sulla montagna di Bardiaga

Luciano Cecchinel

Sulla montagna di Bardiaga
sotto le crode di Bardiaga
c’è una spelonca di terrore:
là su una coltre
di buio e pietre
giacciono sventurati
rosi da denti d’acqua.
E là lasciate
le loro ossa se anche nessuno
composte le chiamerà a nuova vita.
Essi seppero che non come altri
dovevano morire
e assorti in gola e fuori
gridarono amore
alle resine e alle rose
e alle vette celesti degli abeti.
Per poca luce
li videro le valli
andare condannati,
uomini davanti ad altri uomini,
per ultimi respiri li udirono
radente la nube, strisciante il vento…
ah, per loro, per me ugualmente
i cespugli e le erbe frusciano
ma non capiscono
o tutto dall’inizio seppero…
e già maledire l’errore,
il tradimento, il caso e col pensiero
che altro poteva, potrebbe essere
inseguire un maggio pietoso
nell’annu?re dei narcisi
a un limpido chiarore.
Allora li intuirono
strisciante il vento, radente la nube
gridare il ciglio
di un vuoto nero,
lo strazio inabissato
lassù, lontano e che nessuno
avrebbe saputo ove sostare.
. . . . . . . . . . . . . .
Solo un freddo tremore
coglie il boscaiolo
nell’ultimo raggio
dell’ombroso crinale,
rapido batticuore il forestiero
sulle tracce del sentiero che muore.
E c’è chi vide
contorte sagome di cenere
come affranti mendichi nella nebbia
brancolare per segni in lunghi intrichi,
reggersi alle ossee betulle,
poi sparire in vorticoso frantume,
anime del rimpianto,
dell’ira, del dolore.
Sulla montagna di Bardiaga,
sotto le crode di Bardiaga,
c’è una spelonca di terrore
e là giacciono sventurati
rosi da denti d’acqua.
Non trovarono essi
morendo il sole
né hanno
ristoro da perduti sassi.
Perché su una coltre
di cieche pietre giacciono
e per la loro tomba
non c’è sentiero.
E se più sperduta preghiera
ormai non vaga
fino a lassù
ove anche il lamento
della falce ammutì
e una luna arrossata trema
su diafane danze di gelo,
questo bisognerebbe che anche chi
non vide né sentì sapesse,
che la luce è luce anche di sangue.
da Le voci di Bardiaga