Fabio Pusterla
L’erosione
cancellerà le Alpi, prima scavando valli,
poi ripidi burroni, vuoti insanabili
che preludono al crollo. Lo scricchiolio
sarà il segnale di fuga: questo il verdetto.
Rimarranno le pozze, i montaruzzi casuali,
le pause di riposo, i sassi rotolanti,
le caverne e le piane paludose.
Nel mondo Nuovo rimarranno, cadute
principali e alberi sintattici, sperse
certezze e affermazioni,
le parentesi, gli incisi e le interiezioni:
le palafitte del domani.
Fabio Pusterla (Mendrisio, 1957), da Concessione all’inverno (Marcos y Marcos, 1985)
Nella prima raccolta dell’autore, Concessione all’inverno (1985), il soggettodi fronte al male della storia è spaesato, risentito (una ragione di questa rabbia è il trauma della guerra – il padre deportato in Germania dopo la ritirata di Russia – che continua ad essere vissuto nel pensiero in tempo di pace), disincantato di fronte all’insensatezza della realtà, con atteggiamento anche sarcastico. È la rabbia inespressa e covata che genera la nevrastenia con deviazioni espressionistiche dello sguardo e dello stile, come l’enumerazione, le parentesi (segno di una percezione alineare), la lingua oggettuale e antilirica, capace cioè di farsi prosastica e di mimetizzarsi con la realtà (in chiave parodica – si veda il contrasto tra lessico concreto e astratto, tra le marche dei prodotti e i tecnicismi geologici – e critica), l’assenza di rime, le inarcature che creano effetti di disordine.
Lo sguardo si sofferma sulle cose senza storia, che rappresentano la cronaca della nostra provvisorietà, amplificata dal contrasto con la natura glaciale, geologica, antiidillica: detriti, scorie, fossili, pietre esistono al di fuori della memoria dell’uomo e guardano la sua condizione da una straniante immobilità geologica.
Roberto Cescon