Sempreverde

Matteo Bianchi

Matteo Bianchi

 

Non immaginavo fosse così facile la fine.

Fasullo com’era la pietra che portava al collo, l’imitazione di
una nobile premessa, una necessità vietatagli dalla nascita.
Almeno ne possedeva una proiezione che si raccontava allo
specchio, o intanto che guidava, coperto dal ronzio della
confusione. Di quello che per lui era irraggiungibile, se non
come farsa, mentre per gli altri era la norma.
L’amore a cui si sentiva costretto non era altro che l’oro, il
metallo prezioso in cui s’incastonava la sua gemma alla
perfezione, e non aveva peso, ma impura allo stesso modo lo
obbligava al terreno, frutto senza prezzo di una mano superiore.
Realtà non è semplicemente il contesto che ci fa stare bene? La
speranza ci vizia e ci trattiene: qui smeraldi grezzi portati al collo.