Elegia per un tucano morto

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Il sacrificio dell’ala spezza il volo
nel verde della foresta. Cittadino
sarai e mutilato
caricatura di tucano
per la curiosità dei bambini
e l’indifferenza degli adulti.
Soffrirai l’aggressione di uccelli volgari
e morto te ne starai
a terra tra formiche e stracci.

Io ti celebro invano
come in una festa colorita ma troncata
progetto di natura interrotto
nell’azzardo di viaggi e d’avventure
dall’Amazzonia all’asfalto
d’una fiera degli animali.
Io ti registro, semplicemente
sul quaderno di frustrazioni di questo mondo
poiché per questo sei venuto:
per l’inutilità di nascere.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Unita’

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Le piante soffrono
come noi soffriamo.
E perché no, se questa è la chiave
dell’unità del mondo?

Il fiore soffre, toccato
da mano incosciente.
C’è un lamento soffocato
nella sua docilità.

La pietra è sofferenza
paralitica, eterna.

Non abbiamo noi, animali,
nemmeno il privilegio di soffrire.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

L’ora della stanchezza

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Le cose che amiamo
le persone che amiamo
sono eterne, fino
a un certo punto
– durano l’infinito variabile
nel limite del nostro potere
di respirare l’eternità

Pensarle è pensare che non hanno fine
e dar loro una cornice di granito.
D’altra materia si fanno, assoluta
dentro un’altra (più grande) realtà

Iniziano a dissolversi quando ci stanchiamo
e tutti ci stanchiamo, per un altro itinerario
di aspirare la resina dell’eterno

Non pretendiamo più che siano imperiture,
ogni essere e cosa restituiamo alla
condizione precaria, ribassiamo l’amore
allo stato di utilità

Del sogno eterno rimane un gusto ocra
nella bocca o nella mente, non lo so

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Passaggio dell’anno

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

L’ultimo giorno dell’anno
non è l’ultimo giorno del tempo.
Altri giorni verranno
e nuove cosce e ventri ti comunicheranno il calore della vita.
Bacerai bocche, strapperai carte
farai viaggi e tante feste
di compleanno, laurea, promozione, gloria, dolce morte
con corale e sinfonia
che il tempo ne sarà stracolmo e non sentirai il clamore
le grida irreparabili
del lupo, nella solitudine

L’ultimo giorno del tempo
non è l’ultimo giorno di tutto.
Rimane sempre una frangia di vita
dove si siedono due uomini.
Un uomo e il suo contrario
una donna ed il suo piede
un corpo e la sua memoria
un occhio e il suo bagliore
una voce e la sua eco
e chissà se anche Dio…

Ricevi con semplicità questo regalo del caso.
Hai meritato di vivere un anno ancora.
Vorresti vivere per sempre e seccare il fondo dei secoli.
Tuo padre è morto, tuo nonno anche.
Dentro te molto è già spirato, altro spia la morte
ma sei vivo. Ancora una volta sei vivo
e col bicchiere in mano
aspetti l’albeggiare

La scusa di ubriacarsi
la scusa del ballo e del grido
la scusa della palla colorata
la scusa di kant e della poesia
tutto questo… e niente risolve

Sorge l’alba d’un nuovo anno.
Le cose sono pulite, ordinate.
Il corpo logoro si rinnova in schiuma.
Tutti i sensi allerta funzionano.
La bocca sta mangiando vita.
La bocca è ostruita di vita.
La vita scorre dalla bocca
imbratta le mani, il marciapiedi.
La vita è grassa, oleosa, mortale, surrettizia

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Il nostro tempo

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Questo è tempo di partito
tempo di uomini divisi.

Invano percorriamo volumi
viaggiamo e ci coloriamo.
L’ora presagita si sgretola in polvere per la via.
Gli uomini chiedono carne. Fuoco. Scarpe.
Le leggi non bastano. I gigli non nascono
dalla legge. Il mio nome è tumulto, e si scrive nella pietra.

