Una vita dolce, un dolce cammino, senza problemi. Vedere, incontrare volti sorridenti
Evitare cose che portano problemi Non una vigliacca ma augurandomi il meglio andare insieme alla corrente galleggiando e a volte andare contro corrente.
La mia vita sta galleggiando liberamente nel nulla
Non mi piace cercare gli ostacoli Stendo le mie mani per raggiungere soltanto ciò che posso ottenere e toccarlo forte Guarda, o vieni con me che galleggio Non voglio annegare
Africa, Africa mia Africa fiera di guerrieri nelle ancestrali savane Africa che la mia ava canta In riva al fiume lontano Mai t’ho veduta Ma del sangue tuo colmo ho lo sguardo Il tuo bel sangue nero sui campi versato Sangue del tuo sudore Sudore del tuo lavoro Lavoro di schiavi Schiavitù dei tuoi figli Africa dimmi Africa Sei dunque tu quel dorso che si piega E si prostra al peso dell’umiltà Dorso tremante striato di rosso Che acconsente alla frusta sulle vie del Sud Allora mi rispose grave una voce Figlio impetuoso il forte giovane albero Quell’albero laggiù Splendidamente solo fra i bianchi fiori appassiti E l’Africa l’Africa tua che di nuovo germoglia Pazientemente ostinatamente E i cui frutti a poco a poco acquistano L’amaro sapore della libertà.
I Risa di sole nella mia capanna E le mie donne belle e flessuose Eran palme alla brezza della sera Scivolavano i figli sul gran fiume Come morte profondo E le mie piroghe lottavano coi coccodrilli Materna, la luna s’univa alle danze Frenetico e grave del tam-tam il ritmo Tam-Tam di gioia Tam-Tam spensierato Fra i fuochi di libertà II Poi un giorno, il silenzio… Del sole i raggi parvero oscurarsi Nella capanna d’ogni senso vuota Le bocche rosse delle mie donne premevano Le labbra dure e sottili dei conquistatori dagli occhi d’acciaio E i figli miei lasciarono la quieta nudità Per l’uniforme di ferro e di sangue E più non ci siete, neppur voi Tam-Tam delle mie notti, Tam-Tam dei miei padri Le catene della schiavità han straziato il mio cuore!
Non parliamo più. Non danziamo più. Non gridiamo più. Perché non siamo liberi. Perché non siamo più liberi in casa nostra. O Africa d’un tempo!
O Africa domata! O Africa, Africa nostra. Tam- Tam, Tam- Tam- Tu senza sosta, per sempre.
Africa, paese delle tristezze! Africa, paese senza danze, senza canzoni! Africa, paese di pianti e lamenti…
Tam- Tam, Tam- Tam- Tu Senza sosta, suonati per sempre , per rianimare tutta l’Africa. Per risvegliare quest’Africa addormentata, fino alla creazione d’un’Africa Nuova, ma sempre Nera.
Ha camminato sino alla nascita attraverso le savane le praterie in fiore la foresta selvaggia e folta le liane e le spine che s’intrecciavano all’eternità
Ti ho portato per nove mesi durante i quali il tuo corpo era il mio corpo il mio calore ti covava lontano dal freddo della notte la mia freschezza ti ricopriva da vicino lontano dalla canicola Ho visto il sole dal suo grido celeste è uscito il raggio della mia vita inondando questo mondo di quella coltre che ti è servita da specchio Ti ho guardato mi sono riconosciuta vai, corri, vola ed abbraccia l’universo infinito e minuscolo con le due mani bevi alla fonte la vita ti guarda t’interroga ti aspetta vai, corri, vola e mordi nell’abbondanza Allontana le liane e le spine schiaccia la vipera ed il pitone sputa fuoco sul drago e percorri il tuo cammino attraverso le fiamme scatenate perché esse mai ti toccheranno.
Attraversa il fiume dei coccodrilli nuota sul dorso del caimano prosegui la tua marcia verso la riva e ti ho portato per nove mesi per darti la vita Il leone ruggisce nella selva la pantera si aggira ondeggiando nella sua ronda minaccia e spicca il salto dall’alto del suo trono i maestri della giungla danzano il loro macabro balletto.
Non ti ho portato per nove mesi perché un giorno tu servissi loro da esca
Angola Ti abbiamo liberato Matlala Svegliati Mozambico Ti abbiamo liberato
Matlala Svegliati Zimbabwe Ti abbiamo liberato Matlala Svegliati Namibia Circonderemo il mostro Con passo sicuro I soldati combattono l’ultima battaglia Matlala Ascolta dunque Il mostro agonizzante che esala gli ultimi respiri Dalle città e dai villaggi Dalle bidonville e dalla macchia Le tue sorelle, i tuoi fratelli Raggiungono le fila Matlala Ascolta l’eco dei passi L’assalto lo prepariamo Contro Il loro fortino I mostri di tutti i continenti Accorrono Fratello mio, fratello mio Perché non mi rispondi Fratello mio, fratello mio Non senti la voce La voce delle foglie Sugli alberi
Ho attinto dell’acqua dal fiume L’acqua che ti accompagnerà Ho alimentato le fiamme Le fiamme che ti guideranno Fratello mio, fratello mio Perché non mi rispondi?
