Gian Maria Testa
È il silenzio l’oro del mattino
il silenzio
e il profumo delle donne
per le strade
sotto le arcate
che si sparge come un’onda
senza risacca
come un’ora
non segnata
come il respiro
di una camminata calma
e senza meta
È il silenzio l’oro del mattino
il silenzio
e il profumo delle donne
per le strade
sotto le arcate
che si sparge come un’onda
senza risacca
come un’ora
non segnata
come il respiro
di una camminata calma
e senza meta
Lo spirito ha bisogno del finito
per incarnare slanci d´infinito.
Parlo con l´angelo e le tue braccia d´uomo
soltanto lo traducono ai miei sensi.
Dove comincia l´ala? Dove nascono
musiche di tamburi di tempesta?
Amarti è sprofondare, è una foresta
sfumante in cieli altissimi.
E lui mi aspetterà nell’ipertempo,
sorridente e puntuale, con saluti
e storie che alle poverette orecchie
dell’arrivata parranno incredibili.
Ma riconoscerà, lui, ciò che gli dico?
In poche note o versi qui raccolgo
i messaggi essenziali. Un altro raggio,
aria diversa glieli tradurrà.
L’indifferenza è inferno senza fiamme,
ricordalo scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.
Se il mondo è senza senso
tua solo è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.
Quel mio amore per lui aveva ali di cera
lunghe le ali sembravano eterne
battevano il cielo sicure, sfioravano picchi,
puntavano al sole con nervature nervine.
Fuse le ali ormai mi ricrescono dentro,
soltanto ora perdute mi diventano vere,
e ai cuori incauti grido: la passione è un fantasma
troppo importante, uomini, per potersi incarnare.
Chiomate vaganti comete di Halley, presagi
disastri prodigi che infiammano e gelano il sangue,
nessuno osi fissarvi, si arrischi a sfiorare
coaguli di pura lontananza – morgane.
Ibernati, incoscienti, inesistenti,
proveniamo da infiniti deserti.
Fra poco altri infiniti ci apriranno
ali voraci per l’eternità.
Ma qui ora c’è l’oasi, catena
di delizie e tormenti. Le stagioni
colorate ci avvolgono, le mani
amate ci accarezzano.
Un punto infinitesimo nel vortice
che cieco ci avviluppa. C’è la musica,
(altrove sconosciuta), c’è il miracolo
della rosa che sboccia, e c’è il mio cuore.
L’indifferenza è inferno
senza fiamme, ricordalo
scegliendo fra mille tinte
il tuo fatale grigio.
Se il mondo è senza senso
tua sola è la colpa:
aspetta la tua impronta
questa palla di cera.
E ricordo una stagione in mezzo ai colli
immensi, affaticata dal soffiare
della notturna tramontana. Un gelso
gemeva negli strappi, così alto
che talora il suo grido mi svegliava.
Ieri nel tornarvi non sembrava
passato altro che un giorno.
La tramontana ci infuriava intorno.
Contro il cancello, intatta, era restata
una mia antica rosa morsicata.
Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto
se tutto mi guardasse coi tuoi occhi.
Marroni, intensi, laghetti dorati
ai raggi dolcemente declinanti.
Così gli occhi degli angeli, castagne
che hanno perso il riccio. Il Paradiso
è quella svestizione, ogni segreto
è arrivare al cuore.
Non chiedermi parole oggi non bastano.
Stanno nei dizionari: sia pure imprevedibili
nei loro incastri, sono consunte voci.
È sempre un prevedibile dejà vu.
Vorrei parlare con te – è lo stesso con Dio –
tramite segni umbratili di nervi,
elettrici messaggi che la psiche
trae dal cuore dell’universo.
Un fremere d’antenne, un disegno di danza,
un infinitesimo battere di ciglia,
la musica-ultrasuono che nemmeno
immaginava Bach.