Fiammiferi

Canio Mancuso

 

Canio Mancuso

 

Mio padre fabbricava
navi di fiammiferi
navi con troppe vele
e con troppi cannoni
belle perché non erano
metafora di niente.
Stava seduto a terra
con il broncio sospeso
sul docile cantiere
della sua arte sghemba
massacrando fiammiferi
che asciugava e incollava
a uno scheletro d’aria.
Come era contento
di soffiare il respiro
negli ossi di una nave
priva di oceani da immaginare.

Mater mediterranea

Canio Mancuso

 

Canio Mancuso

 

Me l’hai insegnato tu
che non c’è scandalo
e non c’è contraddizione
in un amore intervallato
da qualche ammazzamento.
Parlo dei conigli
che accarezzavi prima
del colpo di karate alla nuca
e delle papere che tuo fratello
strozzava credendo di interrogarle
sul senso dello stare al mondo,
ma il disegno è lo stesso anche per gli uomini.
Mi hai insegnato che la morte
non si augura a nessuno
ma uno sbocco di sangue,
tre litri di sangue dalle nasche, sì
sono una misura correttiva
che lucida le cellule
e aiuta a sedere composti.
Mi hai dimostrato che si può credere
in Dio come nel malocchio, perché lì
si acquatta il diavolo cazzunale
innominabile, ma nominare
pene e castighi terreni
si può, si deve eccome.
Mi hai spiegato che il dolore
si custodisce come un mosto
che fa dolce la neve
e tirarlo fuori dalla buca a dicembre
ti fa impazzire di una gioia diversa
di pietà per un prossimo
che non è mai il vicino di qualcun altro.
Solo così per te è giusto impazzire.
Questo non dicevi
quando la luce ti insanguinava il viso
e ti perdevi nel casino di un suq
a Palermo, tu che sul lungomare
arrossivi ai saluti più innocenti.
Volevi raccontarmi
l’arrendevolezza dei tuoi vent’anni
la regola estrema che diventa fede
e un piccolo lascito di rancore.

Nidi

Canio Mancuso

 

Canio Mancuso

 

Mio padre distratto dalle rondini
smarrisce le carte del congedo.
Conosce la morte degli animali
così esatta e disinvolta
ma ha dimenticato la sua
sul comodino coi documenti.
Mio padre chiedeva una canzone allegra
e ha avuto un silenzio imperfetto:
ero io nascosto in una stanza
tra gli a capo sonnolenti dei libri.
Voleva un figlio dallo sguardo aperto
un figlio maschio che dormisse poco
e ne ha avuto uno che rimane sveglio
per godersi il riposo degli inconcludenti.
Sulla gigantografia del santo
che azzittiva la vallata
le rondini costruivano i nidi.
Mio padre seduto su una panchina
me li mostrò un pomeriggio
di settembre quei nidi
che io non avevo mai guardato.

La vetrina del fotografo

Canio Mancuso

 

Canio Mancuso

 

Non dovete aggiungere altro
credo di conoscerli
quei segreti così terreni
esposti alla luce dei volti
le occhiate fuori dalla cornice
i desideri in formalina
nel nascondiglio bianco
di una fotografia.
Il sì è un chissà ora che siete spose
e aspettate il battesimo di sangue
e sperma della prima notte
o avete nostalgia di altre notti
gli incontri che non dite al confessore
e che vi lasciano quasi un sorriso
sotto vetro nel primo piano più riuscito.

Nessuno più mi consola

Leonardo Sinisgalli

Leonardo Sinisgalli

Questa terra grigia lisciata dal vento nei suoi dossi
nella sua galoppata verso il mare,
nella sua ressa d’armento sotto i gioghi
e i contrafforti dell’interno, vista
nel capogiro dagli spalti, fila
luce, fila anni luce misteriosi,
fila un solo destino in molte guise,
dice: “guardami, sono la tua stella”
e in quell’attimo punge più profonda
il cuore la spina della vita.
Questa terra toscana brulla e tersa
dove corre il pensiero di chi resta
o cresciuto da lei se ne allontana.
Tutti i miei più che quarant’anni sciamano
fuori del loro nido d’ape. Cercano
qui più che altrove il loro cibo, chiedono
di noi, di voi murati nella crosta
di questo corpo luminoso. E seguita,
seguita a pullulare morte e vita
tenera e ostile, chiara e inconoscibile.
Tanto afferra l’occhio da questa torre di vedetta.

pure sottaterre

Domenico Brancale

Domenico Brancale

Pure sottaterre
angùne aspètte a mmi
nu zulù spugghiàte e vrusciàte
ca n’eterne stàie a lla spiranze
di na nuvele
ca si skàffe a chiange
e po’ non s’ ’mbùnde cchiù
sòo vere sicure
ca mi ngi ’ggià ’rricriià
llà sotte a lla micciune
nd’ ’a ’ccisione d’u niùre
o muorte so’ cchiù vive di nuie
da Canti affilati

vanno verso qualche cosa di ghiaccio

Domenico Brancale

Domenico Brancale

vanno verso qualche cosa di ghiaccio
i fiumi che
pronunciamo
tra le sponde dei labbri
verso un non scorrere
mai divenuti mare
un restare
alle prese della cute
(eterno ghiacciare)
uno di noi se mai fosse stato
uno di noi qui raggelato
quanto manca per dire che siano ossa
le lame che frangono la terra?
aliti vi siete fatti
cristalli in mezzo alla scia
bruciando
da incerti umani

addò sòo i?

Domenico Brancale

Domenico Brancale

Addò sòo i?
Addò sòo?
Cusse i’è u suonne ca mi fàzze
non sàcce si so’ spine o curtielle
’ssi cose citte ca m’abbruculèine
u sanghe d’o pinziere
no’ mmi fàzze capace
eccó minnè nd’u liette di vammace
angune non pìgghie pace
Addò sòo i
no’ ng’è morte ca mi strùsce
da Canti affilati