cuore
né alle sirene, che alzano la testa fuori dall’acqua, e sulla fulgida solitudine dei pescatori
spargono dalle chiome l’incanto.
Continuerò a navigare. Continuerò a cantare:
«bisogna allontanarsi, allontanarsi. L’uomo di quella città non conosceva miti.
La donna di quella città non era colma quanto un grappolo d’uva.
Lo specchio di nessuna sala più ripeteva l’ebbrezze. La pozzanghera neppure rifletteva una luce di fiaccola. Bisogna allontanarsi, allontanarsi.
La notte ha cantato la sua canzone, ora è il turno delle finestre».
Continuerò a cantare. Continuerò a navigare.
Di là dai mari c’è una città
dove le finestre si aprono alla Manifestazione.
I tetti sono la dimora di colombe
che osservano lo zampillo del senno umano. La mano di ogni bimbo decenne della città, è un ramo di conoscenza.
La gente della città guarda a un mangime
così come guarda a una fiamma, o a un sogno sottile.
La terra sente la musica dei tuoi sensi
e il fruscio delle ali degli uccelli del mito si scorge nel vento.
Di là dai mari c’è una città dove la vastità del sole
è pari agli occhi dei più mattinieri.
I poeti sono gli eredi dell’acqua e dell’intelletto e della luminosità.
Di là dai mari c’è una città! Bisogna costruire una barca.