Fabrizio Dall’Aglio
Fu allora che finsi la mia vita. Fui
nel sogno cattivo del risveglio
il sonaglio distorto di un’anima.
Vivo. In un corpo vivo.
Il tempo mi tenne a battesimo.
Ebbi squame, penne
e questa pelle glabra.
Volai come falcone
strisciai come cobra
percorsi la mia scala fino in fondo.
Fui – nel mondo implacabile
la preda e il predatore,
l’osannato carnefice, la vittima.
Odiai il declino
del mio corpo di uomo,
la mia timida mente indurita
e la lenta spirale avvolgente
delle mie giornate
reticenti. Lasciai
la mia anima impaurita
imputridire
nel coro dei pubblici lamenti,
uno diverso, infine, anch’io
uno di loro,
nella complice cortesia del mondo.