Simon Armitage
E lo è, una volta tanto, un bianco Natale,
ma così bianco che le strade sono impraticabili,
e mia moglie è rimasta bloccata per la neve
in una città non toccata da trattori o spazzaneve.
A letto, sveglia, da sola. Mi chiama
e ci scambiamo i regali alò telefono.
Per me un orologio, proprio quello
che avrei scelto. Per lei una canzone,
quella che fa Here come the hills of time
resta quieta nella sua copertina
nessuno la canta, la scarta. Ma di sotto il cane
sbuffa, rosicchia, latra
e allora lo porto fuori sulla neve limpida
lungo il sentiero del canale sino alla rimessa delle barche
il passo regolare siamo dai miei
c’è mia madre, Marie Curie che in cucina
sta scoprendo il radio, c’è mio padre, Fred Flintstone
e un’ospite che emerge dal passato sul volto un’espressione
che dice, menti, ragazzo, e mi faccio una collana con i tuoi denti,
gli orecchini con le palle degli occhi,
e colazione con le stronzate che dici,
poi la mia nipotina di due anni, è Gesù bambino,
passa tra noi con il frutto della terra
e la luce del mondo – Christingle – un’arancia rossa
infilzata con una candela accesa.
Mangiamo ma il cane questua alla tavola
beve dal cesso, canta in cantina.
Solo Gesù bambino mi accompagna di sotto
con un osso per vederlo, nutrirlo.
Più tardi, quando sono sul punto di andare via
mio padre mi vuole dare una stretta di mano
ma ho le braccia pesanti, fatte di vile metallo,
e il cane mi vuole trascinare lungo la strada buia,
di nuovo verso una casa vuota. Passa un’auto
con dentro mia sorella
e per augurarmi la buona notte
solleva un braccio del Cristo in fasce che dorme,
ma io giro il polso per vedere l’ora. Lì per lì
sono il tizio della barzelletta, il tizio che in un mondo di amici
con tutti gli orologi fermi,
sta sincronizzando il suo.