You, wind of March

Cesare Pavese

Cesare Pavese

 

Sei la vita e la morte.
Sei venuta di marzo
sulla terra nuda ?
il tuo brivido dura.
Sangue di primavera
? anemone o nube ?
il tuo passo leggero
ha violato la terra.
Ricomincia il dolore.
Il tuo passo leggero
ha riaperto il dolore.
Era fredda la terra
sotto povero cielo,
era immobile e chiusa
in un torpido sogno,
come chi piú non soffre.
Anche il gelo era dolce
dentro il cuore profondo.
Tra la vita e la morte
la speranza taceva.
Ora ha una voce e un sangue
ogni cosa che vive.
Ora la terra e il cielo sono
un brivido forte,
la speranza li torce,
li sconvolge il mattino,
li sommerge il tuo passo,
il tuo fiato d’aurora.
Sangue di primavera,
tutta la terra trema
di un antico tremore.
Hai riaperto il dolore.
Sei la vita e la morte.
Sopra la terra nuda
sei passata leggera
come rondine o nube,
il torrente del cuore
si è ridestato e irrompe
e si specchia nel cielo
e rispecchia le cose ?
e le cose, nel cielo e nel cuore
soffrono e si contorcono
nell’attesa di te.
È il mattino, è l’aurora,
sangue di primavera,
tu hai violato la terra.
La speranza si torce,
e ti attende ti chiama.
Sei la vita e la morte.
Il tuo passo è leggero.

XVIII Pandora

Antonello Borra

 

Cari figli, vi scrivo
queste poche parole,
che spero vi teniate
ben ferme nel ricordo
mio e di questa casa
che sta cadendo a pezzi.
Tutto quello che avevo
da darvi, ve l’ho dato.
Ne avete avuto troppe
disgrazie? Non è questo
che volevo per voi,
vi ho dato tutto, tutto!
Per me ho tenuto solo
una speranza, e basta!
da: Autoscatti(pubblicati su Steve)

Vitebsk

Roberto Rossi Precerutti

 

Capanne e un’alta veste illuminata
mentre nell’azzurro le opache ali
formano strumenti e miti animali
per il canto fra i rovi, profumata
di rugiada è la pietra preparata
per l’amoroso sacrificio: calino
venti e rapine, ora poveri mali
spiantino rive e menti, e si è spezzata
su quinte deliziose la saetta
di quello sguardo che destando ammuta
come per via di un suo lume rinchiuso.
Dona il battito una pietà perfetta
di foglie e torce al giorno che ti ha illuso
facendoti splendente e sconosciuta.

Roberto Rossi Precerutti
Rovine del cielo
Crocetti Editore 2005

 

 

 

 



 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Cesare Pavese

Cesare Pavese

 

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Cosí li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Una lunghissima rincorsa (cut-up n. 157)

Jacopo Ramonda

Jacopo Ramonda

 

a Stefania
Mentre ti aspetto seduto su una panchina, mi lascio catturare dal modo in cui uno sciame d’api si spinge avanti, contorcendosi e aggrovigliandosi in un intreccio di orbite ellittiche. L’avanzata del sistema è una conseguenza delle derive dei suoi componenti, che sembrano rincorrersi tra loro.
Nell’illusione che il numero dei passi sia proporzionale alla distanza coperta, procediamo lungo un percorso a spirale, in cui scopriamo quello che vogliamo dire nell’atto di dirlo, tra errori, dimostrazioni di coraggio e ripensamenti. La capacità di coordinare i movimenti, e avanzare in posizione eretta, è un meccanismo che pare studiato apposta per permetterci di affrontare la lunghissima rincorsa che ci aspetta. Inseguendoci a vicenda, in nome di una particolare forma di contorsionismo che riconosciamo come amore, creiamo un groviglio difficilmente districabile d’interdipendenza, speranze, aspettative disattese o mantenute, e interpretazioni equivoche simili a stelle cadenti. Un’illusione ottica, originata da uno sciame di meteore che si rincorrono invano lungo orbite parallele, sulla traiettoria della Terra, finendo per esserne travolte e sgretolandosi nel contatto con l’atmosfera.
Jacopo Ramonda (Savigliano, 1983), da Una lunghissima rincorsa (Bel-Ami Edizioni, 2014)

Una risorta

Guido Gozzano

Guido Gozzano

 

