Nessun dio

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

Nessun dio l’avrà voluto, e neanche saputo,
Nessuno l’ha accompagnato nella sua fatica,
Un sogno, questo bambino sul viale
Che cammina accanto a lui, cinto di luce.
Nessuno è morto nell’ora in cui è morto,
Ha preso la sua mano nel letto sfatto,
Nessuno avrà mai lavorato accanto a lui
Nell’officina che sostituì la vita.
Risale, nelle parole che dicono il mondo,
Il suo silenzio, che le nega, che mi chiede
D’immaginarne altre, ma non posso.
Nessuno ha posato lo sguardo su di lui.
Quel che avrebbe potuto essere non sarà.
La parola non salva, talvolta sogna.
Traduzione di Fabio Scotto

Una voce

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

Tutto ciò, amico mio,
Vivere, che annoda
Ieri, nostra illusione,
A domani, nostre ombre.
Tutto ciò, e che fu
Così nostro, ma
Non è che questo cavo delle mani
In cui acqua non resta.
Tutto ciò? E la più
Nostra felicità:
Il volo greve dell’upupa
Nel cavo delle pietre.

(Tours, 1923)

da Le assi curve (Mondadori, 2007)

La lunga catena dell’àncora (Ales Stenar) I

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

Dicono
Che barche appaiano nel cielo,
E che, da alcune,
La lunga catena dell’àncora possa scendere
Verso la nostra terra furtiva.
L’àncora cerca sulle nostre praterie, tra i nostri alberi,
Il luogo dove fissarsi,
Ma presto un desiderio di lassù la strappa,
La nave d’altrove non vuole saperne di qui,
Ha il suo orizzonte in un altro sogno.
Ma accade
Che l’àncora sia, si direbbe, più pesante del consueto,
E si trascini quasi a terra e urti gli alberi.
L’avrebbero vista impigliarsi al portale di una chiesa,
Sotto l’arco a tutto sesto che cancella la nostra speranza,
E qualcuno che da quell’altro mondo sia disceso,
Goffamente, lungo la catena tesa, dura,
Per liberare il suo cielo dalla nostra notte.
Ah, che angoscia quando armeggiò contro la volta,
Stringendo a piene mani il suo strano ferro,
Perché occorre
Che qualcosa inganni in noi la mente
In questa traversata che la parola
Tenta, senza saper nulla, verso la sua altra riva?

Traduzione di Fabio Scotto


L’Abito

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

Nevica. Che volevi tu, anima,
Di nascita eterna, che non abbia avuto?
Guarda, tu hai qui
Una veste di festa ancora per la morte.

Un abito come nell’adolescenza,
Di quelli che uno prende con cura in mano
Poiché la stoffa è trasparente e resta
Tra le dita che la svelano alla luce,
Si sa che è fragile come l’amore.

Ma foglie e corolle vi sono ricamate
E già la musica si intende
Nella stanza vicina, illuminata,
Un misterioso ardore ti prende la mano.

E vai, il cuore ansimante, nella grande nevicata.

Traduzione di Davide Bracaglia

La Bellezza

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

No, non è
Questo triste assenso che mi aspetto da voi.
Il bambino piange sul sentiero e lo dimentico.
Sono la bellezza
Solo perché stuzzico il vostro sogno?
No, ho in fondo a me degli occhi spalancati,
Io sono nascosta, spaventata, sono pronta
A scagliarmi in avanti, a graffiare,
O a fare la morta se sento
Che la mia causa è persa nei vostri sguardi.
Chiedetemi di essere più del mondo.
Patite che io non sia che questo corpo inerte,
Curatemi con i vostri auspici, con i vostri ricordi.
Traduzione di Fabio Scotto

De natura rerum

Yves Bonnefoy

Yves Bonnefoy

Lucrezio lo sapeva:
Apri il baule,
vedrai, è colmo di neve
che turbina
e a volte due fiocchi
s’incontrano, unendosi
oppure uno si volta, graziosamente
nella sua poca morte.
Di dove quel chiarore
in alcune parole
quando l’una non è che notte,
l’altra, solo sogno?
Di queste due ombre
che, ridendo, vanno
e l’una raggomitolata
in una lana rossa?