Visito i fatti, non ti trovo.
Dove ti nascondi, precaria sintesi
pegno del mio sonno, luce
addormentata accesa sulla veranda?
Minuscole certezza in prestito, nessun bacio
mi risale la spalla per raccontarmi
la città degli uomini completi.

Taccio, aspetto, decifro.
Può darsi che le cose migliorino.
Sono così forti le cose!
Ma io non sono le cose e mi rivolto.
In me ci sono parole che cercano un canale
sono roche e dure
irritate, energiche
da molto tempo compresse
hanno perso il senso, vogliono solo esplodere.

II

Questo è tempo di divise
tempo di uomini spezzati.
Di mani che viaggiano senza braccia
osceni gesti avulsi.
La via dell’infanzia è cambiata.
E il vestito rosso
rosso
copre la nudità dell’amore
all’addiaccio, nella valle.

Simboli oscuri si moltiplicano.
Guerra, verità, fiori?
Dai laboratori platonici mobilizzati
giunge un respiro che ustiona i volti
e dissipa, sulla spiaggia, le parole.

L’oscurità di distende ma non elimina
il succedaneo di stella fra le mani.
Certe parti di noi come brillano! Sono unghie
anelli, perle, sigarette, lanterne
sono parti più intime
e pulsazione, l’ansimare
e l’aria della notte è lo stretto necessario
per continuare, e continuiamo.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Ricerca della poesia

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Non fare versi sugli avvenimenti.
Non c’è creazione o morte di fronte alla poesia.
Di fronte alla poesia, la vita è un sole statico
non riscalda e non illumina.
Le affinità, gli anniversari, gli incidenti personali non contano.
Non fare poesia con il corpo
quest’eccellente, completo e confortevole corpo, tanto avverso all’effusione lirica.

La tua goccia di bile, la tua smorfia di piacere o dolore nell’oscurità sono indifferenti.
Non rivelarmi i tuoi sentimenti
che s’avvalgono dell’equivoco e tentano il lungo viaggio.
Ciò che pensi e senti, questo ancora non è poesia.
Non cantare la tua città, lasciala in pace.
Il canto non è il movimento delle macchine né il segreto delle case.
Non è musica sentita di passaggio, rumore del mare per le vie lungo la linea della schiuma.

Il canto non è la natura
né gli uomini in società.
Per esso, pioggia e notte, fatica e speranza nulla significano.
La poesia (non generare poesia dalle cose)
elide soggetto ed oggetto.

Non drammatizzare, non invocare,
non indagare. Non perdere tempo a mentire.
Non ti annoiare.
Il tuo iato di marmo, la tua scarpa di diamante,
le vostre mazurche, i vostri scongiuri
i vostri scheletri di famiglia
nella curva del tempo – svaniscono:
tutto inservibile.

Non ricomporre
la tua sepolta e malinconica infanzia.
Non oscillare fra lo specchio e la
memoria in dissipazione.
Ciò che s’è dissipato, non era poesia.
Ciò che s’è frantumato, cristallo non era.

Penetra sordamente nel regno delle parole.
Là stanno le poesie che attendono d’essere scritte.
Sono paralizzate, ma non c’è disperazione
c’è calma e fresco sulla superficie intatta.
Eccole sole e mute, in stato di dizionario.
Abbi pazienza se oscure. Calma, se ti provocano.
Attendi che ognuna si realizzi e consumi
con il proprio potere di parola, il proprio
potere di silenzio.

Non forzare la poesia a distaccarsi dal limbo.
Non raccogliere la poesia che s’è perduta.
Non adulare la poesia. Accettala
come lei accetterà la sua forma definitiva e concentrata
nello spazio.

Fatti più vicino e contempla le parole.
Ognuna
ha mille volti segreti sotto il volto neutro
e ti chiede, senza interesse per la risposta,
povera o terribile, che gli darai:
Hai portato la chiave?

Attento:
vuote di concetto e melodia
si sono rifugiate nella notte, le parole.
Ancora umide e impregnate di sonno
rotolano in un fiume difficile e si trasformano in – disprezzo.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

José

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

E adesso, José?
la festa è finita
la luce s’è spenta
la gente è sparita
la notte è gelata
e adesso, José?
e adesso, per te?
che sei senza nome
ti beffi degli altri
che scrivi i tuoi versi
che ami, protesti
e adesso, José?

