E dopo un viaggio così lungo Ritroverai tutto com’era? Sarà spuntato un grosso fungo Sul bordo della cassettiera? Balzerà un rospo dall’armadio? Il muro avrà sputato i chiodi? E più non canterà la radio? I fili si son fatti nodi? O da una rianimata trave Raccoglierai rami di rose? Anche se chiudi bene a chiave Il tempo fa di queste cose Nicola Gardini
(Petacciato, 1965) daIl tempo è mezza mela(Salani, 2018) – consigliata da Luigi Natale
Le nostre vite erano già cambiate. Apro una parentesi. Come fa quel signore a essere così bello? Ti ho chiesto di fermarmi, non capisci, parlagli o mi metto a rompere i tulipani. Li avevo dimenticati. Che pretendono così rapidi, guardali, richiusi intorno alla mia casa, petalo a petalo, e così neri, d’accordo, così eleganti, ma deve proprio sembrare un fiore quel fiore che non volevo e prova per me a racchiudere qualcosa che escludevo e volevo come un fiore, che gentile però sembravi con il sacchetto in mano…Era la pioggia finalmente, la lama tagliava ancora la prima volta e qualcuno oltre il muro…Fermami, almeno fermami. Sì, certo, è verde lassù e del resto non importa credere che qualcuno fosse sabato se dobbiamo parlare. Sta’ tranquillo. Partiamo di lì. Io, dunque, sono stato tuo figlio. Sì, di sabato. Ti ho detto tutto. Mi prometti adesso che non dirai più che è un buon orario? Nicola Gardini (Petacciato, 1965), da Le nuvole (Crocetti, 2007)
Papannònn’ N’còl’ mangh lu nòm’ sì sapèva fà. ‘Na cròc’ arfacèv’ quand’ avèv’a fà n’affàr’. E ch’ c’ vulèv’ a ‘mbarà N I C O L A ? Lassa pèrd’ lu cugnòm’… N còm’ la vì p’ lu màr I còm’ lu còrz’ d’ P’tacciàt’ C còm’ la falc’ p’ la jèrv’ O còm’ na m’lèll’ L còm’ lu pèd d’ la gallìn’ A còm’ l’ còss’ sòtt’alla gonnìn’ Quand’ z’è mmòrt’, nonnò j’à miss’ annanz’ ddù ang’l’, nu sacc’ d’ fiur’ e llu lumìn’, ma mangh ‘na cròc’.
Città senza storia e senza leggende, Città senza ponteggi e senza monumenti, Priva di archeologia, di reliquiari e di porte, aperta a tutti i viandanti, A tutti i messaggeri di sogni, a tutti i portatori di pesi, A tutti coloro in cerca di pane e di potere e di comprensione vietata; Città degli Uomini Comuni Quelli che lavorano e mangiano e si riproducono senz’altra ambizione, O Forza Incorruttibile, o Realtà priva di lungimiranza, Cosa c’è fra te e me? (…) Io canterò i tuoi sanguinolenti bassifondi Le tue macchine, artigli di ferro della tua ingordigia, E le tue carceri, viscide spire della tua mente, La luce dei tuoi occhi che abbacina il sole E converte le tue mezzenotti in mezzogiorni, Le strade dove compri e rivendi Ogni giorno l’intero mondo e l’umanità, Le tue fondamenta che affondano fin nell’inferno E le tue torri che lacerano i tifoni E la tua voce ubriaca di cruente libagioni, E i tuoi porti che ingoiano le nazioni, E la gloria dei tuoi morti senza nome, E l’amaro del tuo pane, E la spada che ti consacra la mano, E l’alba che ghirlanderà la tua testa.
