La realtà del virtuale

Liliana Ugolini

Nel mio sangue sto interna
a mucchiar l’ossa e dei nervi
le cime. Intorno il Ciberspazio.
Di me s’intuban fughe di leggende
e m’avviluppo in mostre di parole.
I denti, immensi denti in sibili labiali
mostrano in schermi proiezioni e suoni.
Il canal ride addosso al virtuale.
Ora l’immagine fa sparire le zolle
ed i cervelli danzano già soli nella ridda
d’un fuori che poi diventa dentro.
Un video-casco, please, un Eye-Phone,
un Head-Mounted Screen, per non vedere
il muro delle pietre.
Di qui in aut-put si parte. Io sto
nelle geometriche alla distanza
degli occhi non più miei.
Decostruisco la vista che m’automa.
L’odor di terra porta un verme grasso
al succo d’illusione d’un sistema.
Dal trasduttore-casco
cado nel video e muovo parallele.
Se fossi fuori vedrei nuvole
a specchio in movimento d’acque
in antico splendore d’apparenze.
L’evocazione mi toglie al sasso.
La tattica m’inganna e tutto me
nel pixel non dà tocco e mi convince
oggetto della cosa. La visione
stereoscopica non basta al punto
dei due punti di vista sopra il mondo.
Esser studiati affinché l’effetto
mostri ( la realtà?) al cervello
ed il reale diventi un venticello
( fuori) un poggiapiedi in bilico
( la macchina) alla macchina.
Per un volant seduta
lenta al pasto, m’erutta
un video guasto di TiGi.
Così condisco un fiocco
d’insalata al Cernobyl
con la Percossa a morte
dentro un sacco. ( E’ martedì
d’un tre Novembre Novantotto).
Mi lancio per un film, certa che la finzione
m’allieti dal non vero. Quincy
si trova ad indagar sul nero (sacco)
d’una donna massacrata a botte
( il glotto sdoppia fiction nel reale).
Ho solo un tasto, immemso plateale.
Lo spingo nel futuro del suo tubo ( scuro)
in truce di canale.
E’ dato al percepire avere abbaglio
per convinzione d’altro che cova
nel possibile. Il brivido è dentro
nel credibile. Così si vola in cubi
d’astrazione, in teste artificiali
nello scarto millesimo d’un calcolo
che interattivo attende quello sgancio.
Era la spada di Damocle una punta
nel centro della svolta. Ora annuendo
pieghiamo sotto il collo la veduta
d’un pullular di salto fin dove
la certezza è immaginabile
nella telepresenza del suo via.
Sta nel suo fatto il tatto.
La perdita si trova nel contatto.
Allo studio un palesar
nel virus virtuale, un cuscinetto
elettrodo superbo al simular concreto.
Dove sta il volo è strano. Si poggia
sopra i piedi d’un divano e regge
su forchetta un monte di cuscini
per star comodo. L’essenza
è che si creda che nel cervello
è già disposto il bandolo a scontrollo.
Un pulsar dell’istinto
metabola il suo tempo dentro al pasto.
Così in foresta nell’acquitrino
chiaro di tempesta il coccodrillo
insanguina quel ciber
Il drillo cocca la preda
sia pesce o gazzella. Espone
come un tronco due nocchie
sotto il pelo. S’agguata bianco
dentro pala bocca, s’aguzza
della forza contenuta.
Com’antro sgola e aggozza
ed il dolor del tramite m’avvince.
Il perder forze in un baleno
è soffoco o squarcio alla laringe.
Dura quel fiato la liberazione
l’immobile che placa la sua tregua
ora che l’accaduto accade, fino alla fine.
E mi consolan l’acque ancora ferme
per un doler passato, per un’attesa
d’ altra morte in diretta
Dove si muta l’immutata
voce d’usignolo che nasce
martellante nel bambino
e ancora batte ornata d’usignolo
oltre le primavere?
Dove si muta l’immutabile
arrivo nonostante?
Scorso di nodi scorre
nell’identico moto la bellezza
e spazia seducendo i grembi già maturi
d’offerta. Inebria la salita
avviluppata a speranza noncurante.
E’ della natura la disuguaglianza
e nessuno saprà dal balbettio
la sua incapacità. Un bandolo
scientifico si sa ma non lo stillicidio.
L’altro è il mio fuori e dentro di noi due
due filastrocche tonde un uroboro.
La luce è dentro al foro dell’occhio quasi cieco per un tentar col morso
della coda la chiusura del cerchio al volo sempre aperto.
da IMPERDONATE