Una dedica a mia moglie

Thomas Stern Eliot

 

Thomas Stern Eliot

 

Alla quale devo l’impulso di piacere
Che mi desta i sensi nelle nostre ore di veglia
E il ritmo che governa il riposo delle nostre ore di sonno, il respiro all’unisono

Di amanti i cui corpi odorano l’uno dell’altro
Che pensano gli stessi pensieri senza necessità di parole
E balbettano le stesse parole senza necessità di senso.

Nessun ostinato vento d’inverno potrà gelare
Nessun cupo sole tropicale potrà inaridire
Le rose nel roseto che è nostro, nostro soltanto.

Ma questa dedica è perché altri la leggano:
parole private che ti sono rivolte in pubblico.

Lovers Go Home

Thomas Stern Eliot

 

Thomas Stern Eliot

 

Oggi che ho iniziato la giornata
tornandoti sott’occhio
e mi hai trovato bene
e ti ho trovato ancora più bella
adesso che finalmente
è abbastanza chiaro
dove sei e dove
sono

Per la prima volta so
che avrò la forza
di costruire con te
un’amicizia così sottile
che dal vicino
territorio dell’amore
questo disperato
inizieranno a guardarci
con invidia
e finiranno per organizzare
escursioni
per venire a chiederci
come facciamo.

Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe

Joyce Mansour

 

Joyce Mansour

 

Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe.
Mi piace il busto che sostiene il tuo corpo tremante
le tue rughe i tuoi seni ballonzolanti la tua aria affamata
la tua vecchiaia contro il mio corpo teso
la tua vergogna davanti ai miei occhi che sanno tutto
I tuoi vestiti che odorano del tuo corpo marcio.
Tutto questo alla fine mi vendica.
Degli uomini che non hanno voluto saperne di me
Vuoi il mio ventre per nutrirti
vuoi i miei capelli per sfamarti
vuoi le mie reni i miei seni la mia testa rasata
vuoi che muoia lentamente lentamente
che mormori morendo parole infantili.
(…)
Voglio mostrami nuda ai tuoi occhi melodiosi.
Voglio che tu mi veda mentre urlo di piacere.
Che le mie membra piegate sotto un carico troppo pesante
ti spingano a gesti blasfemi.
Con i capelli lisci della mi testa offerta
rimangano sospesi alle tue unghie ricurve di furore.
Che ti tenga in piedi cieco e devoto
Guardando dall’alto il mio corpo spiumato.
Ti piace dormire nel nostro letto disfatto
non ti disgustano i nostri antichi sudori
le lenzuola sporche di sogni dimenticati
le nostre grida che risuonano nella camera buia
tutto questo esalta il tuo corpo affamato
la tua brutta faccia alla fine s’illumina
perché i nostri desideri di ieri sono i tuoi sogni di domani

Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi cantanti

Joyce Mansour

 

Joyce Mansour

 

Voglio mostrarmi nuda ai tuoi occhi cantanti.
Voglio che tu mi veda gridare dal piacere.
Che le mie membra piegate sotto un peso troppo greve
Ti spingano ad atti empi.
Che i capelli lisci della mia testa offerta
S’impiglino alle tue unghie incurvate dal furore.
Che tu rimanga in piedi cieco e credente
Guardando dall’alto il mio corpo spiumato.

Piove sulla conchigia blu della città

Joyce Mansour

 

Joyce Mansour

 

Piove e il mare si lamenta
I morti piangono senza tregua senza ragione senza fazzoletti
Gli alberi si stagliano contro il cielo viaggiatore
Esibendo i loro membri ispidi agli angeli e agli uccelli
Perché piove e il vento tace
Le gocce folli pennate di sporcizia
Scacciano i gatti nelle strade
E l’odore vischioso del tuo nome si sparge sul cemento
dei marciapiedi
Piove mio amore sull’erba spianata
Dove i nostri corpi distesi hanno gioiosamente germogliato
Per tutta l’estate
Piove oh madre mia e anche tu non puoi farci niente
Perché l’inverno avanza solitario sulla distesa delle spiagge
E Dio ha dimenticato di chiudere il rubinetto

Invitami a trascorrere la notte nella tua bocca

Joyce Mansour

 

Joyce Mansour

 

Invitami a trascorrere la notte nella tua bocca
raccontami della giovinezza dei fiumi
premi la mia lingua contro il tuo occhio di vetro
lasciami fare il nido nella tua gamba
e poi dormiamo, fratello mio,
perché i nostri baci muoiono più in fretta della notte.
C’è del sangue nel giallo dell’uovo
C’è dell’acqua sulla piaga della luna
C’è dello sperma sul pistillo della rosa
C’è un dio in chiesa
che canta e sbadiglia
Non ci sono parole
soltanto dei peli
sull’aridità del mondo
dove i miei seni sono re
e non ci sono gesti
soltanto la mia pelle
e le formiche che brulicano tra le mie gambe oleose
indossano le maschere del silenzio mentre lavorano.
Viene poi la notte e la sua estasi
e il mio corpo profondo, questo polipo spensierato,
ingoia il tuo sesso agitato
mentre gli ridà la vita.
Un nido di viscere
sull’albero secco del tuo sesso.
Un nero cipresso piantato nell’eternità
fa la veglia ai morti che nutrono le sue radici.
Due ladri crocifissi su costole d’agnello
se la ridono del terzo che, a missione compiuta,
divora la sua croce di carne arrostita.
Il nero mi circonda
salvatemi
gli occhi aperti sulla vuota disperazione degli
orizzonti marittimi
mi scoppiano nella testa
salvatemi
i pipistrelli dai corpi ammuffiti
che vivono nei cervelli seviziati dei monaci
s’attaccano alla mia lingua molle
la mia lingua gialla di donna accorta.
Salvatemi, voi che capite
e i vostri giorni saranno moltiplicati.
Malgrado i peccati che non vi saranno perdonati.
Malgrado lo spessore della notte nelle vostre bocche.
Malgrado i vostri bambini iniziati al male.
Malgrado i vostri letti.