Verso le Barbarie

Stefan Tzanev

Stefan Tzanev

 

Avanziamo verso le barbarie
con passi veloci.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Tramite l’illuminazione degli occhi
volano gli anni indietro – come lucciole,
sempre più indietro,
sempre più indietro…
Affondano nel futuro, da dove scappiamo.
(Oh, Dio mio, ci fermeremo mai?)
Avanziamo verso le barbarie con passi veloci.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Sono seppelliti nei nostri cuori
coperti di mala erba
tutte le formule vecchi
di fratellanza e umanità.
L’unico scopo rimanere vivi.
In qualche modo.
È l’unica preoccupazione che abbiamo:
togliere la camicia del prossimo.
Per trenta denari
siamo pronti
a scannare il nostro fratello.
Avanziamo con passi veloci
verso le barbarie.
Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.
Sulla nostra fronte
crescono i peli.
Il cervello inutile
si rimpicciolisce
fino alla misura prammatica
di una noce.
La nostra articolazione
è stata cambiata
dal battito dei denti.
È divino solo quello che si mangia.
Abbiamo trasformato in osterie e drogherie
tutte le librerie
tutti i teatri.
L’arte é spazzatura arcaica,
gettata legalmente nel letamaio.
(Sempre più in dentro,
sempre più profondo nella caverna.)
La poesia é un pavone utile
dentro la pentola.
Nelle sale deserte
i ragni suonano Mozart
sulle loro tenere arpe.
I venditori hanno scacciato Gesù
dal Tempio.
Avanziamo,
avanziamo verso le barbarie
con passi veloci.
Ma vorrei credere – magari selvaggi,
pelosi, rudi, inferociti, imbestialiti, abbrutiti
arrivati nel fondo della caverna,
quando non esisterà più indietro,
e non c’è il più profondo
e quando abbiamo rosicchiato fino alla fine
l’osso crudo delle eventi,
noi stessi rosicchiati degli insetti operosi
oh, credo, che l’oscurità del vicolo cieco
in questo vicolo cieco della vacuità
ululeremo
(come i lupi ululano nella notte d’inverno,
contro l’inutile luna),
selvaggiamente
ululeremo:
“Vogliamo Musica e Poesia”.
E con testa china partiremo
per la strada vecchia
e cammineremo a lungo
verso l’Uomo Sapiens.

Vela

Dora Gabe

Dora Gabe

 

… la cacciò la fame.
Oggi è il terzo giorno
che non tocca cibo.
La pioggia era cessata;
splendevan gli abeti al sole
e le rocce e i sentieri,
come lavati dallo scroscio.
Uscì, si guardò intorno.
S’avviò verso la fonte, ma scorse
una traccia. Un uomo
era passato accanto alla sorgente,
era andato di là.
La scosse un brivido di gelo.
Doveva fuggire: dove?
In su, la neve aveva
coperto e spianato tutto;
giù vegliava il nemico.
Strinse nella mano la pistola
e s’avviò. Dove? Non sapeva.
Così tentava. Poteva
incontrare un compagno,
un amico, un parente, forse.
E s’avviò inseguita dalla fame.
E marciando scorse su un colle
un gregge: no, i pastori
non l’avrebbero tradita.
Affrettò il passo e corse;
ma quattro cani da pastore
le s’avventarono incontro, sì feroci
ch’essa riuscì appena,
tremante e spaurita
a strappar dalle fauci la gonna
e a riprender la fuga.
E correndo, incontrò due bimbi
venuti nel bosco a cercar legna.
La riconobbero subito,
e s’arrestarono, come intimiditi.
Ma dopo un istante
corsero incontro a lei:
— O Vela, zia Vela,
nasconditi; la polizia
ti dà la caccia! Prendi
questo pane e scappa!
Le fu caro quell’incontro;
da tanto non vedeva più
una creatura umana. Li fissò
a fondo, negli occhi; e sorrisero
i bimbi. Fu come un bagno
per il suo cuore. Si congedò.
« Voi non direte nulla nevvero?
Non avete paura? » « O, no! »
E tacquero davvero.
Ma un altro non tacque:
la guardia forestale. La scorse
nel bosco, tornando. L’era parente,
un brav’uomo, così lo conoscevano,
non poteva tradire! Da lontano
egli la vide e la seguì
per sette giorni.
Da quel momento
non chiuse occhio per intere notti.
Ma non osava confidarsi a nessuno;
lottava entro di se, finché una volta
si confidò al suo compagno;
e insieme decisero la sorte
dell’indifesa fanciulla…
Li vinsero centomila leva…
Quando mai videro
queste montane vette
una tale fila di soldati?
Giù ai piedi del colle compare,
sale strisciando e scende
attraverso la strada
e si allunga come un arco
abbracciando i due versanti
delle montagne,
e striscia in su, verso il nemico.
Il nemico?
E’ un uccello addormentato nel nido.
Perché temete tanto?…
Entra la testa della serpe
su, nella pineta,
e la coda ancora si torce
laggiù in basso. O Arapcal,
incoronato dal fulgor del sole,
le sue vette son d’oro,
risplendono le rocce.
Perché taci? Non avvamperà
qui la battaglia
fra i soldati e la fanciulla?
Tra il drago e la samodiva?
Un canto canterà la partigiana,
Vela; un canto di popolo.
E il nostro giorno turbinoso
lo tramanderà
al secolo avvenire:
e sotto sarà inciso
con lettere di fuoco,
L’UOMO…..