I.
«Chiesi di voi: nessuno
sa l’eremo profondo
di questo morto al mondo:
Son giunta! V’importuno?»
«No!… Sono un po’ smarrito
per vanità: non oso
dirvi: Son vergognoso
del mio rude vestito.
Trovate il buon compagno
molto mutato, molto
rozzo, barbuto, incolto,
in giubba di fustagno!…»
«Oh! Guido! Tra di noi!
Pel mio dolce passato,
in giubba o in isparato
Voi siete sempre Voi…»
Muta, come chi pensa
casi remoti e vani,
mi strinse le due mani
con tenerezza immensa.
E in quella famigliare
mitezza di sorella
forse intravidi quella
che avrei potuto amare.
II.
«È come un sonno blando,
un ben senza tripudio;
leggo lavoro studio
ozio filosofando…
La mia vita è soave
oggi, senza perchè;
levata s’è da me
non so qual cosa grave…»
«Il Desiderio! Amico,
il Desiderio ucciso
vi dà questo sorriso
calmo di saggio antico…»
Ah! Voi beato! Io
nel mio sogno errabondo
soffro di tutto il mondo
vasto che non è mio!
Ancor sogno un’aurora
che gli occhi miei non videro;
desidero, desidero
terribilmente ancora!…»
Guardava i libri, i fiori,
la mia stanza modesta:
«È la tua stanza questa?
Dov’è che tu lavori?»
«Là, nel laboratorio
delle mie poche fedi…»
Passammo tra gli arredi
di quel mondo illusorio.
Frusciò nella cornice
severa la sottana,
passò quella mondana
grazia profanatrice…
«E questi sali gialli
in questo vetro nero?»
«Medito un gran mistero
l’amore dei cristalli.»
«Amano?!…» – «A certi segni
pare. Già i saggi chini
cancellano i confini,
uniscono i Tre Regni.
Nel disco della lente
s’apre l’ignoto abisso,
già sotto l’occhio fisso
la pietra vive, sente…
Cadono i dogmi e l’uso
della Materia. In tutto
regna l’Essenza, in tutto
lo Spirito è diffuso…»
Mi stava ad ascoltare
con le due mani al mento
maschio, lo sguardo intento
tra il vasto arco cigliare,
così svelta di forme
nella guaina rosa,
la nera chioma ondosa
chiusa nel casco enorme.
«Ed in quell’urna appesa
con quella fitta rete?»
«Dormono cento quete
crisalidi in attesa…»
«Fammi vedere… Oh! Strane!
Son d’oro come bei
pendenti… Ed io vorrei
foggiarmene collane!
Gemme di stile egizio
sembrano…» – «O gnomi od anche
mute regine stanche
sopite in malefizio…»
«Le segui per vedere
lor fasi e lor costume?»
«Sì, medito un volume
su queste prigioniere.
Le seguo d’ora in ora
con pazienza estrema;
dirò su questo tema
cose non dette ancora.»
Chini su quelle vite
misteriose e belle,
ragionavamo delle
crisalidi sopite.
Ma come una sua ciocca
mi vellicò sul viso;
mi volsi d’improvviso
e le baciai la bocca.
Sentii l’urtare sordo
del cuore, e nei capelli
le gemme degli anelli,
l’ebbrezza del ricordo…
Vidi le nari fini,
riseppi le sagaci
labbra e commista ai baci
l’asprezza dei canini,
e quel s’abbandonare,
quel sogguardare blando,
simile a chi sognando
desidera sognare…

Un dolce pomeriggio d’inverno

Carlo Betocchi

Carlo Betocchi

 

Un dolce pomeriggio d’inverno, dolce
perché la luna non era piu che una cosa
immutabile, non alba né tramonto,
i miei pensieri svanirono come molte
farfalle, nei giardini pieni di rose
che vivono di là, fuori del mondo
Come povere farfalle, come quelle .
semplici di primavera che sugli orti
volano innumerevoli gialle e bianche,
ecco se ne andavan via leggiere e belle,
ecco inseguivano i miei occhi assorti,
sempre piu in alto volavano mai stanche.
Tutte le forme diventavan farfalle
intanto, non c’era piu una cosa ferma
intorno a me, una tremolante luce
d’un altro mondo invadeva quella valle
dove io fuggivo, e con la sua voce eterna
cantava l’angelo che a Te mi conduce.

Tu non sai le colline

Cesare Pavese

Cesare Pavese

 

Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muro, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.

The night you slept

Cesare Pavese

Cesare Pavese

 

Anche la notte ti somiglia,
la notte remota che piange
muta, dentro il cuore profondo,
e le stelle passano stanche.
Una guancia tocca una guancia;
è un brivido freddo, qualcuno
si dibatte e t’implora, solo,
sperduto in te, nella tua febbre.
La notte soffre e anela l’alba,
povero cuore che sussulti.
O viso chiuso, buia angoscia,
febbre che rattristi le stelle,
c’è chi come te attende l’alba
scrutando il tuo viso in silenzio.
Sei distesa sotto la notte
come un chiuso orizzonte morto.
Povero cuore che sussulti,
un giorno lontano eri l’alba.

The cats will know

Cesare Pavese

Cesare Pavese

 

Ancora cadrà la pioggia
sui tuoi dolci selciati,
una pioggia leggera
come un alito o un passo.
Ancora la brezza e l’alba
fioriranno leggere
come sotto il tuo passo,
quando tu rientrerai.
Tra fiori e davanzali
i gatti lo sapranno.
Ci saranno altri giorni,
ci saranno altre voci.
Sorriderai da sola.
I gatti lo sapranno.
Udrai parole antiche,
parole stanche e vane
come i costumi smessi
delle feste di ieri.
Farai gesti anche tu.
Risponderai parole;
viso di primavera,
farai gesti anche tu.
I gatti lo sapranno,
viso di primavera;
e la pioggia leggera,
l’alba color giacinto,
che dilaniano il cuore
di chi più non ti spera,
sono il triste sorriso
che sorridi da sola.
Ci saranno altri giorni,
altre voci e risvegli.
Soffieremo nell’alba,
viso di primavera.