Sei senza una donna
sei senza discorso
sei senza dolcezza
e non puoi più bere
non puoi più fumare
sputare non puoi
la notte è gelata
il giorno non viene
il treno non viene
il riso non viene
e né l’utopia
e tutto è finito
e tutto è fuggito
e tutto è ammuffito,
e adesso, José?

E adesso, José?
la tua dolce parola
il tuo istante di febbre
la tua gola e il digiuno
la tua biblioteca
la tua vena d’oro
il vestito di vetro
la tua incoerenza
e l’odio ,e adesso?

La chiave alla mano
vuoi aprire la porta
non esiste porta,
morire nel mare
il mare è seccato,
andartene a Minas
Minas non c’è più.

José, e adesso?
Se tu gridassi
se tu gemessi
se tu suonassi
il valzer viennese
se tu dormissi
se ti stancassi
se tu morissi…
Eppure non muori
sei duro, José!

Da solo nel buio
bestia di foresta
senza teogonia
né parete nuda
a cui puntellarti
né cavallo nero
che fugga al galoppo
tu marci, José!
José, verso dove?

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

La falena

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

In questa città di Rio
di due milioni d’abitanti
sono solo nella stanza
sono solo in America.

Sarei lo stesso solo?
Proprio poco fa un rumore
ha annunciato vita accanto a me.
Certo non è vita umana
ma è vita. E sento la falena
presa nella zona di luce.

Di due milioni d’abitanti!
E non ci voleva nemmeno tanto…
Ci voleva un amico
di quelli taciturni, distanti
che leggono versi di Orazio
ma in segreto influiscono
sulla vita, l’amore, la carne.
Sono solo, non ho amici
e a quest’ora tarda
come trovare un amico?

E non ci voleva nemmeno tanto.
Ci voleva una donna
che entrasse in quest’istante
ricevesse questa dolcezza
salvasse dall’annichilimento
un istante e una carezza folli
che posso offrire.

Su due milioni d’abitanti
quante donne probabili
s’interrogano allo specchio
misurando il tempo perso
finché non venga il mattino
e porti latte, giornale e calma.
Però, in quest’ora vuota
come scoprire una donna?

Questa città di Rio!
Ho tante parole dolci
conosco voci di animali
so i baci più violenti
ho viaggiato, litigato, imparato.
Sono accerchiato da occhi
mani, affetti, attenzioni.
Ma se tento di comunicarmi
c’è la notte solamente
e una spaventosa solitudine.

Compagni, ascoltatemi!
Questa presenza agitata
che vuole strappare la notte
non è soltanto la falena.
E’, anzi, la confidenza
che esala da un uomo.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio

Le spalle sopportano il mondo

Carlos Drummond de Andrade

Carlos Drummond de Andrade

 

Arriva un tempo in cui non si dice più: mio Dio.
Tempo d’assoluta depurazione.
Tempo in cui non si dice più: amore mio.
Perché l’amore è risultato inutile.
E gli occhi non piangono.
E le mani tessono solo il rude lavoro.
E il cuore è secco.

Invano donne battono alla porta, non aprirai.
Sei rimasto solo, la luce s’è spenta
ma nell’ombra i tuoi occhi risplendono enormi.
Sei tutto certezza, non sai più soffrire.
E dai tuoi amici non t’aspetti nulla.

Poco importa la vecchiaia, cos’è la vecchiaia?
Le tue spalle sopportano il mondo, e il mondo
non pesa più della mano d’un bambino.
Le guerre, la fame, le discussioni negli edifici
provano soltanto che la vita prosegue
e non tutti si sono ancora liberati.
Alcuni, trovando barbaro lo spettacolo
hanno preferito (i delicati) morire.

E’ giunto un tempo in cui non serve morire.
E’ giunto un tempo in cui la vita è un’ordine.
La vita e basta, senza mistificazione.

Cura e traduzione di Massimiliano Damaggio