L’assalto finale si avvicina di ora in ora Unisciti a noi, Matlala Perché gli Dei Distruggano Ciò che resta del mostro Perché l’inferno Consumi Il marciume fascista Unisciti a noi Matlala Perché una brezza Soffi e spazzi via La nausea del mondo.
Svegliati Matlala Svegliati E guarda O guarda Il sole che abbaglia I fili della libertà All’alba della vita
Figlio mio, ogni giorno rileggo le lettere che scrivi, ma da due anni ormai non odo la tua voce, e l’ultimo ricordo che ho delle tue mani fu quando mi stringesti e mi dicesti: «Addio».
«Ragazzo mio», ti dissi, «perché vuoi abbandonare così la famiglia, la tua gente, la tua terra? Sempre da tua madre hai trovato un riparo, un piatto di fonio un letto se eri stanco.
Con Oko’o ballavi alla festa del villaggio, i suoi sguardi e il suo sorriso non eran che per te. Vedi i tuoi fratellini, tu sei la loro guida».
Mi rispondesti: «Mamma, qui per me non c’è futuro, l’avvenire è in Occidente, là è possibile avanzare: andrò a Roma, terra di storia e civiltà: i cristiani accoglieranno i fratelli africani.
Studierò duramente, troverò un buon lavoro e a te e ai miei fratelli non mancherà più nulla. Figlio mio, quel che ci manca è solo il tuo sorriso, il tuo passo gioioso quando andavi nei campi, le tue storie e i tuoi canti la sera attorno al fuoco. E quando in quel paese di storia e civiltà avrai finito i tuoi studi, trovato il tuo lavoro, ricordati di noi, e torna alla tua terra d’Africa.
Madre mia.
Non posso più mentirti, il mio rimpianto è grande, nel mio pensiero tornano sempre le tue parole, e il ricordo del paese e della nostra gente lascia spesso il mio cuore malato di nostalgia.
Questa terra promessa, questa terra sognata, agognata, e che tanti sogneranno ancora si è mostrata ingrata coi suoi fratelli stranieri ed il suo freddo penetra nel corpo e nell’anima.
Passo le mie giornate – ed è un dolore dirlo a te, madre mia cara – solitario, vagando per strada, senza meta, senza un posto dove stare, fra la gente che guarda, diffidente o incuriosita.
Noi siamo gli stranieri, noi siamo i vagabondi, senza casa, lavoro, senza una famiglia, senza le carte in regola, senza nessun diritto, nemmeno quello di non essere uccisi impunemente.
Come vorrei tornare nella mia terra avita, ballare con Oko’o alla festa del villaggio, giocare coi miei fratelli, raccontare loro storie, e cantare la sera attorno al focolare.
Ma ho vergogna ora a mendicare un passaggio e tornare alla mia gente sconfitto ed avvilito. Madre, perdonami, preferisco restare dove nessuno mi conosce, in questa fredda terra d’Europa.
Dall’ alba dei tempi Ho camminato a fatica nel fango Ho dormito nel fango Irrorato col mio sangue una terra ingrata Ho faticato . Sotto il sole e la pioggia per costruire un mondo Un mondo che mi esilia.
Ho camminato sulle ginocchia Lungo sentieri rocciosi Al ritmo mortale Delle pedate Al ritmo sanguinante della frusta la testa sempre chinata E gli occhi pudichi di vergini Umiliati Violati
La statura di un nero in piedi Quale sfida insensata Alla razza degli dei Ho camminato sulle ginocchia Al secolare ritmo Della frusta e dell’insulto Quante dure lotte dovute All’odio miope Dei miei padroni
Seduto sul letame del mondo, Non sono più un uomo Non sono che un paria Straniero sulla terra, la mia terra E la memoria vacilla Sotto tutte le parole Terribili Orribili Sconce Che inaridiscono l’Uomo Ed insultano la mia razza
Ho camminato sulle ginocchia Alla caviglia pesanti catene al collo la gogna secolare dell’odio e questa gogna storica Ha trovato Scavata, disperatamente sfinita La mia voce d’usignolo La carta del mondo porta Indelebile il segno della mia sofferenza di Nero domani, sì domani In una leggendaria sfida Al processo della Storia Elencherò La lunga, Minuziosa Esauriente La lunga catena delle sofferenze Di questa razza, la mia razza La mia razza promessa agli avvoltoi Facile preda dei frantumatori d’uomini.
Ma nel fondo della mia prigione Dal fondo della mia geenna L’anima mia è Dritta e immobile Senza cedere davanti al genocidio Dritta e pronta All’appuntamento Con la fratellanza Sugli aridi sentieri della dura LIBERTA’ . Dal fondo della mia prigione Allungo la mano per costruire un mondo Solidale Un mondo che dica ciò che è essenziale Un mondo che porti agli uomini Un mondo che esprima l’Uomo.
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