Se penso a te, perdo il piacere delle buone abitudini, rinnego le frasi affettate che tra di loro incrociano uomini e donne alla soglia della conquista, mi stanco d’aspettare il tuo arrivo, mi disturbano le cautele e voglio intensamente, e presto, la trasgressione.
Volteggiando intorno al tuo collo, mordicchiando la base dei capelli, leccando il tuo mento, sorbendo, intermittente, quelle labbra pseudoschive, depositando baci sulle spalle, abbattendo col mio corpo il tuo sono più libera; e tu, propiziando che ti scali, che ti monti, che rida felice mentre mi stendo tutta su di te e mi diverto, sei più brillante nella tua bellezza. Accettandomi così, lontana dal decoro nel mio saltello, mi riscopri e ti diletti. Ovviamente, tu, ora più saggio.
So che contravvengo quando ti percorro, il mio tatto sincero, la bocca inondata, tutto il mio essere nei sensi. Nave di vela ardente su di te, tu, mio porto assetato, vorrei io, di chiarezza.
Rassegnati, non sarò mai donna convenzionale nel nostro letto.
Quando mi mancano le tue mani ai miei fianchi, quella risata piena e vibrante, il tuo impeto di ragazzo innamorato, quel fascino per la luna degli zingari letterari e i nostri giochi segreti con nomi propizi, le nostre lettere d’amore, i messaggi sotto la porta e la tiepidezza dei tuoi richiami… mi consolo pensando che fu un delizioso miraggio, una fantasticheria in liquore di miele, un grappolo di delizie mescolate a saltelli e sorrisi di acrobati innocenti.
Se un giorno qualsiasi arriverò a vederti, estraneo e insensibile, come se non avessimo mai goduto il nostro incontro, sarà di sicuro in un incubo crudele.
Vado sempre pensando che mi diluirei anziché lasciarti. Così goffa è la mia pazzia e più ancora la speranza che tu cambierai. Per questo rimango, ostinata, benché giorno dopo giorno ti guardo come sempre, deambulando verso il tuo sovrano gusto in rotte erratiche, soltanto con la tua stessa presenza in differita. Se resto qui è per puro vizio di aspettare miracoli.
Un mondo per uomini e donne, a mani unite, senza profeti. E tra di noi, benvenuti gli uomini disposti a un comune abbraccio, capace di avvolgere con autentica tenerezza la Terra.
Vengo a cercarti, fratello, perché porto la poesia,
che è come portare il mondo sulle spalle.
Sono come un cane che ruggisce solo, latra
alle belve dell’odio e dell’angustia,
manda all’aria la vita nella metà della notte.
Porto sogni, tristezza, allegria, mansuetudini,
democrazie rotte come anfore,
religioni ammuffite fino all’anima,
ribellioni in germe che gettano lingue di fumo,
alberi che non hanno
sufficienti resine amorose.
Siamo senza amore, fratello mio,
ed è come essere ciechi in metà della terra.
Porto morti per impaurire tutti
coloro che giocano con le morti.
Vite per rallegrare i mansueti e i teneri,
speranze e uve per i dolenti.
Ma prima di tutto porto
un violento desiderio di abbracciare,
assordante e infinito
come una tormenta oceanica.
Voglio fare con le braccia
un solo lungo braccio
che circondi la terra.
E desidero che tutto, che la vita sia nostra
come l’acqua e il vento.
Che nessuno abbia altra patria che il vicino.
Che nessuno dica più la terra mia, la barca mia,
bensì la terra nostra, di Noi Uomini.
Tu arrivasti alla mia anima quando era dimenticata:
le porte divelte, le sedie nel canale,
le tende cadute, il letto sradicato,
la tristezza curata come un vaso di fiori.
Con le tue piccole mani di donna laboriosa
ponesti tutte le cose in fila:
lo sguardo al suo posto, al suo posto la rosa,
al suo posto la vita, al suo posto la stuoia.
Lavasti le pareti con uno straccio bagnato
nella tua chiara allegria, nella tua fresca dolcezza,
collocasti la radio nel luogo appropriato
e pulisti la stanza di sangue e spazzatura.
Ordinasti tutti i libri dispersi
e stendesti il letto nel tuo enorme sguardo,
accendesti le povere lampade spente
e lucidasti i pavimenti di legno consumato.
Fosti d’un tratto enorme, ampia, potente, forte:
sudasti grandi fatiche lavando arnesi vecchi.
Apprendesti che nella mia anima d’avanzo era la morte
e la tirasti all’orto con pezzi di specchio.
Traduzione a cura di Tomaso Pieragnolo
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