È piú acuto lo sguardo dei poeti. È un giardino di casa per loro la natura. In un’oscura selva gli altri uomini cercano brancolando un’ardua via. E l’unico bagliore, che come una favilla effimera illumina talvolta il loro andare di notte, è una breve sensazione di magnetica occasionale vicinanza: fugace nostalgia, fremito di un attimo, sogno dell’ora del tramonto, gioia immotivata che d’improvviso corre nel cuore e d’improvviso fugge.
olevo appenderla a un muro della stanza. Ma l’umidità del cassetto l’ha guastata. Non la metto in un quadro questa foto. Dovevo conservarla con piú cura. Queste le labbra, questo il viso – ah, per un giorno solo, per un’ora solo tornasse quel passato. Non la metto in un quadro questa foto. Mi fa soffrire vederla cosí guasta. Del resto, se anche non fosse guasta, che fastidio badare a non tradirmi – una parola o il tono della voce – se mai qualcuno mi chiedesse chi era.
Mare al mattino Fermarmi qui. Per vedere anch’io un po’ la natura. Luminosi azzurri e gialle sponde del mare al mattino e del cielo limpido: tutto è bello e in piena luce. Fermarmi qui. E illudermi di vederli (e davvero li vidi un attimo appena mi fermai); e non vedere anche qui le mie fantasie, i miei ricordi, le visioni del piacere
Gli anni poi passeranno masse di monti e pietra si frapporranno tutto sarà dimenticato come si dimentica il cibo quotidiano che ci tiene in piedi. Tutto, tranne quell’istante in cui sul metrò affollato ti aggrappasti al mio braccio. Titos Patrikios (Atene, 1928), da La resistenza dei fatti (Crocetti, 2007) Oltre alla testimonianza civile, all’amicizia, al viaggio, al mito, un altro sguardo presente nella poetica di Patrikios è l’eros. O l’amore. Patrikios, sempre fedele al metro libero, non potrebbe mai scrivere d’amore alla Prévert o alla Neruda. Quando sviluppa questo tema il suo verso è piano, colloquiale, dove tuttavia prende corpo una potente forza espressiva. Ciò è dovuto, appunto, proprio all’assenza del simbolico, sostituito dal metaforico. Così il passato, come nel caso del componimento “Metrò” (datata 1959), non è mai usato per un esclusivo raffronto nostalgico. La capacità di Patrikios, alla maniera di Szymborska, sta nel “potenziare” ogni attimo che passa, nella possibilità di distinguere ciò che rimane da ciò che ci attraversa. Molto sarà dimenticato, ci dice il poeta, escluso ciò che ci ha indirizzato (o costretto) a una predisposizione attiva nei confronti della vita. Non sono necessari grandi eventi per tali scopi. È l’istante votato all’eccellenza che conta, rintracciabile anche nel semplice ricordo di un viaggio in metrò. Mary Barbara Tolusso
Gli anni poi passeranno
masse di monti e pietra si frapporranno
tutto sarà dimenticato
come si dimentica il cibo quotidiano
che ci tiene in piedi.
Tutto, tranne quell’istante
in cui sul metrò affollato
ti aggrappasti al mio braccio.
Era naturale che quando a Siracusa gli Ateniesi subirono una disfatta a Pechino non ne arrivasse affatto la notizia. Come ai giorni nostri è naturale che il mio vicino non venga a sapere nulla dei disastri che succedono accanto a lui. Trovo parimenti naturale che in ritardo io prenda contezza di tutte le contrarietà che accadono in me. Malgrado i progressi della tecnologia, i milioni di abitanti di Pechino, gli innumerevoli miei vicini ed io stesso tardiamo ad apprendere le novità. Titos Patrikios (Atene, 1928), da La resistenza dei fatti (Crocetti, 2007)
I versi sono come i figli. Crescono nelle viscere con rumori segreti, soffrono dentro di te, si ammalano, poi inaspettatamente crescono, un giorno ti si rivoltano contro, contro di te che hai dato loro vita, finché poi se ne vanno per sempre e non sono più soltanto tuoi. Titos Patrikios (Atene, 1928), da La resistenza dei fatti (Crocetti, 2007)
Tra tutta questa morte che è venuta e viene,
guerre, esecuzioni, processi, morte e ancora morte
malattie, fame, fatalità fatali,
amici e nemici assassinati da sicari,
stroncature sistematiche e cronologi pronti,
la vita che vivo è quasi un dono.
Un dono della sorte, se non un furto della vita altrui,
perché la pallottola a cui scampai non andò a vuoto,
ma colpì l’altro corpo che si trovò al mio posto.
Così, come un dono immeritato, mi fu data la vita,
e tutto il tempo che mi resta
è come se mi fosse stato regalato dai morti
per narrare la loro storia.
(Atene, 1928),
da La resistenza dei fatti (Crocetti, 2007)
Ecco il più prezioso verso d’Omero di Chio: quale la tempra delle foglie, tale d’uomo. Molte orecchie l’hanno accolto, il verso, ma pochi cuori in petto umano. Scudiera a ogni uomo è la speranza, che si radica nei petti giovanili. Finché un uomo ha l’incantato fiore della fresca età, ha sangue caldo e lieve e, in mente, mondo d’irreali cose: non ha pensiero d’invecchiare, d’arrivare a morte. Finché c’è salute, il male non s’affaccia nei pensieri. Stupidi, con la mente inerte: e non sanno che poco è il tempo in fiore della vita per chi ha morte in sé. Tu no. Tu l’hai capito: al limitare della vita, tu sta’ saldo, sappi assaporare, nel profondo, i beni. fr. 29 D. Traduzione di Ezio Savino
Afrodite, trono adorno, immortale, figlia di Zeus, che le reti intessi, ti prego: l’animo non piegarmi, o signora, con tormenti e affanni. Vieni qui: come altre volte, udendo la mia voce di lontano, mi esaudisti; e lasciata la casa d’oro del padre venisti, aggiogato il carro. Belli e veloci passeri ti conducevano, intorno alla terra nera, con battito fitto di ali, dal cielo attraverso l’aere. E presto giunsero. Tu, beata, sorridevi nel tuo volto immortale e mi chiedevi del mio nuovo soffrire: perché di nuovo ti invocavo: cosa mai desideravo che avvenisse al mio animo folle. “Chi di nuovo devo persuadere a rispondere al tuo amore? Chi è ingiusto verso te, Saffo? Se ora fugge, presto ti inseguirà: se non accetta doni, te ne offrirà: se non ti ama, subito ti amerà pur se non vuole.” Vieni da me anche ora: liberami dagli affanni angosciosi: colma tutti i desideri dell’animo mio; e proprio tu sii la mia alleata.