Un carattere difficile

MIRIANA BASHEVA

 

Come una pietra al collo,
come il segno di un coltello,
come un velo nero,
un soldo di rame antico,
io ti porto sempre addosso,
non importa se mi pesi
dalla testa ai piedi,
non importa se soffro!
Come il segno di una magia,
pozione per la mia febbre,
come la forte rakia,
un dado bianco, già gettato –
con il freddo, con il fuoco – tutta la vita –
ti giuro o ti benedico,
buongiorno e addio,
amor morboso mio.

Tutto è amore

Blaga Dimitrova

Blaga Dimitrova

 

Non aver fretta! – mi sussurrava una segreta voce. –
Non è matura l’ora dell’amore! –
Ed io, incorreggibile disubbidiente,
Soltanto a lei, Dio, ho dato ascolto –
né io stessa so il perché.
Non aver fretta! – E i grappoli tintinnano –
le campane di pioggia e di bronzo solare,
e nelle botti il vino sogna la tempesta,
si inaridiscono e si screpolano le labbra,
salate da una goccia di sangue.
Mistero d’amore, io non ti ho riconosciuto
nello sbocciare istantaneo della primavera.
Come è tangibile ciò che non sfioriamo,
come il calice non bevuto inebria,
come tutto è amore!

Tuo ultimo Maggio

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

 

Volevi farmi sentire
il profumo dei tigli di Parma.
Volevi forse farmici tornare
per non scordarti mai.
Volevi farmi camminare
e assaporare forse le stradine
col ricordo del vestito da sposa
uscito del vicoletto discreto
per festeggiare i nostri 30 anni.
Con il groppo stretto alla gola…
Ci voleva un soffio solo di tempo
per farci trovare qui insieme
in questa festa del cuore.
Ma non c’e stato quel soffio di vita ancora…
Ed eccomi qui da sola
con l’ultimo desiderio
di ricordarmi qui stretta a te da una vita…
Addio, mio Nik.
Arrivederci!

Sorgente Balcanica

 PETKO RACHEV SLAVEJKOV

PETKO RACHEV SLAVEJKOV

 

Vedi là giù nel campo,
dove intravvedesi, dove nereggia
una decina d’alberi, di salici?
Era là giù un villaggio,
c’era Bisercia un tempo, or son molt’anni;
là venne al mondo, visse là Gergana
cara alla mamma.

Gergana un uccellin multicolore,
Gergana mansueta pecorella,
tra le fanciulle
era come una gemma fra perline;
e fu il suo primo amor Nikola un bruno
agnellino del gregge
fra i giovani più belli del villaggio!

E Gergana e Nikola
eran così tra loro somiglianti
come steli di primola;
eran giovani teneri,
l’un per l’altra eran nati,
eran l’esempio d’un fedele amore.

Amava lui Gergana,
l’amava e corteggiava:
mattina e sera alla sorgente, al ballo
in ciascuna domenica, al lavoro
in ciascuna occasione
ed ogni notte nei convegni usati
dei contadini.

