Francesco Dalessandro
La mia solita febbricola, una musa
casalinga e privata
così poco mondana ma non priva
di civiltà trastulla
la noia con le fragili forme di un’ansiosa
felicità, e con la tenera rosa ottobrina
ritorna la smania di vivere l’amore
giovanile la grazia perduta di un’età
passata, il tardivo pentimento la pudica
speranza, illusione nevrotica di un cuore
già stanco e incubo quieto d’ogni nata
mattutina dilezione, ma la sorte
solitudine adduce mentre calco claudicante
le scene di un mondo di nuovo avviato
all’autunnale sperpero di vita al desiderio
di morte, malinconica attesa che è carne
di futura mestizia carità che non consola,
nel giorno nato uguale e diverso diversa-
mente amato, l’inverno mio teatro
e osservatorio quando a sera anche l’inganno
mattutino si svela rivelandosi volgare
avanspettacolo giostra corteo funerario,
la verità rivelata e corrotta una profana
ascesa ai più infimi abissi del divino
amore, tempesta preparata a redimere
il deserto, una mano due tese a toccarsi
a tentare fortuna: cosa resta da volere
e da scrivere?