Il grande fausto

Voltaire

Voltaire

Io di te amavo le calze del colore del fumo.
E gli occhi che avevi di gatta sorniona,
e la voce che aveva frammenti di gelo e fiamme improvvise.
E si svenava nel gemito lungo di dopo l’amore.
Avevi quel modo di offrire il tuo corpo con slancio
e ritrarlo d’un tratto per eccitare e per ritrosia.
Non si capiva la tua convinzione d ‘essere frigida.
Tu eri donna assai saggia a dosare gli orgasmi,
volevi che fossero tuoi.
Tu odiavi che io ti chiedessi se avevi goduto,
volevi saperlo tu sola.
È stato sempre un segreto non dettoil nostro piacere.
Per questo io di te avevo una soggezione
che era anche devozione, ripulsa.
Dio mio come è stato difficile amarti,
e come è difficile adesso
amare le donne che sanno donarsi
con le sole riserve che hanno…
Le donne che si sentono donne da uomo.

L’uomo e la donna

Victor Hugo

Victor Hugo

L’uomo è la più elevata delle creature.
La donna è il più sublime degli ideali.
Dio fece per l’uomo un trono, per la donna un altare.
Il trono esalta, l’altare santifica.
L’uomo è il cervello. La donna il cuore.
Il cervello fabbrica luce, il cuore produce amore.
La luce feconda, l’amore resuscita.
L’uomo è forte per la ragione.
La donna è invincibile per le lacrime.
La ragione convince, le lacrime commuovono.
L’uomo è capace di tutti gli eroismi.
La donna di tutti i martìri.
L’eroismo nobilita, il martirio sublima.
L’uomo ha la supremazia.
La donna la preferenza.
La supremazia significa forza;
la preferenza rappresenta il diritto.
L’uomo è un genio. La donna un angelo.
Il genio è incommensurabile;
l’angelo indefinibile.
L’aspirazione dell’uomo è la gloria suprema.
L’aspirazione della donna è la virtù estrema.
La gloria rende tutto grande; la virtù rende tutto divino.
L’uomo è un codice. La donna un vangelo.
Il codice corregge, il vangelo perfeziona.
L’uomo pensa. La donna sogna.
Pensare è avere il cranio di una larva;
sognare è avere sulla fronte un’aureola.
L’uomo è un oceano. La donna un lago.
L’oceano ha la perla che adorna;
il lago la poesia che abbaglia.
L’uomo è l’aquila che vola.
La donna è l’usignolo che canta.
Volare è dominare lo spazio;
cantare è conquistare l’Anima.
L’uomo è un tempio. La donna il sacrario.
Dinanzi al tempio ci scopriamo;
davanti al sacrario ci inginocchiamo. Infine:
l’uomo si trova dove termina la terra,
la donna dove comincia il cielo.

Chiaro di luna

Victor Hugo

Victor Hugo

Per amica silentia lunae.
Virgilio
La luna era serena e giocava sull’acqua.
Libera infine e aperta la finestra alla brezza,
e la sultana osserva: il mare che si frange
laggiù e gli scogli neri ricamati d’argento.
La chitarra vibrando le scivola di mano,
ascolta l’eco sorda d’un opaco rumore:
forse un vascello turco, coi suoi tartari remi
dalle spiagge di Kos si muove ai lidi greci?
O sono i cormorani coi loro tuffi lenti
e con le ali imperlate dall’acqua appena mossa?
O di un ginn lassù soffia la smorta voce
e pietre dalla torre fa cadere nel mare?
Chi vicino al serraglio osa turbare l’acqua?
Né il cormorano nero dall’onda carezzato;
né pietre delle mura, nè il suono cadenzato
di un vascello che arranca sull’acqua con i remi.
Sono sacchi pesanti da cui viene un lamento.
Si vedrebbe scrutando l’acqua che li sospinge
come una forma umana tentare un movimento…
La luna era serena e giocava sull’acqua.