Avvenne a mezzanotte.
Scioglievansi i convegni
dei contadini e accompagnò Nikola
la cara sua Gergana alla sua casa;
e di fiori le chiese il mazzolino.
Sotto voce risposegli Gergana:
“È troppo tardi, amor, pel mazzolino:
tramontata è la luna,
ma non ancora i galli hanno cantato.
Misteriosa è l’ora,
maliziosa, infida mezzanotte:
brillan le stelle sopra noi, volteggiano
sopra di noi le streghe.
E spiriti folletti, draghi alati,
notturne samodive ci vedranno;
ci vedranno, amor mio, ci invidieranno;
il mazzolino per amor si dà
sol quando spunta l’alba,
all’alba il mazzolino è rubicondo;
pronto sarà per te domani. Lèvati
presto domani per andare al campo,
alla sorgente aspettami,
abbeverando i bufali;
io verrò con le bianche
brocche ad attinger l’acqua fresca e pura,
e un mazzolin di fiori ti darò,
dalla mia fronte alla tua, rimanga
a te per mio ricordo…”

Nera una sorte i miseri attendeva:
ascoltati li aveva nella notte
una nera megera;
ascoltati li aveva e invidiati;
gettò loro il malocchio,
e decise di perderli.

Di buon mattino
s’alzò Gergana, si lavò, dinanzi
all’icona fe’ il segno della croce.
Il Signore pregò sommessamente.
Un rugiadoso mazzolino colto,
la fronte ne adornò. Prese la brocca,
la sollevò sull’omero
ed alla fonte si recò. Nikola
non vi trovò; ma trovò bianche tende:
era un visir di notte tempo giunto,
con le sue truppe aveva posto il campo.

Gergana attinse l’acqua,
i bianchi piedi si lavò, il visir
era assiso davanti alla sua tenda.
Guardò Gergana, attonito restò,
attonito restò che nel villaggio
una tale beltà trovar si possa.
La guardò, l’osservò, da bramosia
fu colto in cuore ed a chiamarla tosto
mandò i suoi servi.

Il visir le parlò così: “Fanciulla,
o giovinetta bulgara, perché
così di buon mattino sei venuta
a prendere acqua fresca alla sorgente?”

“Agà, sono venuta così presto
per l’acqua fresca e limpida, perché
voglio più presto far ritorno. Il babbo,
il mio vecchietto, é frettoloso
che al campo ci rechiamo”.

“Vai tu, giovin fanciulla,
tu pure al campo vai per abbruciarti
di neve il viso e le tenere mani
a logorare?
Non per questo sei nata tu: sei nata,
sei destinata ad essere odalisca,
bianca odalisca errar per le terrazze…
Or dunque, bianca Bulgara,
or dunque vieni, vien con me a Stambùl,
anzi che tu per altri t’affatichi,
altri per te d’affaticarsi intendano!”

“Io bene, agà, mi trovo qui coi miei vecchi,
col babbo e con la mamma; peso
non mi dàn le faccende.
Io da quando son nata
son cresciuta così, sempre, ho vissuto
or sui prati, fra vigne, del mio vecchio
babbo in aiuto, or alle cure intenta
in un perenne alterno affaccendarmi
con la mia mamma cara”.

[…]

“Giovin fanciulla stolta!
Nulla tu ancor non sai;
credi a me, dammi ascolto e troverai
la fortuna: sarai
una bianca odalisca e porterai
oro e seta, starai
in aremi splendenti, infilerai
gialle monete d’oro con minute
perline mescolate!”

“È bello tutto questo, é bello, agà:
che tu sia benedetto!
Ma io non son che un’umile
semplice contadina:
non mi son cari arèmi né vestiti
di seta; le monete gialle d’oro
io non le voglio, né minute perle.
Quello che ho mi basta:
di finte perle una collana e questa
mia trecciolina.
E finalmente, arti, vuoi tu saperlo?
Se non lo sai, sappilo dunque: ho fatto
un giuramento, e a quello che ho giurato
sono fedele; il primo amore mio,
è Nikola e Nikola sarà mio… “

“O stolida, insensata!
che cos’è mai il tuo damo
di fronte a me, di fronte al poter mio?!”

