Privilegio

Fernando Romagnoli

 

Io sentivo fischiare i treni per Parigi.
L’aereo di Bombay fletteva l’aria,
meteora di stridore.
Non mi prendeva con sé la funivia
– scalavo lo splendore
con gli occhi – Io m’incendiavo
ad un nome di cupole: Turchia.
Io, tra le carcerate nel cortile
in fila, ognuna il fiato
sulla nuca dell’alba, e perseguite
dalle verghe dell’ora – incondiviso
solo il feltro del sonno -…
All’improvviso, un indice puntato
alle mie spalle: “È questa. Sia graziata”.
Simile privilegio – perché io?
Svegliata in mezzo alla notte, ancora scalza,
un biglietto da viaggio stretto in mano:
e mi spingono fuori – allo sbaraglio!
“Non è ciò che volevi,
per cui piangevi di notte?” m’incalza
una voce sottile, una lisca
di voce, forse d’anima.
Ma è l’alba,
laggiù, più verde d’una mela fresca!
È sul muro la fitta nevicata
del gelsomino, che più trema più odora.
richiamerò il respiro – come Lazzaro.
Prenderò su il mio corpo.
Verso il chiarore mi metterò in cammino.