Due o tre volte nella mia vita ho scoperto l’amore. Ogni volta sembrava aver risolto ogni cosa. Ogna volta ha risolto un un bel po’ di cose ma non tutte le cose eppure sono rimasta appagata come se lo fossero state tutte, e in fondo, ha risolto ogni cosa Mary Oliver
ichiara pace con il tuo respiro. Inspira uomini d’arme e d’attrito, espira edifici interi e stormi di merli dalle ali rosse. Inspira terroristi ed espira bambini che dormono e campi appena falciati. Inspira confusione ed espira alberi di acero. Inspira quanto è caduto ed espira amicizie di tutta una vita ancora intatte. Dichiara pace con il tuo ascolto: quando senti sirene, prega ad alta voce. Ricorda quali sono i tuoi strumenti: semi di fiori, spilli da vestiti, fiumi puliti. Prepara una minestra. Fai musica, impara come si dice grazie in tre lingue diverse. Impara a fare la maglia, e fai un cappello. Pensa al caos come mirtilli che danzano, immagina il dolore come l’espirazione della bellezza o il gesto del pesce. Nuota per andare dall’altra parte. Dichiara pace. Il mondo non è mai apparso così nuovo e prezioso. Bevi una tazza di tè e rallegrati. Agisci come se l’armistizio fosse già arrivato. Non aspettare un altro minuto.
Non devi essere buono. Non devi camminare sulle ginocchia per cento miglia nel deserto, pentendoti. Devi solo lasciare che il tenero animale del tuo corpo ami ciò che ama. Raccontami della disperazione, la tua, ed io ti racconterò la mia. Nel frattempo il mondo va avanti. Nel frattempo il sole e i limpidi sassolini di pioggia si stanno muovendo attraverso il paesaggio, sulle praterie e gli alberi alti, le montagne e i fiumi. Nel frattempo le oche selvatiche, in alto nell’aria limpida e blu, stanno di nuovo facendo rotta verso casa. Chiunque tu sia, non importa quanto solo, il mondo si offre alla tua immaginazione, ti chiama come le oche selvatiche, forte e appassionatamente – più e più volte annunciando il tuo posto nella famiglia delle cose.
Un giorno, finalmente, hai capito quel che dovevi fare, e hai cominciato, anche se le voci intorno a te continuavano a gridare i loro cattivi consigli- anche se la casa intera si era messa a tremare e sentissi le vecchie catene tirarti le caviglie. “Sistema la mia vita!”, gridava ogni voce. Ma non ti fermasti. Sapevi quel che andava fatto, anche se il vento frugava con le sue dita rigide giù fino alle fondamenta, anche se la loro malinconia era terribile. Era già piuttosto tardi, una notte tempestosa, la strada era piena di sassi e rami spezzati. Ma poco a poco, mentre ti lasciavi alle spalle le loro voci, le stelle si sono messe a brillare attraverso gli strati di nubi e poi c’era una nuova voce che pian piano hai riconosciuto come la tua, che ti teneva compagnia mentre procedevi a grandi passi, sempre più nel mondo, determinata a fare l’unica cosa che potevi fare- determinata a salvare l’unica vita che potevi salvare.
io padre, per esempio, che una volta era giovane e con gli occhi blu, ritorna nelle notte più buie in veranda e bussa selvaggiamente alla porta, e se io rispondo devo essere preparata al suo volto di cera, al suo labbro inferiore gonfio di amarezza. E così, per lungo tempo, non ho risposto, ma ho dormito a tratti, tra le ore del suo bussare. Ma alla fine venne la notte in cui sgusciai fuori dalle lenzuola e con passo incerto scesi nell’ingresso. La porta si aprì ed io seppi d’essere salva e che potevo sopportarlo, patetico e vuoto, con persino il minore dei suoi sogni congelato dentro se, senza più meschinità. E lo accolsi e lo interrogai dentro casa, e accesi la lampada, e lo guardai nei suoi occhi assenti, nei quali vidi finalmente ciò che un bambino deve amare, vidi ciò che l’amore avrebbe potuto fare ci fossimo amati in tempo.
Freddo ora. Vicino al bordo. Quasi insopportabile. Nubi si ammucchiano in alto e ribollono dal nord dell’orso bianco. In questo mattino che spacca gli alberi sogno le sue tracce grasse, lo strutto salvavita. Penso all’estate dai frutti luminosi, boccioli che si arrotondano in bacche, foglie manciate di granaglie. Forse ciò che il freddo è, è il momento in cui misuriamo l’amore che abbiamo sempre avuto, segreto per le nostre stesse ossa, il duro amore affilato per il caldo fiume dell’io, oltre ogni cosa; forse è questo che significa la bellezza dello squalo blu che incrocia verso le foche che cadono. Nella stagione della neve nel freddo incommensurabile cresciamo crudeli ma onesti, ci manteniamo vivi se possiamo, prendendo uno dopo l’altro i corpi necessari degli altri, i molti fiori rossi schiacciati.
Chi ha fatto il mondo? Chi ha fatto il cigno e l’orso bruno? Chi ha fatto la cavalletta? Questa cavalletta, intendo, quella che è saltata fuori dall’erba, che sta mangiandomi lo zucchero in mano, che muove le mandibole avanti e indietro invece che in su e in giù e si guarda attorno con i suoi occhi enormi e complicati. Ora solleva le zampine chiare e si pulisce il muso, con cura. Ora apre le ali di scatto e vola via. Non so esattamente che cosa sia una preghiera; so prestare attenzione, so cadere nell’erba, inginocchiarmi nell’erba, so starmene beatamente in ozio, so andare a zonzo nei prati, è quel che oggi ho fatto tutto il giorno. Dimmi, che altro avrei dovuto fare? Non è vero che tutto muore prima o poi, fin troppo presto? Dimmi, che cosa pensi di fare della tua unica vita, selvaggia e preziosa?
Ogni notte il gufo con la sua scimmiesca faccia selvaggia lancia il suo richiamo di tra i rami neri, e i topi hanno freddo e i conigli rabbriviscono nei campi innevati – e allora si apre la lunga, profonda valle del silenzio quando egli smette il suo canto e si lancia in aria. Io non so quale sia della morte lo scopo ultimo, ma penso questo: chiunque sogni di tenere la sua vita in pugno anno dopo anno per centinaia di anni non ha mai considerato il gufo – come egli viene, esausto, attraverso la neve, attraverso gli alberi ibernati, superati tronchi e piante, tirandosi fuori da stalle e campanili, girando per questa e quella via attraverso le maglie di qualunque ostacolo – fermato da nulla – riempiendosi momento dopo momento di una gioia rossa e digeribile, lanciandosi a falce dai campi solitari e bianchi – e come al mattino, come se ogni cosa fosse come deve essere, i campi si fanno intensi di luce rosa, il gufo scompare dietro tra i rami, la neve va a cadere fiocco dopo perfetto fiocco.
Quello che farei la prossima volta è guardare la terra prima di dire qualunque cosa. Mi fermerei subito prima di entrare in una casa per un minuto sarei un imperatore e ascolterei meglio il vento o l’aria stando immobile.
Quando qualcuno mi parlasse, per biasimo o lode, o solo passatempo, guarderei la faccia, come la bocca deve funzionare, e vedrei ogni tensione, ogni segno di cosa ha alzato la voce.
E nonostante tutto, saprei di più – la terra che si rinforza e si libra, l’aria che trova ogni foglia e piuma al di sopra di foresta e acqua, e per ogni persona il corpo che risplende dentro gli abiti come una luce.
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