“Di fronte a te Nikola non è nulla;
ma per me, sappi, è tutto: l’amo, agà,
amo lui solo…”

“Tu l’ami, ami lui solo”
disse irato il visir “ma tu non hai
un tuo volere. Il mio
sopra il tuo vale, io sono il tuo signore,
il tuo padrone io sono…”

E Gergana rispose:
“Sei per la vita il mio signore, agà,
ma non sull’amor mio!
Senz’amore padrone diverrai
d’un gelido cuor morto…”

Fu stupito il visir, della fanciulla
la fedeltà amorosa lo colpì:
e Gergana lasciò libera e doni
le diede a profusione
Poi comandò che fosse per ricordo
in fontana mutata la sorgente.

***

E la fontana fu costrutta; tosto
si sparse pel villaggio la notizia
che l’ombra di Gergana
v’era stata murata dagli artieri.
Era vero, così fu. La fanciulla
Gergana s’appassì come una foglia
ricoperta di brina,
si ammalò, si consunse come un giovane
basilico senz’acqua.

Si consunse Gergana a poco a poco,
in piedi, per tre mesi;
poi giacque in letto.
Affannoso Nikola a lei veniva
portando streghe e maghi;
con erbe varie fu curata: nulla
le recò giovamento.
Non giunse un anno al termine che l’anima
rese al Signore…
Tutto il villaggio la compianse e tutti
s’adunarono, ognuno un cero accese…
Le fanciulle intrecciaron le ghirlande,
i garzoni le fecero la bara…
Quando di casa la portaron via
l’un con l’altro alternandosi, all’oscuro
sepolcro la portarono,
portarono e lasciarono…

Nikola fido amante
di buon mattino il martedì alla tomba
andò e d’incenso bianco la cosparse,
di rosso vino l’annaffiò, vi accese
una candela…
Dalla tomba tornò, ma non a casa;
d’allora fino ad oggi
non s’è visto mai più…
Solo sonar profondamente s’ode
il piffero suo cupo e mestamente
echeggiar quando appare alla fontana
Gergana assisa ed a filare intenta
là, presso la fontana,
al chiarore lunare.

Silenzio

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

 

Mi sono abituata al silenzio.
Non ci faccio più caso.
Di rado lo rammento …
Solo un’ombra di ricordo,
quel silenzio assordante in testa
dopo che te ne sei andato …

Ho imparato a conviverci,
a sorridergli pure.
E’ diventato amico …
Ho cercato forse di rimpiazzarti.
Chi sa? …

Il silenzio, quel mio nuovo amico,
veniva solo a rinfrescarmi la memoria
in caso avessi rimosso –
che niente più è come prima,
che niente torna come era,
che noi pure siamo altri,
che facciamo bel viso
a quel cattivo giuoco
della nostra vita …

Ed il silenzio, l’amico mio nuovo,
mi porta sempre per mano
con tenacia e costanza,
perché ci devo pur arrivare
a ridergli d’avanti sfacciata
a quella carogna di vita
che ci volle stesi e boccheggianti …

Si, proprio cosi, devo,
perché proprio glielo devo io
alla mia vita …
E, guarda , che lo faccio!

Sera

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

ANNA MARIA PETROVA-GHIUSELEV

 

La sera. Che diavolo!
È sempre la solita! Per me…
È il cerchio chiuso…
Il cerchio aperto la mattina!
La mattina, che amo tanto perchè è speranza.
Il cerchio chiuso la sera!
La sera che odio, sfido, combatto.
La sera che non è dalla mia parte.
Odio ricambiato! Tremante! Ansioso!
Ahimè! Bisogna soffrire! Tutta una vita?
Avrò sbagliato quest’ ultima?!

Scelta

Stefan Tzanev

Stefan Tzanev

 

Lo so, mi giudicherai male
che non riesco rallegrarmi
in questi giorni euforici.
Come diceva un critico
(può essere vero)
che dal mio laboratorio poetico
dal bianco spunta il nero.
Perdona
Prosti
Mi rallegra la libertà.
Ma ho la strana sensazione e paura
di una nuova ricaduta.
Perciò preferisco essere corvo,
che canta a nozze,
che usignolo a funerale.