Salutami le sobótke

Karol Wojitila

 

Karol Wojitila

 

Salutami le sobótke
ed i santi del vecchio Wovro
digiunanti per le strade:
ascetici, emaciati santi.
La fiamma di sobótka
si chinerà,
ribollita sulle genziane
su due gambe si cullerà.
Saluta anche pastori e pastorelli.
Nelle sobótke
si uniscono i cuori
con i legami nascosti dei fuochi –
– poesia è conforto – la figlia della sobótka.
Salutami Madohora
con i pini arruffati.
Bello oggi da noi – in montagna.

Epilogo

Karol Wojitila

 

Karol Wojitila

 

E proprio qui, ai piedi di questa stupenda policromia sistina,
si riuniscono i cardinali –
una comunità responsabile per il lascito delle chiavi del Regno.
Giunge proprio qui.
E Michelangelo li avvolge, tuttora, della sua visione.
“In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo… “
Chi è Lui?
Ecco, la mano creatrice dell’Onnipotente Vecchio, diretta verso Adamo…
Al principio Dio ha creato…
Costui che vede tutto…
La policromia sistina allora propagherà la Parola del Signore:
Tu es Petrus – udì Simone, il figlio di Giona.
“A te consegnerò le chiavi del Regno”.
La stirpe, a cui è stata affidata la tutela del lascito delle chiavi,
si riunisce qui, lasciandosi circondare dalla policromia sistina,
da questa visione che Michelangelo ci ha lasciato –
Era così nell’agosto e poi nell’ottobre, del memorabile anno dei due conclavi,
e così sarà ancora, quando se ne presenterà l’esigenza dopo la mia morte.
All’uopo, bisogna che a loro parli la visione di Michelangelo.
“Conclave”: una compartecipata premura del lascito delle chiavi, delle chiavi del Regno.
Ecco, si vedono tra il Principio e la Fine,
tra il Giorno della Creazione e il Giorno del Giudizio.
È dato all’uomo di morire una volta sola e poi il Giudizio!
Una finale trasparenza e luce.
La trasparenza degli eventi –
La trasparenza delle coscienze –
Bisogna che, in occasione del conclave, Michelangelo insegni al popolo –
Non dimenticate: Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius.
Tu che penetri tutto – indica!
Lui additerà…

Verginità

Zuzanna Ginczanca

 

Zuzanna Ginczanca

 

Se non sono radice e solo questo,
ahi, quando si vedranno il mio stelo e i miei fiori,
e quando nasceranno i frutti?
Quale giorno attende il tempo, quale l’aria,
e perché Dio mi vuole lancia oscura
nella sua dura terra?
Non è che non voglio più essere radice
quando già posso esser tronco, foglie, rami,
dei miei fiori più belli.
Frutto fra i denti degli uomini,
voglio continuare ad essere radice.
Spiccare il salto trascinando terra
e unirla al cielo.
Sempre radice, tra il grano
scuro come ora sono scura.
Ma andando verso il regno del volo,
camminando tra le brezze; essere il porto degli uccelli,
il legno della nave, e che le coppe
si colmino del mio corpo e della mia essenza.
Se non spero d’essere fiore, aprirmi in frutto,
avere tra le mani terra e cielo,
vibrare come colonna tra i due…
Tu Dio; tu che mi hai creato, non costringermi
ad essere una radice della terra:
radice, solo radice: profonda radice!

Traduzione di Gabriele Morelli

Poesia n. 321 Dicembre 2016
Carmen Conde. Senza Eden
a cura di Gabriele Morelli

Labirinto

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

— e ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.
Una via dopo l’altra,
ma senza ritorno.
Accessibile soltanto
ciò che sta davanti a te,
e laggiù, a mo’ di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farti sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraverso infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a molti ancora aperti,
dove c’è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c’è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell’infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d’improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c’è.
Deve pur esserci un’uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga —

Lo chiamiamo granello di sabbia

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

Lo chiamiamo granello di sabbia.
Ma lui non chiama se stesso né granello né sabbia.
Fa a meno di un nome
generale, individuale,
permanente, temporaneo,
scorretto o corretto.
Del nostro sguardo e tocco non gli importa.
Non si sente guardato e toccato.
Ech e sia caduto sul davanzale
È solo un’avventura nostra, non sua.
Per lui è come cadere su una cosa qualunque,
senza la certezza di essere già caduto
o di cadere ancora.
Dalla finestra c’è una bella vista sul lago,
ma quella vista, lei, non si vede.
Senza colore e senza forma,
senza voce, senza odore e senza dolore
è il suo stare in questo mondo.

La stazione

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

Il mio arrivo nella città di N.
è avvenuto puntualmente.

Eri stato avvertito
con una lettera non spedita.

Hai fatto in tempo a non venire
all’ora prevista.

Il treno è arrivato sul terzo binario.
E’ scesa molta gente.

L’assenza della mia persona
si avviava verso l’uscita tra la folla.

Alcune donne mi hanno sostituito
frettolosamente
in quella fretta.

A una è corso incontro
qualcuno che non conoscevo,
ma lei lo ha riconosciuto
immediatamente.

Si sono scambiati
un bacio non nostro,
intanto si è perduta
una valigia non mia.

La stazione della città di N.
ha superato bene la prova
di esistenza oggettiva.

L’insieme restava al suo posto.
I particolari si muovevano
sui binari designati.

E’ avvenuto perfino
l’incontro fissato.

Fuori dalla portata
della nostra presenza.

Nel paradiso perduto
della probabilità.

Altrove.
Altrove.
Come risuonano queste piccole parole.

(da “Vista con granello di sabbia”, Adelphi, 1998)

.

Vestiario

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

Ti togli, ci togliamo, vi togliete
cappotti, giacche, gilè, camicette
di lana, di cotone, di terital,
gonne, calzoni, calze, biamcheria,
posando, appendendo, gettando su
schienali di sedie, ante di paraventi;
per adesso, dice il medico, nulla di serio
si rivesta, riposi, faccia un viaggio,
prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,
torni fra tre mesi, sei, un anno,
vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,
e voi supponevate, e lui sospettava;
è già ora di allacciare con mani ancora tremanti
stringhe, automatici, cerniere, fibbie,
cinture, bottoni, cravatte, colletti
e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori
-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa
riutilizzabile per protratta scadenza.

La fiera dei miracoli

Wislawa Szymborska

Wislawa Szymborska

Un miracolo comune:
l’accadere di molti miracoli comuni.
Un miracolo normale:
l’abbaiare di cani invisibili
nel silenzio della notte.
Un miracolo fra tanti:
una piccola nuvola svolazzante,
che riesce a nascondere una grande pesante luna.
Più miracoli in uno:
un ontano riflesso sull’acqua
e che sia girato da destra a sinistra,
e che cresca con la chioma in giù,
e non raggiunga affatto il fondo
benché l’acqua sia poco profonda.
Un miracolo all’ordine del giorno:
venti abbastanza deboli e moderati,
impetuosi durante le tempeste.
Un miracolo alla buona:
le mucche sono mucche.
Un altro non peggiore:
proprio questo frutteto
proprio da questo nocciolo.
Un miracolo senza frac nero e cilindro:
bianchi colombi che si alzano in volo.
Un miracolo – e come chiamarlo altrimenti:
oggi il sole è sorto alle 3,14
e tramonterà alle 20.01
Un miracolo che non stupisce quanto dovrebbe:
la mano ha in verità meno di sei dita,
però più di quattro.
Un miracolo, basta guardarsi intorno:
il mondo onnipresente.
Un miracolo supplementare, come ogni cosa:
l’inimmaginabile
è immaginabile.