Al mio tempo che passa e si consuma pigro sgomento scarico di memoria e di voce chiedo compagnia, complicità di vento. Ovunque la nostra libertà di corsa porta refoli d’aria tra fiati/otri sgonfi di respiro spasmi che allontanano la vita. La nostra forza di liberare il sole sfolla recinti di nuvole alla calura presta sacche di nebbie e a ogni deserto rovescia linfa e umori. Al vento chiedo frusta di giustizia su questa terra spremuta offesa vuota d’umanità, serva di profezia di nessun verbo, erba voglio di legge su misura. Dal vento, ruffiano in amore, aspetto favori di voglie e moine bisaccia di pane e vino per sazietà di fame a ogni digiuno per non morire in questa sera confusa che avanza e dura. Al vento, che spezza spazza trascina insemina le zolle e cielo e mare rasserena, cerco asilo e somiglianza. Io, aria soffio alito – non più trastullo – oggi di terra e d’anima mi vesto. Partigiano del mio tempo respiro resisto e vivo. Sono vento di fronda.
Fame e sete ci angustiano. Sono castigo e febbre al nostro esodo possibile di ogni direzione. Ma c’è ancora attesa di Pasqua sosta pellegrina al tumulto dell’anima che cerca da sempre risposte al mistero. Ladroni di buio e luce ci ritroviamo come grano sempreverde semi al sepolcro. A te oggi la mia promessa di alleanza e l’ospitalità di mensa.
Qui c’è la nostra terra rosari di paesi grani di ogni mistero tra monti e valli dove il verde è regno che traballa al tisico dei giorni dubbi in successione lebbra d’attese. Nervi tesi a torri e tralicci seminano onde serpi con denti di magnete più dannosi della furia dell’Oceano e svuotano la fede di marinai di terra profughi di sole orfani di acqua e sale. Nervi tesi pelli di tamburo battono con forza note di dissenso. S’alza l’urlo al silenzio e ricaccia nei recinti la paura e i suoi vivi fantasmi. Mani sudate intrecciano attese e dubbi e levano al cielo palmi e pugni di ogni riserbo e fattura. Compagna al disappunto s’adatta cosciente la voce.
Sono fragili le frontiere dell’Africa maghrebina liquide come il sangue che oggi dissolve dittature e nelle vene del mare fa scorrere barche di fuga ricerca/angoscia di salvezza. Africa madre terra Mediterraneo altro genitore da sempre vegliate su figli che hanno secchezza di gola miserie di fame e sete per aridità d’anima che è vento di sabbia al futuro. Oggi la rabbia avvampa tra fuochi beduini di carovane e tende al deserto tra focolari di tetti infuocati di huria da Algeri a Bengasi al Cairo voglia di uguaglianza conquista di cielo in terra oltre le promesse di Allah. Mercenari di guerre fallite hanno mani di rapina e cuore barbaro crudele sordo e cieco alle ragioni di rivolta greggio dell’anima che infiamma Tripoli. Tirannia accresce l’agonia. La guerra è furia assassina madre detestata rifiuta i figli sfonda le porte sventra donne e case e tormenta gli uomini con ripetute stagioni di dolore. Non c’è verso ad invocare pace con parole doppie abusive del senso del cielo fosco ostile violento tonante di corse di uccelli di fuoco angeli di ogni maledizione.
Quando sarai vulnerabile a questa parola ti prego raccogli l’oleandro dai piedi sul dubbio del cancello perché riconosca la strada alle radici di casa. Alessia Iuliano (Termoli, 1995),da Ottobre nei viavai(RP libri, 2018)
Nella folla, la mia folla che vocia e fa ressa capita trovarsi margine estraneo ai luoghi comuni restio alle abitudini eppure guerriero tempra di cento battaglie pronto allo stremo allo scontro allo sfascio. Tra gente che corre distratta è ancora salvezza un granello di idea una scheggia che sfavilla ed infiamma la notte un’unghia spezzata che graffia l’indifferenza una spina che s’inarca e ricuce il dolore. Sprezzo le icone viventi padrone del male e mi contento di essere un frammento d’umanità che sorge all’istante resiste e si ricompone.
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