Les Murray
L’ultimo interno (*) è il buio. Insonnolita paura della notte inoltrata,
che prova ogni passo come in acqua fonda, e se alla fine
arrivi ad aprire il frigorifero, non la luce ti avvolge, ma il freddo.
Ossa ammaccate ti persuadono che le tue guide, ora,
sono equilibrio e gravità – puoi inciampare, ma non cadrai lontano.
Densa cautela circospetta, come di preda. Il buio elargisce
a sua discrezione urti improvvisi. Il buio non ha argomento
ma è pieno di teoria. Le sue tregue: l’assenza di sorprese.
Niente che ti tocca. O abbracci fortuiti che sedano il panico.
Il buio è una benda per occhi sofferenti, gradevole al colore,
splendido nei polmoni dei tenori. È anche ciò che solo genera
le costellazioni, ginza (**) sfavillanti, lune deserte, neve brillante,
pioggia notturna che batte sulle tegole. È questo il buio: tutta messa in scena.
Niente che abbia cause o risultati. Il buio è un unico interno
che permette solo vita interiore. E nasconde ciò che la cattura.
*: Ultima parte di un trittico intitolato Tre interno.
**: Quartiere di Tokio.