SUONO UNO

Marco Ortenzi

C’è questo lungo perdersi della poesia nel suo nulla
in un’attesa del tempo che la trasformi in pensiero
come l’assolo folle, amoroso, d’una chitarra, nel tempo
in un’attesa del tempo che la trasformi in passato
nei primi versi d’un canto, ma non umano, quasi
il tamburo leggiadro della notte, il canto notturno dei grilli
il suono eterno, vergine, delle fontane, il fischio dei treni nel buio
un rumore di aghi di pino e di ghiaia sotto le scarpe
di due ballerini in un muto, senza musica, senza silenzio.
Un’estate di notte in un giardino di pini, un ricordo
in un inverno gelato con gli occhi socchiusi, stupito
c’è questo lungo perdersi della poesia nel ricordo
in una memoria notturna, con occhi espressivi, da muta
racconta con le mani un’aria d’opera sentita nella casa dei padroni
le hai prestato le mani, le muovi appena, tenendo chiusi gli occhi