La tempesta poggia la sua bocca alla casa e soffia per emettere un suono. Dormo inquieto, mi giro, leggo il testo della tempesta assopita. Ma gli occhi del bambino sono spalancati al buio e il temporale mugola per lui. Entrambi amano le lampade che dondolano. Entrambi sono a metà strada dal linguaggio. La tempesta ha mani infantili e ali. La carovana si lancia verso la Lapponia. E la casa avverte la sua costellazione di chiodi che tiene insieme le pareti. La notte è immobile sul nostro pavimento (dove tutti i passi attutiti riposano come foglie affondate in uno stagno) ma fuori infuria la notte! Sul mondo passa una piú grave tempesta. Poggia la sua bocca alla nostra anima e soffia per emettere un suono – temiamo che la tempesta soffiando ci svuoti. Traduzione di Maria Cristina Lombardi
Tomas Tranströmer Poesia dal silenzio a cura di Maria Cristina Lombardi Crocetti Editore 2001, 2008, 2011
Passando, s’incontra all’improvviso qui la vecchia quercia gigantesca, alce pietrificato dalla chioma sconfinata sulla fortezza nero-verde del mare di settembre. Temporale del nord. È il tempo in cui maturano grappoli di nespole. Vegliando al buio si sentono scalpitare le costellazioni alle loro poste in alto sopra l’albero. Traduzione di Maria Cristina Lombardi
Si posò la luce del giorno sul viso di un uomo addormentato. Gli giunse un sogno più vivido Ma non si svegliò. Si posò l’oscurità sul viso di un uomo in cammino Tra la gente nei raggi di sole Forti e impazienti. D’un tratto si fece buio come per il temporale. Io ero in una stanza che conteneva tutti gli istanti – Un museo di farfalle. Tuttavia il sole era forte come prima. I suoi pennelli impazienti dipingevano il mondo. Tomas Tranströmer (Stoccolma, 1931), traduzione di Franco Buffoni, in F. Buffoni, Songs of Spring. Quaderno di traduzioni (Marcos y Marcos, 1999)
Come un sospiro gli ascensori iniziano a salire in alti edifici fragili come porcellana. Fuori su l’asfalto si fa caldo il giorno. I segnali hanno le palpebre abbassate. La terra una salita verso il cielo. Cima dopo cima, nessuna vera ombra. Voliamo avanti a caccia di Te per l’estate in cinemascope. E di sera sono un vascello a luci spente, a giusta distanza dalla realtà, mentre a terra nei parchi fluisce l’equipaggio.
Nella penombra del museo notai all’improvviso un vaso etrusco, di certo un vaso per il miele, largo, con fianchi muliebri e orecchi buffamente all’insù come per ascoltare alla perfezione, e c’era un volto evidente che sempre sorrideva provocante, come se volesse offrire chissà quali segreti! Questo mi fece tacere ostinato per tutta la durata della visita. I piccoli vasi hanno anche orecchi.
Mattina, il vento soffiava, sventolava e tendeva le bandiere della zona, c’era ghiaccio sotto le betulle bianche. Allora passa qualcuno vestito di nero, cammina con passo pesante, come se dovesse andare molto lontano. La strada vuota sale spontanea per un pendío dove egli si avvia. Certo che lo conoscevo, potevo raccontare di lui e di tutte le strade che ha percorso. Ora il vento soffia già molto meno. Le betulle bianche stanno assolutamente immobili, con un ghiaccio lucido ai piedi, bagliore solare. Dall’orizzonte dove la luce del cielo è intensa come qui arriva un piccolo tram sulle rotaie. Si ferma un po’ qui e poi scompare, senza che nessuno scenda. Traduzione di Maria Cristina Lombardi
Lars Gustafsson Sulla ricchezza dei mondi abitati a cura di Maria Cristina Lombardi Crocetti Editore 2010
Sento i tuoi passi nella sala, sento in ogni nervo i tuoi rapidi passi che nessuno nota altrimenti. Intorno a me soffia un vento di fuoco. Sento i tuoi passi, i tuoi amati passi, e l’anima fa male. Cammini lontano nella sala, ma l’aria ondeggia dei tuoi passi e canta come canta il mare. Ascolto, prigioniera dell’oppressione che consuma. Nel ritmo del tuo ritmo, nel tempo del tuo tempo batte il mio polso nella fame.
Come posso dire se la tua voce è bella. So soltanto che mi penetra e che mi fa tremare come foglia e mi lacera e mi dirompe. Cosa so della tua pelle e delle tue membra. Mi scuote soltanto che sono tue, così che per me non c’è sonno nè riposo, finché non saranno mie.
Quieta voglio ringraziare il mio destino: mai ti perdo del tutto Come una perla cresce nella conchiglia, così dentro di me germoglia dolcemente il tuo essere bagnato di rugiada. Se infine un giorno ti dimenticassi – allora sarai tu sangue del mio sangue allora sarai tu una cosa sola con me – lo vogliano gli dei
Il meglio che possediamo non lo si può dare, non lo si può dire e neanche scrivere. Il meglio del tuo animo niente lo può lordare. Risplende profondo laggiù per te e per Dio solamente. È il colmo della nostra ricchezza che nessun altro possa raggiungerlo. È il tormento della nostra miseria che nessun altro possa averlo.
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