Melinda Smith
Giù al molo un’immensità ondeggia e brilla:
quasi un centro commerciale sull’acqua, dodici piani fino [in cima,
festoni di bandierine ghignanti con dentini affilati
che sbattono nel vento. Una nave così bianca
in questo giorno luminoso. Come tutti i viaggi, questo [inizia
con un ponte da attraversare, una porta in cui passare. [Alcuni entrano
per non tornare mai più: tribù di astuti nomadi grigi che,
dopo aver tirato le somme, preferiscono la loro Casa di [Riposo
con una scelta di cinque sale da pranzo e cabaret notturno.
Imbarcati, passano in paradiso: tutto e tutti
immacolati, ogni ora con la propria assegnata frivolezza,
un buffet girevole di nuove orecchie per vecchie storie,
ed il mare che spinge il passato infinito
come il magico fondale di un’opera. Poco importa
che di tanto in tanto il viaggio a Vanuatu
debba deviare verso Melbourne per evitare un ciclone,
o che a volte ci sia un altro cambio di rotta,
come quella volta in cui rifecero il giro
per cercare il signor Ridge che sbarcò improvvisamente in [mezzo
al mar di Tasman, senza avviso. Su ogni crociera, dicono,
la media di nuove bare riempite è sette.