XI

Roberto Deidier

Roberto Deidier

 

Forse non tutto è perduto, forse
Qualche ragione resta per parlarci.
Non tutta la ferita s’è consunta,
Da un lembo all’altro cuciono i batteri
Quella nostra invisibile pazienza.
Allora ascolta, ascolta il tramestìo
Di questi giorni, invita a non alzare
Le braccia ancora in segno di sconfitta.
Roberto Deidier (Roma, 1965), da Solstizio (Mondadori, 2014)

XIII

Antonella Anedda

Antonella Anedda

 

for Nathan Zach
Even these are lines of war
written while it rages, not far away, not close by
and we sit at an odd angle around a lamp-lit table
as they deck the doorways with palms
even this is a song unto God
that He may lower His gaze upon us worms and trample on us
loved and unloved ones alike.
Not a truce – a gift
for this lightning-struck land.
*
Sit in front of the window
look, but accept desperation:
there is truth in the moon that shines
though it does not rise shield-like against pain
it translates itself –
as I have just translated from the open facing the wall –
it simply links the desk to thought
in a wait that burns, but does not explain
and it torments every page in the air
with fir tree music, hostile lights.
( traduzione in tedesco di Irmela Heimbächer)
Winterresidenzen

XIV

Antonella Anedda

Antonella Anedda

 

Benedetta tu a distanza
la più innocente tra le cose lontane
nicchia di tavolo e mela
una sfera un piano e contro l’alta fiamma del fuoco
le due forme congiunte a scavare il nitore di un vano.
Nulla in realtà ci chiama
eppure ci accostiamo agli oggetti
quasi fossero gli echi di una voce
l’annuncio indifeso di altre vite.
L’acqua nera, la sagoma del cane contro il molo.
Nessuno può dirli ricordi e fischiare davvero come allora
ma noi vediamo le tre stanze, lo scatto
di chi ancora viveva
e a un tratto gli armadi ci rimandano
un fuoco errante la stella incerta di un viso.
Nulla è compiuto nulla è ancora profondo.
C’è solo il tonfo di una calce improvvisa
e queste grida tra felci che sferzano le schiene
grida che non capiamo come accade nel buio agli inseguiti.
Alberi, corpi, folate contro i muri.
Basta un gesto: il rovescio di un gomito che spegne una candela.
Di colpo diventiamo ciò che aveva tremato.

VIII

Antonella Anedda

Antonella Anedda

 

Forse se moriamo è per questo? Perché l’aria liquida dei giorni
scuota di colpo il tempo e gli dia spazio
perché l’invisibile, il fuoco delle attese
si spalanchi nell’aria
e bruci quello che ci sembrava
il nostro solo raccolto?

Viola su questa riva di luce

Daniele Mencarelli

Daniele Mencarelli

 

Viola su questa riva di luce
marina avvinghiata agli occhi
ha trasformato in missione il suo tempo,
pieno fino all’orlo il secchiello
vorrebbe per sé un castello d’acqua,
il dolore per la mancata meraviglia
si rinnova a ogni sicuro fallimento
di fronte all’acqua rimangiata dalla sabbia,
ma così chiara e amata è la visione
come una forza innata nelle braccia.
Per mano alla stessa ostinazione
si consuma il seme che ti ha dato i giorni,
del gioco rimane intatta la speranza,
almeno una volta alla resa dei conti
vedere la terra non riprendersi tutto.
(agosto 2013)
Daniele Mencarelli (Roma, 1974)

Villa San Pietro

Alessandro De Santis

Alessandro De Santis

 

Ore 11,05. Un fumetto. E un bambino col gilet
Ha paura la mattina, Jacopo
sente che l’abisso gli frenerà il respiro
ha paura che i nipoti vivano
impotenti, con un vulcano sotto i piedi
e macchie grosse così sulla pelle.
Non vuole pensarsi depresso, Jacopo
pronto neppure per dieci
euro sgualciti nella tasca.
Cammina e urla, e gli dispiace,
ma urla così piano che lo strano
frutto che ha appeso al cuore, non
oscilla neppure un po’.
da Metro C (2013)

VI

Antonella Anedda

Antonella Anedda

 

Non esiste innocenza in questa lingua
ascolta come si spezzano i discorsi
come anche qui sia guerra
diversa guerra
ma guerra – in un tempo assetato.
Per questo scrivo con riluttanza
con pochi sterpi di frase
stretti a una lingua usuale
quella di cui dispongo per chiamare
laggiù perfino il buio
che scuote le campane.
***
C’è una finestra nella notte
con due sagome scure addormentate
brune come gli uccelli
il cui corpo indietreggia contro il cielo.
Scrivo con pazienza
all’eternità non credo
la lentezza mi viene dal silenzio
e da una libertà – invisibile –
che il Continente non conosce
l’isola di un pensiero che mi spinge
a restringere il tempo
a dargli spazio
inventando per quella lingua il suo deserto.
La parola si spacca come legno
come un legno crepita di lato
per metà fuoco
per metà abbandono.

Uomini e oche

Franco Marcoaldi

Franco Marcoaldi

 

A Lorenz dissero (era vero)
“Sei un nazista” – mentre ibridando
oche selvatiche e domestiche
osservava: “Se questo incremento
prepotente di pulsioni
per la copulazione
e l’alimentazione, accompagnato
al calo preoccupante
degli istinti sociali
singolari (e quindi differenti).,
valesse anche per l’uomo,
sarebbero chiare le ragioni
di un conclamato deterioramento:
trattasi di specie che ha patito
eccessi da addomesticamento”.
*
Se solo tu sapessi
cara la mia mammina
che cosa fa tuo figlio
da quanto cala il sole
fino a tirar mattina.
Diventa all’improvviso
il più stupido del mondo,
cercando vanamente
chissà quale sprofondo.
E il guaio non è quello
a cui tu stai pensando:
peccati efferatezze
rossetti pornotango.
Volesse Dio lo fosse.
Il male nel mio caso
è solo una credenza:
eccitazione autistica
che porta all’impotenza.