Sauro Albisani
Avevamo due oche tanto belle
col becco arancio e il collo che nuotava
nell’aria, senza peso. Amoreggiavano
l’una presa dell’altra, sempre schive
e sdegnose, felici. Gli animali
rimproverano l’uomo con la loro
felicità. Io le guardavo e attonito
mi domandavo: forse anche per noi
un giorno fu così, semplice, tutto?
Ma venne un giorno di festa e mia madre
ne uccise una, io non so se il maschio
o la femmina. L’altra per un po’
andò cercando la compagna, e invano
la chiamava col verso suo. Finché
comprese d’essere rimasta sola,
divenne altera, prodigiosamente
mutò d’indole, quanto prima era
pavida e mansueta tanto adesso
nella sua solitudine si fece
feroce, vigilava che nessuno
s’avvicinasse alla casa, aggrediva
anche il postino abbassando il collo
orizzontale sibilando un fioco
urlo col becco aperto come le oche
capitoline contro Brenno quando
salvarono la vita ai senatori.
E tutto il giorno quell’oca superstite,
come già morta custodiva immobile
la casa dei suoi nemici.
da Terra e cenere (Il Labirinto, 2002)