Senti che non c’è più respiro tutto avanza nel respiro tutto ci acceca nel poco tempo in ciò che sarà splendente nella fragile luce del mattino. Baciami, abbracciami prima del livore prima ancora che non so abbracciami con le parole che non ci saranno, portate dal dolore delle rondini: Noi verremo ancora qui nella casa che hai custodito per noi sotto la grondaia per noi, solo per noi. Non uccideteli i poeti lasciateli senza niente coi loro occhi indecenti buttate i vostri giocattoli sulla riva del tempo, sarete e non sarete nei sogni confusi del pioppo. Ecco, è primavera qui ho la camicia rosa la sciarpa azzurra che mi protegge dalle parole fragili come le vostre perdite nel mattino. Sono ancora qui e vi scrivo per non morire. Sebastiano Aglieco (Sortino, 1961), da Infanzia resa(Il Leggio Editrice, 2018)
In questo paesaggio rimangono due mani che vangano la terra un albero gira ed è tutta la preghiera. Vorrei essere semplice nel dire come questo tuo parlare senza colore l’inizio del segno, o solo la sua conclusione. Gli uomini sono nel mezzo. Qualcuno si è allontanato e ci ha lasciati soli i poeti rimangono in un cappotto sono attenti, nella distanza delle mani. Chi è necessario dice ciò che resta e non vuole niente.
Sebastiano Aglieco (Sortino, 1961) da Giornata (Ed. La vita felice, 2003)
I Guardami, signora dei viandanti, dal gradino della nostra notte buia! Ho tanto camminato nella notte di questo tempo, sconosciuto a me stesso portando la mano al petto e genuflesso per consolazione. Le ho fermate tutte le parole il peso che mi stringe le ginocchia gli alberi posati e respirati con l’animo leggero dei bambini. Io ho questo soltanto: questo peso che schiuma nella gola la mano col seme degli alberi i fiumi che si stringono al mio tempo. A moltitudini giungo a te e mostro il fango nelle scarpe piccole rese delle bocche qui, a distanza di anni senza onore e senza timore il fiato genuflesso della piccola preda. Guardaci, guardaci per sempre con lo sguardo buono delle bestie, del bambino nel tuo baratro, tendi le mani risorgi nel gonfalone dell’amore la più alta spina verticale. Veniamo a te nella distanza col tamburo lanciato nel sangue nell’angolo in cui gli occhi si fermano davanti al muro e ricordano, e ritornano al corpo pesato in grammi disperdono, nel grande ventre le prime parole tramandate dimenticano il desiderio l’orto fiorito dei giorni antelucani. Ora del crepuscolo. Fine della luce. (da Compitu re vivi, Il ponte del sale 2013)
Siate sereni e docili alla morte, tutto questo è per gli umiliati che non sanno di un confine: essere nell’assenza dei bambini come una consolazione. Non dicono stringono le mani —malleoli, occhi nella mia bocca annusano la tua morte come i cani che si svegliano la notte. Sanno del loro semplice potere i Nominati, la prima volta che veniamo, la prima volta che ce ne andiamo. E mi stringono nell’impazienza della resa ti riconoscono al tatto, sputano il latte della giornata. Siamo con te dicono, non andartene oltre lasciaci il pane, il rimprovero le parole che ti dobbiamo. (da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006)
Scrivo da questa altezza Binario 21, vertigine dei miei giorni. Liberami, signore, da questi lacci contempla il tempo mio tutto nella vertigine e nella gola spalancami negli occhi dei bambini liberami di me, da me stesso dalle mie parole. Io volevo parole per tutte le cose ma le cose, nutrite, morivano. (da Compitu re vivi, Il ponte del sale 2013)
Poi succede qualcosa in un momento preciso della giornata: il canto di una classe dietro ai vetri interroga tutti i nostri destini. Sebastiano Aglieco (Sortino, 1961), da Infanzia resa (Il leggio, 2018)
Piove, piove, piove devo tornare a casa fermare la tua immagine distanziata in un colore freddo della non-memoria dove tutto è contenuto in un altro tempo un tempo più pulito e più sincero riaperto alle mani al mondo dei bambini. Circondatela nello stare quieto e nella misura, nel mondo piccolo delle piccole voci, sicura, nell’affetto delle voci. Circondatela stretta fra i limoni le more selvagge delle strade gli amati melograni la granita al limone. (da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006)
Chiama ra ‘n fossu, nu ruppu ri tammùru ca ‘nfùnnica u sancu ti fa vèniri ri sciancu e i to manu m’abbràncicunu. Veni versu a mmia ràpiti na strata nna l’occhi nno chiantu scuru re ucchi. Njura, comu ti visti, comu nun ti chiancji; stiddàta. I frazzi sèntunu u pisu i nnomi s’ammùccunu cu chiama. Chisti fùrunu i spadi: bestèmmji ca ‘ncùcciunu petra e celu. Assisi, 27/03/2005 Madre nera Chiama da un fosso, un groppo di/tamburo che sprofonda il sangue/giungi dal fianco e le tue/mani mi afferrano./Vienimi incontro/apriti una strada negli occhi/nel pianto scuro delle bocche./Nera, come ti vidi, come non/ti piansi, stellata./Le braccia sentono il peso/i nomi divorano chi chiama./Queste furono le spade: bestemmie che/spaccano pietra e cielo. (da Compitu re vivi, Il ponte del sale 2013)
La mamma ha portato l’acqua, un dono per le campagne, l’acqua nella sua bocca dissetata. Senti? Un rosario ci accoglie dalla distanza della casa per la pace nostra perché tu possa ritrovare nello specchio di Dio il viso delle origini, la dimenticanza nel dono del battesimo; entrare nella vita con la corona dei santi il bianco virgineo delle pupille un odore di fragola che presto dimentichiamo. Ti porti questo canto alle porte e sulla soglia della casa non più dimenticata non più ti perderai. (da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006)
Il mastice sutura la tua bocca in questo silenzio abissale delle bocche ma io rimango un po’ distante nessuno osa toccarti la faccia. Questo ho tracciato tra i miei occhi e i tuoi, questa pioggia attesa, questo freddo delle tue giunture. Avrai il tempo diguardarmi, come si guarda il bambino per laprima volta ti accoglieranno i bambini come hanno fatto oggi: “Ben tornato, maestro faremo del nostro meglio”. Contro la cattedra stretto nei loro corpi luminosi, in coro. I bambini si mangiano la morte. (da Dolore della casa, Il ponte del sale 2006)
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