Madre di chi non ha madre, sul tuo grembo posa la testa il dolore universale e dorme, ebbro della fine della sua fatica… E reggi in mano, usato e mai immondo, il piccolo fazzoletto materno con cui asciughi la lacrime del mondo.
Quante maschere e sottomaschere noi indossiamo Sul nostro contenitore dell’anima, così quando, Se per un mero gioco, l’anima stessa si smaschera, Sa d’aver tolto l’ultima e aver mostrato il volto? La stessa maschera non si sente come una maschera Ma guarda di fuori di sé con gli occhi mascherati. Qualunque sia la coscienza che inizi l’opera Sua, fatale e accettata sorte è l’ottundimento. Come un bimbo impaurito dall’immagine allo specchio Le nostre anime, fanciulle, rimangono disattente, Cambiano i loro volti conosciuti, e un mondo intero Creano su quella loro dimenticata causa; E, quando un pensiero rivela l’anima mascherata Esso stesso non va a smascherare da smascherato.
Voglio ignorato , e calmo perchè ignorato, e proprio perchè calmo, riempire i miei giorni di non volere altro da essi. A quelli che la ricchezza tocca, l’oro irrita la pelle. A quelli che la fama seconda, s’appanna la vita.
A quelli cui la la felicità è sole, verrà la notte. Ma , a chi nulla spera, tutto ciò che viene è gradito
Stanca essere, sentire duole, pensare distrugge. A noi estranea, in noi e fuori, precipita l’ora, e tutto in lei precipita. Inutilmente l’anima lo piange. A che serve? Che cos’è che deve servire? Pallido abbozzo lieve del sole d’inverno che sorride sul mio letto… Vago sussurro breve. Delle piccole voci con cui il mattino si sveglia, della futile promessa del giorno, morta sul nascere, nella speranza lontana e assurda in cui l’anima confida.
Dalla bellezza e dall’amore nessuno si separi Che la perfetta Natura l’un dell’altra ha pervaso, Dando a Bellezza amore, come ultimo destino E ad Amore bellezza come suo vero colore.
Lascia che ti sia amico chi trova bella l’anima E niente osi amare nel corpo eccetto il pensiero, Così la vista della coppia unita manterrà Verità e bellezza l’una nell’altra ricercata.
Io ti potrei amare senza prendermi gioco Dell’Amore e di te e dell’orribile me stesso; Perché io canto la tua bellezza e non ti voglio,
Grazie agli Dei non bramo inopportunamente Temendo che, come schiavo che vuole abito di re Una volta in mano, l’indossi in guisa errata.
Gatto che giochi per via come se fosse il tuo letto, invidio la sorte che è tua, ché neppur sorte si chiama. Buon servo di leggi fatali che reggono i sassi e le genti, hai istinti generali, senti solo quel che senti; sei felice perché sei come sei, il tuo nulla è tutto tuo. Io mi vedo e non mi ho, mi conosco, e non sono io.
Di nuovo ti rivedo, città della mia infanzia spaventosamente perduta… Città triste e allegra, eccomi tornato a sognare! Io? Ma sono lo stesso che qui è vissuto, che qui è tornato, e che qui è tornato a tornare, e a ritornare, e di nuovo a ritornare? O siamo, tutti gli Io che qui sono stato o sono stati, una serie di grani-enti legati da un filo-memoria, una serie di sogni di me di qualcuno fuori di me?
Una volta ancora ti rivedo, col cuore più lontano e l’anima meno mia.
Una volta ancora ti rivedo – Lisbona e Tago, e tutto -, viandante inutile di te e di me, straniero qui come dappertutto, casuale nella vita come nell’animo, fantasma errante in sale di ricordi, al rumore dei topi e delle tavole che scricchiolano nel castello maledetto del dover vivere…
Non verrò quando chiamerai, perché quando chiami sono con te. Quando tra me penso a te sei tu stessa, e… il tuo pensiero di te. La tua presenza è la tua assenza vestita del corpo che nasconde la tua anima. In me sei posseduta, nei miei pensieri risiedi interamente. Fuori da te, affidato al tempo e allo spazio, il tuo corpo, la tua mera perdita per me, partecipa al cambio, all’età e al luogo, appartiene a leggi diverse dalle tue. Nel mio sogno di te nulla ti cambia in un’altra che non sia tu. La tua presenza corporea è quella parte di te che ti allontana da te. Chiamami dunque, ma non aspettare. La tua voce, unita al mio sogno di te, aggiungerà nuova bellezza al pensiero del tuo corpo che vive in me. La tua voce sentita da lontano mi porterà più vicino la tua presenza sognata. Più luminosa e più chiara di quel che sembrava si innalza nella mia immaginazione. Allora non chiamarmi più. La tua voce sentita due volte nello spazio reale sarebbe ora troppo vicina alla realtà. La tua seconda voce era forse la tua prima attenuata. Chiamami una sola volta. Chiudo gli occhi e la tua seconda voce sia sognata, la visione del tuo corpo balugini dolcemente nel mio vedere il ricordo del tuo pianto. La quiete, gli occhi chiusi perché tu non appaia, saranno la chiara prosecuzione della sinuosa perseveranza del mio sogno. Resta lontano, in silenzio, non venire qui, poiché tu non verresti tanto vicino per vedere e fuori dai miei pensieri non andresti verso di te, adagiando su di me il tuo corpo sognato, (l’infinita forma-sogno del tuo corpo) il tuo limite, la visibilità
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