Colori 10 / antologia, Mario Benedetti

Mario Benedetti

Mario Benedetti

 

madre
E dalle tue foglie viene la vita,
dalle foglie vedute nel muro che guardi.
E niente è qui di quello stasera.
Oh gli anni che hai e che ho.
Lunga non è la mia vita, quanto la tua.
Quello che resta, dopo avere parlato, c’è.
Non qualcuno. Che alberi erano quelli,
mano e nervature, morbide, fresche.
Dove sei? fondo di casa, fermo e vagolante,
nel colore bianco della sera a dicembre.
Mario Benedetti (Udine, 1955), da Pitture nere su carta(Mondadori, 2008)
Nel secondo libro della trilogia di Benedetti, quella difficile sintesi fra pensare, dire e percepire viene esplorata più drammaticamente. Lo stile è franto; potremmo quasi dire: franato. Le immagini hanno una più alta densità, che può risultare di difficile comprensione ad una prima lettura. Sembra che il poeta voglia condurci a vedere, a toccare le singole parole. I versi qui si fanno brevi, ogni immagine è staccata, separata: ognuna sta sola e pare non comunicare direttamente con la precedente e la seguente. La sintassi, dunque, si fa ellittica, fino proprio a dare una percezione di menomazione: fra i vv. 6 e 7 sembra che un ragionamento più ampio ci sia sottratto e che le frasi sporgano come macerie, dopo un disastro, un terremoto (si ricorda che Benedetti ha vissuto in prima persona il terribile terremoto in Friuli nel 1976). In questa poesia si cerca di esprimere il complesso rapporto fra il poeta e la propria madre. La madre è l’origine della vita, il punto da cui siamo nati; ma subito la figura della madre evoca il paesaggio della memoria e dell’infanzia. Le mani di lei, la loro casa e le montagne boscose del Friuli si confondono: per metonimia, ognuna richiama le altre (come nel v. 8), per metafora ognuna di loro è le altre (come al v. 1). Ma ormai il figlio vive lontano dalla madre e il suo mondo non è più quello in cui ancora essa vive (v. 3); gli anni sono passati e sembrano dividerli ancora di più (v. 4). Eppure madre e figlio sono uniti da un vincolo biologico e affettivo che oltrepassa ogni distanza e fa sì che entrambi sostino come sospesi e riuniti nel ricordo di un passato:“Quello che resta, dopo avere parlato, c’è.”
(Tommaso Di Dio)